È stato presentato stamattina il XVI Rapporto Annuale di Federculture (“Dal tempo della cura a quello del rilancio”), che fotografa la situazione della cultura nel 2020. A introdurlo è stato il presidente di Federculture, Andrea Cancellato, che ha ricordato come il Ministero per i Beni e le Attività Culturali e per il Turismo dovrebbe essere un importante attore economico e sociale per la vita del paese. “Il ministro Franceschini”, ha dichiarato Cancellato, “affermava che il MiBACT era il più grande ministero economico dell’italia. Oggi il MiBACT deve diventare il ministero più importante del nuovo welfare italiano, cioè il ministero che renderà la cultura l’elemento chiave del nostro vivere in comunità, e il fattore più rilevante della nostra formazione e della nostra riconoscibilità nel mondo”.
Cancellato ha poi indicato alcuni interventi che dovranno essere messi in atto in futuro: l’attuazione delle indicaizoni della legge di bilancio 2018 sulle imprese culturali creative, che è stato sospeso all’inizio della pandemia; la mobilitazione di tutte le risorse disponibili, pubbliche e private a sostegno della cultura estendendo le agevolazioni fiscali (come l’Art Bonus); l’inserimento, già presente nei programmi europei, dell’adeguamento infrastrutturale di tutti luoghi della cultura (teatri, biblioteche, musei e così via), in modo da renderli accoglienti per il pubblico e più efficienti sul piano energetico; una campagna di digitalizzazione di tutto il patrimonio archivistico delle nostre istituzioni.
Passando alla lettura dei dati presentati da Umberto Croppi, direttore di Federculture, si può cominciare rilevando che, sebbene la pandemia abbia colpito molto duramente il settore, le rilevazioni indicano che alcune tendenze non erano già di per sé positive. Il primo aspetto da sottolineare è il fatto che il MiBACT è l’unico ente pubblico ad aver incrementato la spesa tra il 2000 e il 2018, con un +11% (dai 2.398 miliardi del 2000 ai 2.652 del 2018), contro i Comuni che l’anno diminuita del 27% (dai 2.745 del 2000 ai 2.001 del 2018), le Regioni che segnano un -23% (1.017 contro 1.324) e le province che l’hanno quasi azzerata, dal momento che sono state eliminate, salvo qualche istituto superstite (-82%, dai 276 milioni del 2000 ai 49 del 2018). C’è stata dunque una significativa riduzione delle risorse pubbliche per il settore culturale: l’unica spesa a tenere è quella statale. Dal 2000 al 2018, la spesa pubblica in cultura, tirando le fila, ha perso un miliardo di euro, passando dai 6,7 miliardi del 2000 ai 5,7 miliardi del 2018.
In parallelo si registra una contrazione della domanda culturale a partire dal 2010, anche se è importante rilevare che i musei, le mostre, i siti archeologici e i monumenti sono gli unici luoghi della cultura che sono sempre cresciuti, senza battute d’arresto. Per il cinema, il teatro e i concerti, infatti, c’è stata una contrazione delle persone tra il 2010 e il 2019, cosa che invece non ha riguardato musei e mostre, sempre in crescita costante dal 2001 a questa parte (tanto che è significativamente aumentato il numero dei visitatori dei musei statali: dai 30.175.826 del 2000 ai 54.798.092 del 2019, quasi un raddoppio). Il cinema fino al 2010 era in crescita del 12,1%, ma dal 2010 ha perso il 6,1% di fruitori. Ancora, il teatro tra il 2010 e il 2019 ha visto un calo dell’8,8%, e negli anni precedenti era cresciuto del 27,3%. Andamento simile anche per i partecipanti ai concerti di musica classica e di quella leggera che negli ultimi dieci anni considerati (2010-2019) sono diminuiti rispettivamente del 4,9% e del 4,7%, mentre crescevano del 22,5% e del 19,6% nel decennio precedente. La contrazione riguarda poi anche la lettura: l’Italia, tra il 2010 e il 2019, ha segnato un -13,4% delle persone di sei e più anni che hanno letto almeno un libro all’anno, con un forte sbilanciamento territoriale, visto che si parla di un -11% per il Nord Ovest, un -8,3% per il Nord Est, un -14,1% per il Centro, e addirittura un -19,5% per il Sud e un -21,1% per le isole.
