L’Italia si è fatta sfuggire una importante opera di Salvador Dalí che si trovava sul nostro territorio nazionale. La vicenda non è nuova, ma un nuovo capitolo, probabilmente decisivo, è stato scritto in questi giorni. Tutto ha inizio nel 2020, quando la Fondazione Isabella Scelsi, proprietaria del dittico intitolato Couple aux têtes pleines de nuages, decide di metterlo in vendita: com’è prassi, la Fondazione comunica la propria intenzione al Ministero dei Beni Culturali che autorizza l’esportazione, e di conseguenza l’opera viene messa all’asta presso la casa londinese Bonhams dove viene venduta a 7,8 milioni di euro, più le commissioni d’asta. In seguito però il ministero emette un decreto di annullamento in autotutela dell’attestato di libera circolazione.
Di conseguenza, la vendita veniva sospesa. La Fondazione ha fatto ricorso al Tar e lo scorso 29 agosto è stato pubblicato il verdetto: il decreto di annullamento è stato giudicato illegittimo, e il ministero è stato condannato a risarcire le spese di giudizio (circa 10mila euro) sostenute dalla Fondazione e dalla casa d’aste.
La storia, nei dettagli, inizia negli anni Cinquanta, quando il musicista e compositore Giacinto Scelsi, che istituì la Fondazione Isabella Scelsi nel 1987, viveva con la sua compagna, la gallerista americana Frances McCann. McCann acquistò l’opera a Parigi negli anni Cinquanta e quando la relazione tra i due terminò, la donna decise di regalare il dittico all’ex compagno, il quale, nel 1984, lo spostò in un caveau della Cassa di Risparmio di Roma. Scelsi morì nel 1988 e la fondazione intitolata a sua sorella ne acquisì l’eredità, ma il dittico rimase nel caveau fino al 2004, anno in cui l’opera fu prestata per una mostra a Palazzo Grassi a Venezia. In seguito, dal 2004 al 2019, la Fondazione, per via dei significativi costi di gestione di deposito dell’opera, decise, previa autorizzazione del ministero, di dare l’opera in comodato gratuito al Mart di Trento, che si assunse gli oneri di custodia. Il Mart lo tenne per lo più in deposito, ma lo prestò per mostre tenutesi in varie città: Venezia (2004-2005), Stoccolma (2009-2010), Milano (2010-2011), Vienna (2011), Roma (2012), Dublino (2015-2016), Berna (2017), Londra (2017-2018), Barcellona (2018).
Il Mart, tuttavia, si rammaricava di “non aver avuto il tempo di progettare un nuovo ed adeguato contesto espositivo nelle collezioni permanenti per averne favorito il prestito in rilevanti mostre internazionali” (così in una mail inviata alla Fondazione nel 2019). Proprio tre anni fa, la Fondazione Scelsi, per finanziare alcune iniziative, decise di vendere l’opera da Bonhams. La casa d’aste si era subito messa in contatto con il Ministero della Cultura per individuare la procedura da seguire. Veniva dunque presentata una denuncia con scheda conoscitiva e dichiarazione del valore (11.600.000 euro), e la commissione dell’ufficio esportazioni di Roma, riunitosi il 10 dicembre del 2019, pur riconoscendo la qualità del dittico, l’originalità formale delle sagome e l’eleganza della pittura, riteneva di concedere l’attestato di libera circolazione, valutando che si trattava di un’opera di un autore non italiano, e ritenendo fosse opera priva di legami col contesto italiano: ciò bastava al ministero per considerare che una partenza di Couple aux têtes pleines de nuages non avrebbe danneggiato il nostro patrimonio culturale.
Il 16 dicembre, la Direzione generale archeologia, belle arti e paesaggio sospendeva il procedimento, rilevando la necessità di acquisire il parere della Galleria nazionale di arte moderna di Roma (GNAM), la cui direzione, il 21 gennaio 2020, si esprimeva con parere favorevole alla circolazione. L’opera veniva quindi consegnata a Bonhams per la vendita, che si sarebbe tenuta a Londra. Tuttavia il giorno stesso della vendita, il 15 ottobre 2020, a sole 3 ore e 15 minuti dall’inizio dell’asta, il Servizio IV della Direzione generale archeologia e belle arti del Ministero dei Beni Culturali notificava alla Fondazione Scelsi il decreto di annullamento in via di autotutela dell’attestato di libera circolazione. Nel frattempo, il dipinto veniva venduto a 7,8 milioni di euro, tuttavia in maniera condizionata, dato che era arrivata la notizia dell’annullamento dell’attestato di libera circolazione.
