Un nuovo allestimento per il Correggio alla Pilotta di Parma. A partire dall'autunno


Alla Pilotta di Parma, una mostra sul mito di Correggio nell’Ottocento pone le basi per il riallestimento della sezione sul grande pittore parmense del Rinascimento.

S’intitola L’Ottocento e il mito di Correggio la mostra che occuperà per un anno intero gli spazi espositivi della nuova Pilotta di Parma, dal 3 ottobre 2020 al 3 ottobre 2021, e che di fatto si pone anche come la base per il riallestimento della sezione della Galleria Nazionale dedicata al Correggio (Antonio Allegri; Correggio, 1489 circa - 1534). La mostra avrà infatti sede negli ambienti della Rocchetta, uno spazio importantissimo dal punto di vista storico ma di difficile musealizzazione. È uno dei più belli della Galleria Nazionale di Parma: ospita le celeberrime pale del Correggio, in un allestimento storicizzato e di conseguenza inamovibile. Si tratta però della fine del percorso della Galleria, e di conseguenza è cronologicamente decontestualizzato rispetto al resto della Galleria (le opere del Settecento, per esempio, sono esposte nei saloni dell’Accademia). La mostra avvia dunque le operazioni di riallestimento della Rocchetta.

Infatti, per precisa scelta strategica del direttore Simone Verde, questa mostra, dopo il lungo periodo espositivo si trasformerà in sezione definitiva della grande pinacoteca della Nuova Pilotta. Alle pareti resteranno le opere con i relativi pannelli espositivi, mentre l’ampio corredo documentario di approfondimento e confronto proposto dalla mostra temporanea resterà documentato dal catalogo scientifico dell’esposizione.

Esiste da sempre un problema sul come giustificare la collocazione del Correggio nella Rocchetta, “che questo allestimento crede finalmente di aver risolto”, spiega una nota del museo: “il Correggio di questi spazi, in effetti, non è un Correggio pienamente rinascimentale, ma reinventato dal XIX secolo, a uso dei copisti dell’Accademia. Tirato giù dagli altari delle chiese in cui si trovava, è un maestro ormai borghese che il visitatore trova allestito ad altezza d’occhio per un dialogo a tu per tu. Per spiegare il senso di questo stravolgimento culturale, è stato perciò creato un percorso ricomprensivo, tipico di un museo contemporaneo cui è al contempo richiesta la narrazione della storia dell’arte e di quella delle collezioni. Con L’Ottocento e il mito di Correggio, quindi, il visitatore troverà spiegato il senso della rimozione delle opere dagli edifici sacri da cui provengono e (grazie alla esposizione per la prima volta al pubblico della pittura ottocentesca della Pilotta) il contesto artistico di questa reinvenzione”.

Intorno ai quattro capolavori del Correggio (la Madonna con la scodella e la Madonna di san Girolamo, più le due tele provenienti dalla Cappella del Bono) che con il Secondo Trattato di Parigi nel 1815 vennero restituiti a Parma dal Louvre dove erano confluiti per effetto delle requisizioni napoleoniche, la mostra presenta anche il meglio della produzione ottocentesca del Ducato, nell’epoca in cui questo Correggio “secolarizzato” diventa l’eroe della pittura nazionale parmigiana. Dopo il 1815, il Palazzo della Pilotta rappresentò un rifugio adatto per accogliere il patrimonio d’arte che doveva essere ricomposto e valorizzato e per tale motivo si rese necessario effettuare un rilievo delle sale della Rocchetta e dei locali dove aveva sede l’Accademia di Belle Arti, oltre che progettare l’ampliamento dello spazio espositivo nei vasti saloni adiacenti la Rocchetta, affidato agli architetti Nicolò Bettoli (Parma, 1780 - 1854) e Paolo Toschi (Parma, 1788 - Berlino, 1854), che con l’esposizione delle opere del Correggio nelle salette piccole della Rocchetta le affidano il ruolo di sancta sanctorum della quadreria di Maria Luigia d’Asburgo, duchessa di Parma (Vienna, 1791 - Parma, 1847).