Spesa pubblica in cultura e spesa delle famiglie in cultura |
Andamento della fruizione culturale |
Andamento della lettura |
Andamento dei visitatori nei musei statali |
Per Croppi l’aumento è dovuto agli investimenti del MiBACT, che hanno riguardato soprattutto il settore dei musei. “Se confrontiamo il dato rispetto all’inizio del millennio”, ha dichiarato Croppi, “si registra un aumento delle spese, però con una curva che dà da riflettere, perché mentre c’è stato forte un aumento nel primo decennio, a cavallo del 2010 è cominciata una fase di discesa, per cui registriamo nel decennio per il teatro una perdita di quasi il 9%, per il cinema del 6%, per i concerti di musica classica di circa il 5% e altrettanto per gli altri concerti. In aumento ci sono soltanto musei, mostre e siti archeologici e monumenti. E qua mi limito a una sola riflessione perché il dato è sginificativo: di fronte a una diminuzione degli ultimi dieci anni di una fruizione generale di quasi tutte le istituzioni culturali aumentano invece sia il numero di presenze sia il gettito economico della fruizione di musei e siti archeologici, in quanto gli investimenti che ha fatto il MiBACT, sia in termini economici sia nel miglioramento nel cambiamento delle logiche gestionali attraverso l’istituzione dei musei con un grado di autonomia, attraverso ristrutturazione soprintendenze, evidentemente hanno dimostrato che una attenzione al livello di governance e investimenti economici producono dei risultati. Ci viene quindi da dire che, se altrettanta attenzione si riuscirà a dare nei prossimi anni agli altri settori della cultura, le prospettive dci crescita sono notevoli”.
Il Rapporto Federculture, che analizza venti anni di produzione legislativa, evidenzia come la politica riformatrice del settore dei musei dal 2000 a oggi, a partire dalla nascita delle Fondazioni e attraverso battute di arresto e slanci in avanti, abbia modificato le politiche di gestione della cultura verso una maggiore autonomia, che oggi, non solo per la contingente emergenza, appare messa in discussione. Proprio su questi cambiamenti sta imprimendo un’accelerazione l’attuale fase di crisi che ha impattato molto pesantemente sulla cultura. Il settore deve fare i conti con scenari totalmente mutati e con un impossibile ritorno alla “normalità” pre-crisi, almeno nel medio periodo. Anche per le imprese della cultura è necessario, dunque, ripensare i modelliproduttivi, le condizioni di sostenibilità, il rapporto con i pubblici, le modalità di offerta e fruizione di contenuti ed esperienze di visita.
“Come risulta da tutti gli interventi pubblicati nel volume”, ha dichiarato Croppi, “c’è un’indicazione che riguarda proprio gli effetti della crisi che, al di là delle perdite di fatturato e di utenza gravissime che vedremo, hanno messo in luce dei problemi che erano latenti e strutturali, che la situazione di crisi ha soltanto evidenziato, e che quindi ci impongono la necessità di procedere a una revisione di base, in prospettiva, dei modelli di gestione”. La crisi coronavirus ha impattato molto duramente: durante il lockdown, il 90% dei soggetti analizzati ha bloccato totalmente o parzialmente le proprie attività, e solo il 17% ha ripreso l’attività il giorno delle riaperture, il 18 maggio. Il 70% dei rispondenti peraltro si aspetta perdite economiche fino al 40% del bilancio, mentre il 13% addirittura pensa che le perdite supereranno il 60%.
Una parte del XVI Rapporto riguarda poi l’impatto della crisi economica scatenata dalla pandemia di Covid-19. L’indagine ha riguardato diversi settori: il mondo delle mostre e dei musei (44% delle risposte), lo spettacolo (41%), i servizi culturali (20%), la formazione (20%), le biblioteche e l’editoria (19%), la promozione del territorio e il turismo (13%). Quanto alla tipologia del campione, il 52% sono fondazioni, il 22% associazioni, il 7% pubbliche amministrazioni, il 6% imprese e il 13% altri soggetti. Sono distribuiti per il 48% al Nord, per il 43% al Centro e per il 9% al Sud e sulle isole. Gli enti che sono stati oggetto della ricerca di Federculture complessivamente raggiungono 13 milioni di persone (tra visitatori di musei, spettatori, utenti di biblioteche e altri servizi culturali, studenti), e contano una forza lavoro che, tra dipendenti e collaboratori, assomma 6.120 lavoratori. Tuttavia, anche in uno scenario tanto inedito quanto difficile, molti attori del comparto cultura hanno reagito veicolando la propria offerta tradizionale in forme del tutto nuove, anche lavorando in modalità nuove (in smart working per l’85% degli enti). Infatti, praticamente la totalità degli attori culturali, 80-100% a seconda dei settori, ha offerto servizi a distanza. Il più gettonato è la diretta live, implementata dal 62,2% dei rispondenti. Seguono i contenuti digitali on demand come web series e podcast (il 57,8%), le visite virtuali (53,3%), la didattica online per i più piccoli o per le scuole (46,7%), i programmi di formazione online (40%). Solo il 13,3% ha invece attivato servizi digitali.
