C’è del trambusto in Inghilterra per quanto accaduto pochi giorni fa al National History Museum di Londra, dove un think tank della destra populista, National Conservatism, ha tenuto un proprio convegno. I fatti risalgono al 15 maggio: l’evento chiave della serata è stato l’intervento di Douglas Murray, giornalista e commentatore politico noto per le sue posizioni spesso accostate all’estrema destra (è fortemente critico verso l’immigrazione, l’islam, è stato un acceso sostenitore della Brexit, e nonostante sia un omosessuale dichiarato ha difeso in un suo libro la terapia di riorientamento sessuale). Durante il suo intervento, Murray ha provocato polemiche affermando che “non c’è niente di sbagliato nel nazionalismo in Gran Bretagna, è come se ci fosse qualcosa di sbagliato a essere nazionalisti in Germania: non vedo perché i tedeschi non possano amare la loro nazione solo perché hanno sbagliato due volte in un secolo”.
Il museo è stato fortemente criticato per aver dato voce a posizioni del genere, spesso disallineate rispetto ai valori del museo su temi come l’inclusione e il cambiamento climatico (National Conservatism è stata criticata anche per promuovere politiche negazioniste nei confronti del cambiamento climatico). L’attacco più duro è giunto da Adam Koszary, esperto di comunicazione per la cultura, che ha twittato: “I valori per i musei nazionali contano solo se non ci perdono dei soldi”. La materia è delicata: il National History Museum, come tanti musei nel mondo, affitta i propri spazi a pagamento, ma potrebbe incorrere in grane se il rifiuto a concederli a un’associazione politica potrebbe essere interpretato come motivato, appunto, da ragioni politiche.
Inizialmente il National History Museum si è limitato a sottolineare che nessun dipendente o collaboratore del museo ha partecipato all’evento, quindi a precisare che l’istituto “sostiene la diversità, l’uguaglianza e l’inclusione di tutte le persone”, e che concedere le sale non significa sostenere i punti di vista di chi le affitta.
Ma anche questo non è bastato e così, a due settimane dall’evento, lo scorso 1° giugno, il museo ha pubblicato una lunga nota di chiarimenti, nella quale il National History Museum ha anche presentato le proprie scuse per quanto accaduto. “Se vogliamo creare sostenitori del pianeta e soddisfare la nostra missione di galvanizzare un movimento di milioni di persone in tutto il pianeta per parlare e agire per la natura, allora dobbiamo essere il Museo più inclusivo che possiamo essere”, si legge nel comunicato pubblicato sul blog ufficiale del museo. “La nostra visione è un futuro in cui prosperino sia le persone che il pianeta, quindi dobbiamo essere un museo per tutte le persone. Sappiamo che stiamo correndo contro il tempo e c’è molto lavoro da fare. Non vogliamo esitare a riconoscere le nostre origini e il nostro passato: il Museo di storia naturale è stato fondato nel contesto dell’impero, del colonialismo e dello sfruttamento, e i segni distintivi di questa eredità esistono nelle nostre collezioni e gallerie. Sappiamo che dobbiamo affrontare verità scomode e adottare misure proattive non solo per dire, ma per mostrare, cosa stiamo facendo per superare le idee sbagliate su chi sia il Museo oggi”.
Ecco poi le scuse: “Siamo rimasti inorriditi e rattristati nel vedere una certa retorica odiosa espressa in un evento privato al Museo e poi condivisa sui social media di recente. Se avessimo previsto parte della retorica espressa durante l’evento, non avremmo permesso che si tenesse nel nostro museo. Avremmo dovuto prevederlo, ma a causa di un errore i nostri consueti processi non sono stati seguiti e ce ne assumiamo la piena responsabilità. Stiamo prendendo provvedimenti immediati per correggere gli errori che hanno portato a questo e stiamo consultando i colleghi sul modo migliore per utilizzare i proventi di questo affitto della nostra sede”.
Per il museo, è stato “particolarmente doloroso” vedere un’immagine di Hope, lo scheletro di balena simbolo del museo, usata per illustrare un tweet pregno di “retorica che minimizzava gli orrori dell’Olocausto” (il riferimento è alle dichiarazioni di Murray sopra citate, riprese in un tweet di National Conservatism in cui compariva l’immagine di Hope). “Non abbiamo segnalato e rifiutato questi post come avremmo dovuto fare quando sono stati pubblicati per la prima volta e hanno attirato l’attenzione. Vogliamo scusarci e rifiutare senza riserve qualsiasi associazione di questi messaggi con il Museo”.
“Vogliamo chiarire”, conclude il museo, “che aborriamo totalmente le dichiarazioni fatte e ci dispiace che siano state condivise con le immagini del Museo. Nessuno dei nostri colleghi ha partecipato a questo evento (che è stato ospitato da una terza parte che ha affittato lo spazio), ma non lo abbiamo chiarito a sufficienza nella nostra risposta. […] Sappiamo che abbiamo ancora molto da fare per rendere il Museo uno spazio accogliente per tutti e che nuove e crescenti collaborazioni richiedono fiducia che può essere facilmente erosa. Coinvolgere e coinvolgere il più vasto pubblico possibile è centrale nella nostra missione: ci scusiamo per il nostro errore, per l’associazione di questi punti di vista con il Museo, e ci impegniamo a fare meglio”.
Nell’immagine, la foto contestata, pubblicata dall’account Twitter di National Conservatism: Douglas Murray sotto Hope.
Londra, il National History Museum ospita convegno della destra populista. E si scusa |