I lavoratori della cultura protestano in tutta Italia: troppi istituti ancora chiusi, al settore servono investimenti
Lo scorso giovedì, 28 maggio, si è tenuta in tutta Italia una protesta diffusa dei lavoratori della cultura e delle arti, lanciata dall’associazione Mi Riconosci? Sono un professionista dei beni culturali, e fondata su uno slogan molto eloquente: “Senza Cultura, Nessun Futuro”. Si è trattato di una protesta pacifica, civile e svoltasi nel pieno rispetto delle regole anti-Covid: i manifestanti hanno infatti condotto la loro azione coi dovuti distanziamenti e facendo uso, dove necessario, dei dispositivi di protezione individuale.
La sollevazione ha ricevuto adesioni in tutta Italia: i lavoratori si sono organizzati autonomamente in piccoli gruppi scattando foto con il simbolo della protesta (un occhio barrato con lo slogan “Senza Cultura, Nessun Futuro”) o con azioni o flash-mob col fine di denunciare la situazione di abbandono e disinteresse che sta colpendo decine di migliaia di istituti culturali e lavoratori del settore, schiacciati da maggiori oneri e impossibilità di offrire alla cittadinanza un servizio adeguato alle esigenze dei territori. A causa dell’emergenza, infatti, molti musei, biblioteche e archivi rimangono ancora chiusi senza che ci sia un’orizzonte temporale per la riapertura. Si calcola che ancora un 80% dei musei sia chiuso, inoltre biblioteche e archivi lavorano a ranghi ridotti senza poter offrire servizi minimi e una fruizione adeguata.
Secondo gli attivisti di Mi Riconosci, non si tratta di una situazione dovuta all’adeguamento alle prescrizioni di sicurezza medico-sanitaria: le norme hanno sì aumentato gli oneri e i costi di gestione, ma dallo Stato non sono arrivati fondi sufficienti per poter far fronte alle rinnovate necessità, e permangono forti carenze di personale che impediscono una completa riapertura dei luoghi della cultura.
“Sono mesi che il Ministero si ostina a dire che ‘la cultura non si ferma’”, afferma Alice Battistella, storica dell’arte e accompagnatrice turistica a Venezia, “ma la verità è che migliaia di istituti culturali sono fermi, da tre mesi, mentre tutti gli altri hanno subito un violento rallentamento delle proprie attività. Questo ha un impatto durissimo sulla società e le comunità, soprattutto quelle più deboli, che si vedono private dei loro spazi culturali, e un impatto altrettanto duro sui lavoratori del settore. In centinaia di migliaia hanno perso il lavoro tre mesi fa e non vedono prospettiva”.
“Si pensa, o si vuole pensare, che la soluzione possa essere quella di offrire servizi online a pagamento”, afferma Carola Gatto, attivista e ricercatrice in ambito informatico. “Non è così. Sono scelte che puntano a tenere in piedi il settore ancora al massimo risparmio, cercando la riduzione dei servizi e del personale. E lo diciamo con una protesta che viaggia anche sui social e a cui stanno aderendo in migliaia. Senza investimenti e pianificazione, le realtà che funzionavano bene prima della pandemia rischiano di chiudere, mentre quelle che hanno maggior bisogno di aiuto potrebbero non riaprire a lungo”.
Gli attivisti hanno fatto sapere che la protesta continuerà anche nei prossimi giorni raccogliendo segnalazioni per un dossier che sarà consegnato al ministro dei beni culturali Dario Franceschini e al governo. “Privare il paese, dalle grandi città ai piccoli centri, del lavoro dei professionisti della Cultura in un momento tanto delicato e difficile”, concludono i manifestanti, “rischia di avere conseguenze molto pesanti per la democrazia e la lotta alle diseguaglianze”.
Di seguito, alcune foto della protesta.
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