Il dato positivo è che molti hanno intenzione di continuare a offrire questi servizi al pubblico. In sostanza, quella che in un momento critico è nata come offerta suppletiva rispetto all’ordinario, è stata ben presto percepita come un’offerta alternativa o, meglio ancora, come una declinazione aggiuntiva delle canoniche modalità di fruizione del prodotto culturale. Ben il 96% degli attori che hanno attivato servizi on line relativi alla propria attività dichiarano, infatti, di essere intenzionati a mantenerli nel proprio palinsesto anche dopo il pieno superamento della crisi e l’auspicato ritorno alla normalità. Tuttavia l’uscita dalla crisi non sarà indolore per tutti. Solo il 22% immagina un ritorno alla normalità, mentre il 50% prospetta una riduzione e ridefinizione delle proprie attività, e ben il 73% teme una riduzione di fondi.
Alcuni dei soggetti che hanno partecipato all’indagine di Federculture |
Risultati dell’indagine sull’impatto della crisi coronavirus sulla cultura in Italia |
Risultati dell’indagine sull’impatto della crisi coronavirus sulla cultura in Italia |
Pertanto, pur tra incertezze e difficoltà, il comparto cultura nell’Italia segnata dall’emergenza Covid ha dimostrato capacità di resistenza nell’affrontare la crisi e conferma il proprio valore, il peso che ha nel bilancio dell’economia nazionale, ma soprattutto le potenzialità di sviluppo che ancora può offrire, sollecitando la scelta convinta e decisa di interventi strutturali. I protagonisti stessi del settore convergono nell’indicare la necessità e l’urgenza di un’alleanza tra tutti gli attori in campo, per poter rilanciare il comparto cultura e scongiurare il pericolo che, esaurite le misure tampone, si inneschi una spirale negativa che potrebbe portare alla perdita di un’inestimabile bene dal valore sociale oltre che economico. Si tratta, dunque, di concretizzare politiche di ampio respiro e prospettiva: mettere a punto figure giuridiche innovative come l’impresa culturale, definire ed incentivare forme virtuose di parternariato pubblico-privato, sperimentare forme nuove e più efficienti di sostenibilità e di finanziamento delle politiche pubbliche.
“Federculture”, conclude Andrea Cancellato, “è stata in prima linea in questi mesi con un’attività costante di monitoraggio delle dinamiche in corso e lavorando per dare risposte alle imprese culturali così gravemente colpite dalla crisi. Abbiamo posto le basi per interventi concreti come il Fondo Cultura che, nei decreti attuativi, auspichiamo sia reso accessibile a tutto il sistema culturale pubblico e a quello privato. Pensiamo che con questo e altri strumenti il governo debba promuovere un grande nuovo investimento, cui tutti debbano poter concorrere, nel settore culturale, che potrà essere decisivo per rivitalizzare il paese che uscirà prostrato dalla pandemia”. Un ultimo pensiero riguarda l’importanza della cultura: “La cultura”, ha ricordato in conclusione Cancellato, “è stata definita in questo momento di crisi come un’attività accessoria quindi assolutamente non essenziale. Possiamo anche rinunciare, come stiamo facendo in questa fase, a molte cose essenziali, e tra queste è presente la cultura, perché siamo in una fase temporanea di emergenza assoluta alla quale dobbiamo piegarci, ma non dobbiamo e non possiamo pensare alla cultura come a un qualche cosa di aggiuntivo, a cui si può anche rinunciare per la vita delle nostre comunità”.
Nell’immagine sotto: visitatori alla Galleria Borghese il giorno della riapertura (ph. Credit Galleria Borghese)
Presentato il rapporto Federculture 2020. Covid ha accentuato tendenze che erano già negative (tranne che per i musei) |