Era infatti accaduto che il Ministero riteneva illegittimo l’attestato. In primis per alcuni vizi di forma: il dicastero riteneva infatti che la Fondazione Scelsi avrebbe dovuto preliminarmente attivare il procedimento di verifica dell’interesse culturale secondo quanto prescritto dal Codice dei Beni Culturali, e si specificava che la Fondazione non avrebbe fornito particolari rilevanti al fine di valutare l’interesse culturale dell’opera, quali la pertinenza dei dipinti alla “Casa Museo” di Giacinto Scelsi ed il contratto di comodato d’uso al MART presso il quale le opere erano esposte a riprova della oggettiva rilevanza artistica e culturale, e che gli amministratori della Fondazione non potevano non conoscere la procedura, avendo già nel 2004 interloquito con il ministero per la mostra di Palazzo Grassi. Inoltre, il ministero notava che il dittico costituiva un esempio di pittura surrealista e pertanto rivestiva almeno un interesse culturale “semplice”, che tuttavia avrebbe impedito l’esportazione. Questo interesse culturale si sarebbe dovuto evincere dal fatto che Couple aux têtes pleines de nuages, secondo il Ministero, potrebbe essere stata realizzata in Italia: nel 1936 infatti Dalí soggiornò prima a Cortina d’Ampezzo e poi a Lucca, ospite della contessa Pecci Blunt, e poi di nuovo nel 1937 a Ravello ospite di Edward James, e ancora nel 1938 ospite dello stesso a Roma. Secondo il Ministero l’opera venne probabilmente realizzata in Italia in questo periodo. Infine si rilevavano il legame pertinenziale dell’opera con l’abitazione di Scelsi a Roma (dove fu inserita anche una gigantografia dell’opera nel salotto), l’incardinamento stabile del dittico nel panorama dell’offerta culturale nazionale per via degli anni di permanenza al Mart, e il rapporto tra Dalí e Scelsi nell’ambito della cultura surrealista, dal momento che entrambi frequentarono gli stessi ambienti culturali sia a Parigi sia a Roma e forse potrebbero essersi conosciuti.
La Fondazione ha dunque impugnato il provvedimento di annullamento dell’attestato di libera circolazione ritenendolo illegittimo, per ragioni di forma (secondo la Fondazione il procedimento svolto presso l’Ufficio Esportazione avrebbe comunque raggiunto lo scopo sostanziale di verifica dell’insussistenza di quell’interesse artistico-culturale che avrebbe legittimato il diniego all’esportazione), e rigettando la pretesa mendacità delle dichiarazioni rese in sede di denuncia. Inoltre, secondo la Fondazione Scelsi, nel corso dell’istruttoria conclusa con l’adozione dell’attestato di libera circolazione, il Ministero non avrebbe indirizzato la sua indagine rispetto ad una certa tipologia di interesse culturale (“particolarmente importante”) piuttosto che ad un’altra (“semplice”), avendo piuttosto escluso, in radice, qualsivoglia interesse culturale dell’opera in parola, sulla base dei criteri all’uopo fissati dal Ministero (qualità estetica dell’opera, originalità del tratto), essendo stata realizzata da un artista non italiano ed in assenza di qualsivoglia legame con il contesto artistico italiano. Infine, il provvedimento di annullamento risulterebbe viziato in quanto privo di una adeguata motivazione circa la sussistenza del preteso interesse culturale di rango “semplice”, ostativo alla libera circolazione dell’opera (l’amministrazione avrebbe travisato le informazioni relative ai viaggi di Dalí in Italia). La critica d’arte, ha fatto presente la Fondazione, non ha infatti mai ricondotto il dittico alla permanenza in Italia di Dalí, oppure alle influenze culturali del nostro paese o del suo territorio, evidenziando semmai che, se reciproche influenze vi sono state, sarebbero da rintracciare tra Dalí e l’artista surrealista René Magritte. Non ci sarebbero stati poi legami particolari tra Dalí e Scelsi, dato che i due non si conobbero e in più il dittico fu acquistato dalla compagna del compositore. Pertanto, non ci sarebbe neppure alcun vincolo pertinenziale con la casa di Scelsi, tanto più che l’artista scelse di sua spontanea volontà di piazzare l’opera in un caveau.
La Fondazione ha anche rilevato che, dal momento che in Italia ci sono due opere di Dalí al Guggenheim di Venezia e tre ai Musei Vaticani, la presenza del dittico sul territorio nazionale non sarebbe necessaria per favorire la conoscenza della cultura surrealista. Quanto invece al legame col Mart, è stato rilevato che il museo trentino non lo ha praticamente mai mostrato in Italia e lo ha quasi sempre concesso in prestito per mostre all’estero. Anche la stessa “rarità del pezzo” addotta dal Ministero come ragione per non far uscire l’opera, secondo la Fondazione confermerebbe l’insussistenza dei presupposti per l’apposizione del vincolo, poiché in base ai criteri tecnici enunciati dal Ministero, lo stesso si porrebbe, nel panorama pittorico italiano, in maniera totalmente isolata e non sufficiente per assolvere alla crescita culturale del Paese verso la poetica del surrealismo. Anche la casa d’aste Bonhams, peraltro, ha impugnato il provvedimento dichiarativo dell’interesse culturale del dittico con censure simili a quelle della Fondazione Scelsi.
