La direzione del Parco Archeologico del Colosseo l’aveva presentata, nella nota stampa, come una “scoperta eccezionale”, come avevamo riportato nell’articolo pubblicato l’altro ieri in cui annunciavamo il ritrovamento, nel Foro Romano, di un ambiente sotterraneo con all’interno un sarcofago in tufo di circa m 1,40 di lunghezza e un elemento circolare, forse un altare. Non solo: molti giornali hanno riportato la notizia diffondendola come la “scoperta del sepolcro di Romolo”, mentre in realtà era chiaro si trattasse di un ambiente collocato nel luogo in cui un passo di Varrone colloca la sepoltura del mitico fondatore di Roma, ma senza che ci siano certezze al riguardo.
A fare luce sulla “scoperta” (che comunque verrà presentata in conferenza stampa venerdì) è il direttore del Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia, Valentino Nizzo, che ha rivelato che l’ambiente con il sarcofago in realtà era già ben noto agli studiosi in quanto pubblicato per la prima volta nel 1900 dall’archeologo Giacomo Boni (Venezia, 1859 - Roma, 1925): il comunicato del Parco del Colosseo, in effetti, dichiarava che la “scoperta” si colloca a un anno di distanza dall’avvio degli studi sulla documentazione prodotta da Boni all’inizio del Novecento, che aveva consentito di ipotizzare la presenza, nel Foro Romano, di un heroon (cioè di un santuario) dedicato proprio a Romolo.
“Poiché in molti sanno quanto Romolo mi stia a cuore”, ha scritto Nizzo sul suo profilo Facebook, “ecco il suo ‘sepolcro’, nella pubblicazione originale di quel geniaccio di Giacomo Boni, datata 1900": di seguito, Nizzo ha poi pubblicato le righe che Boni scriveva nel 1900 in un articolo pubblicato sulla rivista Notizie degli scavi di antichità, dove si legge che “sotto a questo ossario, a m. 3.60 dal nucleo della gradinata, trovasi una cassa o vasca rettangolare in tufo, lunga m. 1.40, larga m 0.70, alta m. 0.77, di fronte alla quale sorge un tronco di cilindro del diametro di m. 0,75. La cassa di tufo conteneva ciottoli, cocci di vasi grossolani, frammenti di vasellame campano (n.d.r.: databile non prima del IV sec. a.C.) una certa quantità di valve di pectunculus e un pezzetto di intonaco colorito di rosso”.
Si tratta, effettivamente, dell’ambiente che il Parco Archeologico del Colosseo ha presentato come “riemerso”, definendo il tutto una “scoperta eccezionale”. Nizzo ha poi aggiunto che il contenuto della cassa “non costituisce prova per la datazione della cassa stessa, ma solo un terminus ante, visto che la cassa sembra essere stata oggetto di disturbi successivi che ne hanno alterato la consistenza originaria. Da questo a dedurne qualcosa in relazione a Romolo è esercizio sul quale ci si può liberamente e responsabilmente applicare. Casi di eroizzazione a posteriori di personaggi mitici sono ben noti a Lavinium nel caso del cosiddetto Heroon di Enea, una sepoltura Orientalizzante monumentalizzata secoli dopo. Ciò è avvenuto anche per Romolo, ovviamente, ma con ben altre modalità”.
Sempre in relazione all’annuncio del Colosseo, Nizzo ha spiegato che a volte capita che “gli archeologi scavino cose scavate da altri archeologi senza accorgersene”: tuttavia, la stranezza di questo caso sta nel fatto che lo scavo si inserisce in un progetto di ricerca che cita esplicitamente la documentazione prodotta da Giacomo Boni. Non si comprende quindi quale sarebbe la “scoperta eccezionale”: probabilmente tutto si chiarirà con la conferenza stampa di venerdì.
Nell’immagine: ossari e sarcofagi addossati all’antico ingresso della Curia, come pubblicati nell’articolo del 1900 di Giacomo Boni.
Roma, il sarcofago “di Romolo” al Foro non è una “scoperta eccezionale”: il direttore di Villa Giulia puntualizza |