Per il critico d’arte Jerry Saltz, uno dei più apprezzati della scena, il mondo dell’arte come l’abbiamo conosciuto fin qui subirà degli effetti devastanti a causa della pandemia di Covid-19 da coronavirus, e in tanti non sopravviveranno. Lo ha scritto nel suo più recente articolo, pubblicato lo scorso 2 aprile su Vulture, il giornale con cui l’autore statunitense da tempo collabora, e intitolato Gli ultimi giorni del mondo dell’arte... e probabilmente i primi di quello nuovo.
Eppure, ammette lo stesso Saltz, fino a poco prima lui stesso era rimasto ottimista: il fatto di trovarsi di fronte alla fine del mondo dell’arte per come l’avevamo conosciuta gli sembrava sensazionalistico e poco veritiero. “Ho sempre visto il mondo dell’arte attraversare episodi come quello attuale: non pandemie, ovviamente, ma contrazioni dovute a crisi di diversa natura, che hanno formato, e non distrutto, la comunità che amo”, scrive Saltz. “Provengo da un’epoca”, ha sottolineato, “che vedeva gli ultimi anni di un mondo dell’arte più piccolo, non professionale, non monetizzato, e dove non c’erano cose come carriere stabili, vendite, fiere d’arte, grandi pubblici, aste. Quel mondo era fondato sui desideri e sulla passione di quasi-fuorilegge, di girovaghi, scansafatiche, visionari, ruffiani, geni, arrampicatori sociali, esuli, zingari, bohémien aristocratici. Quel mondo è poi cresciuto ed è diventato grande, iperattivo, simile a un circo, sbilanciato verso l’alto, e professionale, e tutto condito da somme oscene di denaro, e concentrato nelle mani di 1.500 persone fortunate, per lo più di carnagione bianca”.
“Ho sempre scelto di vedere il mondo dell’arte (anche quando ha cominciato a seguire logiche aziendali)”, continua Saltz, “secondo quello spirito, frustrato da quegli strani compromessi col denaro a cui tutti siamo giunti, ma sicuro che, nel profondo del loro cuore, gli artisti fossero ancora dei quasi-fuorilegge e degli scansafatiche”. Saltz racconta che questo ottimismo lo ha sempre portato a pensare che il mondo dell’arte sarebbe sopravvissuto a qualsiasi cosa. “Ma la scorsa settimana, quell’ottimismo ha cominciato a morire”, racconta Saltz. “Anche un amante dell’arte devoto come me deve ammettere che l’infrastruttura che tiene il mondo dell’arte è già in bilico. Alcune parti potrebbero già essersene andate anche ora”. Ci saranno “certo gallerie, musei e artisti che lavoreranno, naturalmente. Ma mi preoccupa il fatto che questa divisione non farà altro che esacerbare le disuguaglianze che sempre più dominano questo mondo, con megagallerie e star dell’arte che sopravviveranno, e con il solco tra loro e chiunque altro che si allargherà e renderà gli artisti e le gallerie più scalcinati sempre più vicini all’invisibilità”.
Per Saltz, “molto dipenderà da quanto tutto questo durerà. E anche se la Corea del Sud sta già tornando al lavoro e alcuni riportano di cose tornate alla normalità, il fatto che l’America abbia fallito nel rispondere alla crisi del coronavirus suggerisce che la nostra chiusura durera per un po’. Lo chef David Chang stima che il 90% dei ristoranti non riaprirà quando tutto sarà finito, e ipotizza che il mondo del cibo ritornerà agli anni Novanta, ovvero a prima dell’epoca in cui nel settore arrivò la diversità. Se i ristoranti sono troppo fragili per non fallire, il mondo dell’arte, che è molto, molto più piccolo e molto più fragile, sperimenterà perdite terribili”.
Nel mondo dell’arte, fa notare Saltz, “le cose erano già difficili”, tra gallerie costrette a dover sostenere costi molto alti (per esempio, quelli per partecipare alle fiere, alle mostre e alle biennali), tanti artisti che spesso lasciano gallerie piccole per le “megagallerie”, mancanza di liquidità. “La maggior parte delle gallerie”, è convinto il critico, “non è granché preparata. E queste gallerie chiuderanno. Molti lavoratori sono già stati licenziati”, e se non ci saranno misure economiche per aiutare il mondo dell’arte, “il 90% ipotizzato da Chang sarà anche quello delle gallerie che chiuderanno, e le gallerie sono il primo veicolo di consegna dell’arte contemporanea”. Alle gallerie seguiranno poi le accademie, che diventeranno “troppo costose” e dovranno lottare contro la mancanza di lavoro nel settore. La pandemia, secondo Saltz, sarà anche la fine per le fiere d’arte, “eccetto Art Basel, che è dotata di una sede di proprietà in Svizzera, e forse Frieze, perché gli inglesi amano le produzioni grandi, appariscenti, teatrali”.
Per quanto riguarda chi scrive d’arte, le previsioni di Saltz sono fosche anche in questo caso: “le riviste e i blog dipendono dalla pubblicità, ma che cosa promuoverà la pubblicità? Le gallerie stanno ancora pagando contratti con i giornali per promuovere mostre che non si terranno?”. Secondo Saltz, le riviste porebbero non essere più in grado di pagare chi scrive per loro, ma la crisi potrebbe colpire anche i più piccoli, perché pur non dovendo pagare stipendi vedranno comunque ridursi le entrate. “Al momento, i blog e le gallerie pubblicano una vaporosa nuvola di liste di arte che si può vedere online e cercano di organizzare proiezioni virtuali e altre cose che si possono fare durante la reclusione. Queste cose tengono alto lo spirito, ma nella stragrande maggioranza dei casi non portano soldi”.
Per quanto riguarda i musei, molti hanno già dato il via ai licenziamenti. Per quanto concerne invece gli artisti, Saltz è convinto che “ovviamente l’arte andra avanti, ed è superfluo rimarcarlo, perché l’arte è un qualcosa di più grande e più profondo del business che la supporta. L’arte sparirà solo quando tutti i problemi che l’arte deve esplorare, saranno stati esplorati”. I virus non uccidono l’arte, evidenzia Saltz, e la creatività era già con noi fin dai tempi delle caverne, ma c’è comunque un particolare preoccupante. “Nell’ultimo decennio”, dice Saltz, “il mondo dell’arte ha perso la capacità di adattarsi. O, piuttosto, finora sembra aver avuto un’unica possibilità di adattamento, indipendentemente dalle circostanze: quella di crescere più grande e più indaffarato”. Ma questa non sarà la risposta al clima attuale: l’unica risposta possibile, secondo Saltz, sarà dunque quella di “adattarsi al cambiamento senza cedere a dogmi vecchi, fuori moda, meschini o inapplicabili”. La conclusione: “non so quanto durerà questo periodo d’interregno. Ma i sopravvissuti potranno contare sulle conoscenze ricavate da ciò che hanno imparato su loro stessi nel momento in cui l’angelo della morte avrà camminato sopra di noi”.
Nell’immagine: un momento di una passata edizione di Art Basel
Le fosche previsioni di Jerry Saltz: “il mondo dell'arte com'è oggi finirà e tanti non sopravviveranno” |