Il Tar ha ritenuto fondati i ricorsi di Fondazione Scelsi e Bonhams. Il tribunale del Lazio ha intanto rilevato, si legge nella sentenza, che “’i competenti uffici del Ministero’ a cui l’Ufficio Esportazioni di Roma hanno inoltrato la domanda di rilascio dell’Attestato di Libera Circolazione, presentata dalla casa d’aste Bonhams, preso atto del tenore della stessa, in cui risulta inequivocabilmente - in disparte l’erroneo riferimento alla mancata provenienza del bene dagli enti di cui all’art. 10 Codice - che l’opera in contestazione, del valore dichiarato di 11.600.000,00, a firma di Salvador Dalí, è di proprietà della Fondazione Isabella Scelsi – ben avrebbero potuto avviare d’ufficio il procedimento di verifica dell’interesse culturale di cui all’art. 12 D.lgs. n. 42/2004. E che il procedimento di ’verifica’ dell’interesse culturale cosiddetto ’semplice’ di cui agli artt. 10 comma 1 e 12 non debba, necessariamente, viaggiare su binari paralleli rispetto al procedimento di ’dichiarazione’ dell’interesse culturale ’rinforzato’ di cui agli artt. 10 comma 3 e 13 D.lgs. n. 42/2002, pena l’illegittimità dell’agere pubblico, risulta ammesso, nel caso in esame, dalla stessa Avvocatura di Stato”. Quanto alla possibilità che l’opera sia stata realizzata in Italia, “tali circostanze sono state ampiamente ed efficacemente confutate dalla Fondazione Scelsi e dalla casa d’aste, al punto che le relative obiezioni hanno successivamente indotto il Ministero, in sede di procedimento di verifica/dichiarazione dell’interesse culturale avviato contestualmente annullamento dell’attestato, a, per così dire, ’aggiustare il tiro’, riconoscendo l’implausibilità degli assunti in parola”.
Sarebbe poi, sentenzia il Tar, “condivisibile la censura formulata dalla Fondazione Scelsi secondo cui il preteso legame karmico tra l’opera di Dalí ed il compositore Scelsi sarebbe inidoneo a giustificare la dichiarazione di interesse culturale in contestazione, traducendosi in irrilevanti considerazioni personali del redattore del provvedimento”. Inoltre la pertinenza con la casa di Scelsi, oggi divenuta casa museo, non si può desumere “dal fatto di avere trattenuto presso l’abitazione di Via San Teodoro n. 8 la mera gigantografia di un’opera d’arte ’straniera’ la quale, dalla fine degli anni ’80 fino al momento in cui è stata trasferita all’estero (2020), è stata debitamente custodita – quale bene privato di enorme valore economico (ben 11.600.000,00 euro) - prima presso il caveau di una banca romana e, dal 2004 in poi, presso il deposito di un museo trentino che, per lo più, ne ha consentito l’esposizione all’estero”.
Ancora, secondo il Tar “il procedimento di verifica dell’interesse culturale cd. semplice, ai sensi del combinato disposto di cui agli artt. 10 comma 1 e 12 commi 1 e 2 D.lgs. n. 42/2004, è stato, quindi, condotto in spregio agli indirizzi generali posti dal Ministero ed in applicazione di un inammissibile criterio del tutto nuovo, personale e avulso dalle caratteristiche artistiche dell’opera”. Infine, sul fatto che l’opera di Dalí promuoverebbe la conoscenza del surrealismo in Italia, conclude il Tar, “coglie nel segno la pregnante obiezione della Fondazione secondo cui il provvedimento in parola difetta completamente dell’accertamento: dell’eventuale presenza, sul territorio italiano, di una quantità adeguata di opere dell’artista in discussione, idonea ad apprezzarne la singolarità; delle rilevanze contenutistiche e delle complessità delle tecniche del dipinto; dell’eventuale esistenza, sul territorio, di una offerta qualitativa sufficiente a rappresentare lo sviluppo di un percorso artistico culturale che sia fruibile per la collettività”.
Per il Ministero della Cultura adesso però possono aprirsi le porte del ricorso al Consiglio di Stato, al quale spetterà l’ultima parola sulla vicenda.