Il ministro dei beni culturali Dario Franceschini è finito nella bufera per un decreto ministeriale firmato lo scorso 21 aprile, con il quale il ministro ha assegnato 5 milioni di euro alla società in-house del ministero, la Ales spa, secondo una disposizione contenuta nel decreto legge 104 del 21 settembre 2009: in quest’ultimo provvedimento si leggeva che il MiBACT, “verificata l’impossibilità di utilizzare il proprio personale dipendente, è autorizzato ad avvalersi della società Ales spa per lo svolgimento delle attività di accoglienza e vigilanza nei musei, nei parchi archeologici statali nonché negli altri istituti e luoghi della cultura”. Per queste finalità, ad Ales venivano assegnati contributi per 5 milioni di euro nel 2019, 330mila euro nel 2020 e 245mila euro nel 2021. Il decreto ministeriale del 21 aprile, pertanto, non fa altro che approvare lo stanziamento per il 2019, suddiviso in 1,8 milioni per attività di accoglienza e vigilanza negli archivi, e 3,2 milioni per attività di accoglienza e vigilanza nei musei.
Questa mossa ha fatto sollevare le forti critiche del sindacato Confsal-Unsa Beni Culturali. Oggetto di discussione sono il riconoscimento, da parte del MiBACT, dell’impossibilità di utilizzare il proprio personale dipendente per l’accoglienza e la vigilanza, e il conseguente stanziamento a favore di Ales spa della dotazione per assumere vigilanti: “la domanda che come sindacato non possiamo non porci”, scrive Giuseppe Urbino, segretario nazionale di Confsal-Unsa Beni Culturali, “riguarda l’utilità di un finanziamento così oneroso da parte del MiBACT ad una società che ha tutte le caratteristiche societarie di una società per azioni, quindi di natura privatistica, che in tutti questi anni ha raccolto milioni di euro da parte del MiBACT, per attività che il MiBACT avrebbe potuto espletare da solo e attraverso i suoi uffici, e che in tutti questi anni ha solo utilizzato per le proprie attività personale completamente esterno al MiBACT, bypassando in maniera assoluta le regole delle assunzioni pubbliche tramite concorso”.
Secondo Urbino (che da anni conduce una battaglia contro le tante assunzioni che vengono effettuate tramite la società in-house), potrebbe configurarsi “una possibile fattispecie giuridica di danno erariale per via di questa enorme mole di denaro pubblico che confluisce con tanta semplicità e nel silenzio assordante delle altre organizzazione sindacali nelle tasche e nelle casse di una Società per Azioni come Ales, cento per cento MiBACT”. C’è infatti il rischio, secondo Urbino, che le assunzioni fatte da Ales, col tempo e col passare degli anni, rendano “quasi inutili i concorsi pubblici del MiBACT”, a causa di “situazioni di fatto e de iure intervenute grazie a dei contratti atipici e fuori norma”.
Il sindacalista chiede inoltre a Franceschini se è tutto regolare, e se gli amministratori di Ales hanno tutte le carte in regola per gestire in forma diretta e in assoluta autonomia questa mole di finanziamenti pubblici che il MiBACT destina alla società. E non è tutto: Urbino ne approfitta per chiedere se Franceschini abbia mai “verificato la correttezza dei controllori, e i comportamenti di chi ha il compito di verificare la serietà e la correttezza dei bilanci di Ales”, e se sia mai capitato “che i revisori dei conti avessero qualche conflitto di interesse con il ruolo da essi svolto in seno al MiBACT”.
In effetti, la presenza di Ales spa comincia a destare sempre più punti interrogativi. Alla vicenda ha dedicato un articolo anche il quotidiano Libero: in un articolo a firma di Francesco Specchia, si ripercorre a grandi linee la storia della società in-house del MiBACT (si sottolinea in particolare che è la società “a cui Franceschini, partendo da piccoli servizi di guardiania ha assegnato tutti i progetti più importanti del dicastero dalle Scuderie del Quirinale all’Appia Antica, compresa la faconda gestione dei fondi comunitari”, per proseguire con, ad esempio, l’evento Enit per l’anno della cultura del turismo italo-cinese del dicembre 2019 o la Conferenza di Napoli per la cultura mediterranea del prossimo giugno) e si definisce la Ales (“già nel tempo titolare di un debito di 800 milioni di euro poi risanato in parte dallo stesso ministero”, scrive Specchia) come un soggetto che “rappresenta, di fatto, una sorta di ministero parallelo che risponde però a lasche norme privatistiche”.
Negli ambienti sindacali la rabbia nei confronti di Ales è molta in quanto la società assume, senza procedure concorsuali paragonabili a quelle del MiBACT, lavoratori che andranno a ricoprire mansioni sovrapponibili a quelle dei dipendenti del ministero. “Tuttora”, ha fatto sapere Urbino parlando con Libero, “quasi la metà dei dipendenti dei beni culturali è Ales che, a sua volta, assumeva lavoratori interinali saltando i concorsi pubblici, peraltro bloccati, ma anche ora che c’è lo sblocco delle assunzioni interne Ales continua ad essere sovvenzionata, e non si capisce perché”. Ales, conclude il sindacalista, “è oramai una cassaforte a cui il ministero può attingere senza particolari controlli”.
Critiche arrivano anche dall’associazione Mi Riconosci, da sempre attiva nella tutela dei lavoratori dei beni culturali. “Si tratta dell’ultimo episodio di uno spreco di soldi pubblici più che decennale, di conflitti di interessi radicati (uno dei revisori dei conti di Ales è direttore generale al MiBACT), di esternalizzazione del lavoro e degli introiti del tutto superflua, utile solo a facilitare nomine e uso privatistico di fondi pubblici”, scrivono gli attivisti. “Ales era il braccio del Ministero per assumere a minor costo e con contratti più precari, in queste settimane si è trasformata nel braccio che consente di tagliare posti di lavoro senza doverne rispondere”. Al momento, Franceschini non è ancora intervenuto con un suo commento sulla vicenda.
È polemica per i 5 milioni di euro assegnati da Franceschini alla Ales per occuparsi di vigilanza nei musei |