I lavori di ampliamento iniziano nel 1821 e terminano tra il 1835 ed il 1838. Ad unire il Correggio e i capolavori ottocenteschi è proprio Paolo Toschi, incisore raffinato, architetto e direttore dell’Accademia delle Belle Arti, fondata nel 1757 dal duca Filippo di Borbone, poi fortemente sostenuta dalla Duchessa (la mostra vuole essere infatti anche un omaggio a Toschi e a Maria Luigia). Toschi ottenne che le due pale e le due tele diventassero strumento di esercizio per gli allievi della sua Accademia che vennero quindi poste su strutture che le rendessero orientabili per favorirne l’illuminazione, ovvero la visione con ogni luce. Toschi aveva diffuso, grazie alle incisioni su rame, l’opera di Correggio in tutta Europa, contribuendo alla fama del maestro e della città. Suoi sono gli acquerelli che riproducono gli affreschi del Duomo e di San Giovanni che si ammirano in mostra tra le due pale, alcuni inviati alla Grande Esposizione di Londra del 1855 a rappresentare l’arte del Ducato. Molte delle sue opere e dei suoi allievi sono perciò esposte in queste sale in contrappunto con gli originali rinascimentali, restituendo al visitatore il senso di una reinvenzione culturale e artistica di primaria importanza per la storiografia dell’arte italiana.

La visione artistica di Toschi era inserita nel clima culturale luigino, che risentiva di un gusto neoclassico di ascendenza ancora imperiale, aperta però al nascente gusto romantico per i soggetti storici e per la natura. In mostra, appartiene al primo filone l’opera di Francesco Scaramuzza rappresentata da una monumentale Silvia e Aminta, inviata nel 1862 ad illustrare Parma all’Esposizione Universale di Londra. Più accondiscendenti al gusto romantico sono invece i due Rebel acquistati direttamente da Maria Luigia, le due monumentali tele di Giuseppe Molteni, altro pittore “ufficiale” del ducato luigino mentre la piccola opera di Ferdinando Storelli rappresenta l’estetica di quella che la duchessa volle una longeva e significativa scuola parmense di pittura di paesaggio.

Uno degli ambiti in cui si espresse maggiormente la committenza luigina fu senz’altro quello della pittura religiosa, improntata a una concezione paternalista dello Stato. Le iconografie misericordiose, infatti, o celebranti le attività di elemosina o le elargizioni sovrane si moltiplicarono a dismisura e videro attivi gli artisti ufficiali della corte: è possibile citare, come esempi, il San Giovanni Battista di Francesco Scaramuzza e il David con la testa di Golia di Enrico Barbieri. In diverse opere il riferimento ai maestri della pittura emiliana appare declinato in chiave “nazionalistica” di esaltazione del genio parmigiano. (che è anche genio e celebrazione dell’artista, come esprime la fioritura del genere dell’autoritratto). Ma la contemporaneità irrompe anche nell’antico Ducato costringendo la cultura accademica parmigiana ad emanciparsi: tra le conseguenze, la pittura di paesaggio che risulta focalizzata ormai sulle forze (naturali e quindi scientifiche) che caratterizzano la universale vastità del reale. Le spettacolari tele di Alberto Pasini, come i diaporama del tempo, riproducono in chiave immersiva i paesaggi esotici in cui si svolgeva la vita dei popoli più remoti. Cecrope Barilli intanto ricerca l’esotico nascosto nel primitivo di classi popolari dedite a forme di esistenza analoghe a quelle delle terre colonizzate, mentre un universo tutto nuovo è quello introdotto da Amedeo Bocchi, che già introduce al Novecento.

Nell’immagine, un dettaglio della Madonna di san Girolamo del Correggio.

Un nuovo allestimento per il Correggio alla Pilotta di Parma. A partire dall'autunno
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