Quanti sono in Italia i monumenti femminili? E sono adeguati a dare forma a ciò che vogliono rappresentare? Sono questi i presupposti da cui è partita la prima indagine sulla statuaria pubblica femminile in Italia, condotta dall’associazione Mi Riconosci tra il 25 settembre e il 13 ottobre 2021. Il sodalizio, da sempre attivo nel campo dei beni culturali, ha censito in totale 148 monumenti che vedono donne come protagoniste, sparsi per tutta Italia. Un numero che, secondo l’associazione, si avvicina alla totalità di quelli esistenti, spiegano le promotrici. I dati sono stati raccolti attraverso le segnalazioni arrivate tramite il questionario Indagine sui monumenti pubblici femminili, promosso dall’associazione chiedendo al proprio pubblico (stimato in 42 mila persone) di segnalare monumenti nella propria città. Questi dati sono poi stati integrati dalle conoscenze e ricerche personali delle attiviste promotrici, da ricerche sui dati strutturati Wikimedia e dallo spoglio dettagliato dei siti dedicati ai monumenti Chi era costui? e Statues - Hither and Thither.
Per l’indagine sono stati presi in considerazione quelli di donne realmente vissute, quelli di personaggi letterari e quelli di figure anonime collettive (per esempio la moglie, la partigiana, la mondina, per citare solo alcuni esempi) che si trovano in spazi pubblici come piazze, giardini e strade. Sono state escluse le figure allegoriche come “la Patria” o “la Vittoria”, oppure monumenti alla Madonna, o ancora statue che si trovano in cortili privati e pubblici (anche di scuole e ospedali) e cimiteri. L’iniziativa ha preso slancio dopo i recenti casi dei monumenti a Cristina Trivulzio di Belgiojoso (Milano) e alla Spigolatrice (Sapri), come spiega Ludovica Piazzi, storica dell’arte e promotrice dell’indagine: “Dopo l’inaugurazione dei due monumenti, ci siamo chieste come vengano rappresentate le donne quando si trova posto per loro nello spazio pubblico. I dati che abbiamo ottenuto non sono confortanti”.
Nelle maggiori città italiane i monumenti dedicati a donne sono pressoché assenti: mettendo insieme Roma, Napoli, Milano, Torino, Firenze, Bologna, Bari, Palermo, Cagliari e Venezia, si arriva a un totale di 20, di cui solo 8 sono veri monumenti figurati. Dei 148 monumenti e statue censiti, solo il 36% è collocato in una piazza; il restante si trova agli incroci o ai lati di strade, nonché in parchi. Di queste 148 opere, il 14% sono busti, il 4% fontane, il 2% gruppi che vedono anche la presenza di uomini o bambini.
Dai dati si deduce che molto poche sono le donne ricordate per meriti che non includano il sacrificio o la cura. I monumenti dedicati a donne realmente vissute in Italia sono pochissimi: Grazia Deledda, Maria Montessori, suor Maria De Mattias, mancano figure come Elsa Morante o Ada Rossi, Gaetana Agnesi o Trotula de Ruggiero. Su 148 opere censite, ben 60 sono figure anonime collettive: di queste il 12,5% rappresenta partigiane, mentre il 70% professioni particolarmente faticose sul piano fisico, come mondine o lavandaie. Nessun monumento ricorda, ad esempio, le levatrici, le impiegate o le scienziate.
Lo spazio pubblico, spiegano le promotrici, non può essere considerato neutro: rispecchia sempre le istituzioni che collocano le statue, anche se sono donazioni. E ad oggi, secondo Mi Riconosci, è uno spazio androcentrico, come conferma non solo l’assenza di donne, ma anche l’enorme sproporzione tra autori e autrici dei monumenti femminili censiti. 120 opere su 148, infatti, hanno un’attribuzione certa, e di queste solo il 5% è stato realizzato da donne, il 5% vede la collaborazione tra autori e autrici, mentre il restante 90% è a firma solo maschile.
Le promotrici sottolineano inoltre anche la tendenza a rappresentare la figura femminile in maniera stereotipata: molte statue infatti hanno atteggiamenti sensuali o sono connotate da dettagli leziosi, aspetti che vanno inevitabilmente a sminuire il soggetto ritratto. Ricorrente è anche la presenza di bambini che sottolinea il ruolo di cura, come a giustificare la presenza di una statua di soggetto femminile nello spazio pubblico. “Il nostro obiettivo non è puntare l’attenzione su un’assenza da colmare”, conclude Ludovica Piazzi, “ma indurre la riflessione su quello che ci appare alla vista: statue che nella maggioranza dei casi di femminile hanno solo il soggetto. Rileviamo il netto incremento negli ultimi anni di statue dedicate a donne reali e figure femminili collettive, ma queste opere vanno davvero a riequilibrare la presenza femminile nello spazio pubblico?”.
L’associazione, che continuerà a raccogliere segnalazioni, spiega che questi primi risultati verranno rielaborati e analizzati nelle prossime settimane, con la pubblicazione nel sito www.miriconosci.it di una mappa interattiva che riporti tutti i monumenti femminili presenti in Italia, e un ciclo di dibattiti sul tema. “Non si può continuare a ignorare il problema, lo spazio pubblico e i monumenti plasmano il nostro modo di pensare, offrono modelli, ricordano e celebrano: per questo un approccio analitico e femminista è necessario”, concludono le attiviste.
Abbiamo chiesto alle attiviste quali siano i migliori esempi di monumenti femminili che esistano in Italia. Sono stati individuati diversi monumenti significativi: si può cominciare con Fischia il vento il monumento alle partigiane inaugurato a Milano ad aprile 2021: si tratta di una rappresentazione aniconica, perché protagonista del monumento è il suono prodotto dalle canne metalliche mosse dal vento. È allo stesso tempo un monumento collettivo ed individuale, poiché su ogni canna è inciso il nome di battaglia di una partigiana, ed evita la rappresentazione della classica figura femminile collettiva e sofferente, evocando ansie e speranze di quel momento storico con grande delicatezza, e spingendo l’osservatore ad approfondire la storia delle singole protagoniste. Ancora, Andando via, monumento a Grazia Deledda eretto a Nuoro nel 2011: l’autrice, Maria Lai (Ulassai, 1919 - Cardedu, 2013), una delle più importanti artiste del Novecento, descrive con linee essenziali alcuni personaggi femminili delle opere di Grazia Deledda nella terra che ha dato ad entrambe i natali. “Per noi significativo”, dichiarano le attiviste, “perché uno dei rari esempi in Italia in cui autrice e soggetto rappresentato sono entrambe donne; è inolte un’opera non figurativa che omaggia un personaggio attraverso la narrazione del suo operato, anziché raffigurandone la persona. È stata recentemente riprodotta in arazzi, per commemorare entrambe le artiste, portando avanti una tradizione sarda e femminile che connota l’operato di Lai”.
Si può poi citare La Zigherana, del 2012, monumento figurativo eratto presso la Manifattura Tabacchi di Borgo Sacco (Rovereto): “secondo noi”, spiegano le promotrici dell’indagine, “omaggia le operaie lavoratrici del tabacco raccontando con dignità e rispetto il loro lavoro, il confezionamento dei sigari. Non ci sono dettagli leziosi o elementi che connotino l’operaia come anche madre o moglie, ed il monumento è efficacemente inserito nel contesto della storia industriale del luogo”. Proseguendo, il monumento alla regina Elena di Savoia a Messina, eretto per omaggiarla per il suo operato dopo il terremoto che distrusse la città nel 1908, inaugurato nel 1960, è significativo “per la monumentalità (raramente concessa a un personaggio femminile)”, spiegano le attiviste, “e per la postura simmetrica, che comunicano autorevolezza e pacatezza, caratteristiche rare se lo confrontiamo, ad esempio, con le statue pubbliche dedicate ad Elisabetta di Baviera in Italia. Inoltre lo apprezziamo perché realizzato su richiesta della cittadinanza”. Infine da citare il primo monumento alla Spigolatrice di Sapri, per contrapposizione a quello inaugurato lo scorso 25 settembre e oggetto di polemiche per trasparenze non necessarie e sguardo ammiccante della donna rappresentata, che sviano l’attenzione dal motivo originario per il quale è stata eretta la statua.
Le promotrici dell’indagine hanno anche individuato alcuni monumenti discutibili, tutti realizzati dopo il 2000. Tra i peggiori monumenti figura quello alle giornaliste Ilaria Alpi e Maria Grazia Cutuli, eretto ad Acquapendente nel 2003: “non ci è piacuto”, spiegano, “perché non essendo una rappresentazione allegorica di due ninfe bensì di due giornaliste professioniste morte sul lavoro, la nudità è un elemento non necessario; ci siamo chieste se due giornalisti sarebbero stati rappresentati allo stesso modo, finendo col trovarlo un monumento irrispettoso della professionalità e della memoria delle due giornaliste”. Altro monumento che fa storcere il naso è quello a Francesco Crispi e Rose Montmasson, inaugurato nel 2011 a Ribera, dove è evidente un’asimmetria tra i due personaggi, con lui seduto, in posa autorevole, sopraelevata e ieratica, e lei, unica donna ad aver partecipato alla spedizione dei Mille, ex moglie ripudiata, priva di somiglianza con la sé realmente esistita, ritratta in sottoveste, su un piano inferiore e mentre porge una clessidra all’ex marito, come una sorta di valletta (il suo nome peraltro non è nell’iscrizione). Tra i peggiori monumenti figura anche quello della lavandaia di via della Grada, presente a Bologna dal 2000: tra i tanti monumenti alle lavandaie presenti in Italia, affermano le attiviste, “questo rileva secondo noi per la posa più che per il nudo, e per il fatto che l’intenzione originale dell’autrice (omaggiare la categoria delle lavandaie) di fatto non emerge, non essendoci la spiegazione del perchè di questa raffigurazione; finisce per essere l’ennesimo nudo non necessario che si offre al passante distratto”.
C’è poi il Monumento all’emigrante, dal 2018 a Isola delle Femmine, scelto perché anche in questo caso la nudità non è un elemento necessario ai fini della comprensione del significato del monumento: emergono anche altri stereotipi della raffigurazione femminile, quali la giovane età, la posa quasi provocante e il momento dell’allattamento. Infine, il monumento alla Donna d’Acqua, a Bari dal 2003, “ci ha colpite”, concludono le promotrici dell’indagine, “non tanto per la tipologia di raffigurazione adottata, quanto per l’iscrizione apposta sotto la statua; mentre riteniamo, se contestualizzati, comprensibili i riferimenti alle ’pene della solitudine’ ed al ’terrore per i mali del mondo’ (sentimenti non estranei ai familiari di pescatori), ci risultano incomprensibili, oggi, i passaggi nei quali la donna d’acqua diventa ’simbolo della donna universale’, o viene indicata, in sequenza, come sposa custode del focolare, ’mater’ amorosa e ’mater’ dolorosa. Una narrazione forse non in linea con la nostra attualità”.