Ha rubato alcuni importanti quadri di un museo tedesco sostituendoli con delle copie per mettere all’asta gli originali. È accaduto a Monaco di Baviera, dove lo scorso 11 settembre il tribunale distrettuale ha condannato un trentenne, dipendente di un istituto della città (che non viene nominato nel comunicato del tribunale, mentre la Süddeutsche Zeitung, uno dei principali quotidiani tedeschi, afferma che si tratta del Deutsches Museum) a una pena detentiva totale di 1 anno e 9 mesi da scontare con libertà vigilata, per aver venduto tre quadri e aver tentato la vendita di un quarto dipinto in modo illegale. A titolo di risarcimento, il tribunale ha ordinato la confisca di una somma di 60.617,90 euro.
Dal maggio 2016 all’aprile 2018 il trentenne è stato impiegato come impiegato tecnico “nella gestione delle collezioni di un museo di Monaco”, si legge nella nota del tribunale. In virtù del suo ruolo, l’uomo aveva accesso al deposito del museo dove erano conservati i dipinti rubati. Durante questo periodo, l’ex dipendente ha dapprima scambiato un importante quadro di Franz von Stuck, La favola del principe ranocchio (“Das Märchen vom Froschkönig”), offrendo l’originale all’asta in una casa d’aste di Monaco, la Ketterer, in una vendita che si è tenuta il 24 maggio 2017. L’uomo ha affermato falsamente che il dipinto era di proprietà dei suoi nonni: messo dunque in vendita con una stima iniziale di 40.000 euro, è stato acquistato da una galleria svizzera che se l’è aggiudicato per la somma di 70.000 euro. L’ex dipendente ha ricevuto dalla vendita un totale di 49.127,40 euro, pagati in contanti.
Gli altri due dipinti rubati dal museo sono La prova del vino (“Die Weinprüfung”) di Eduard von Grützner e Due ragazze che raccolgono legna in montagna (“Zwei Mädchen beim Holzsammeln im Gebirge”) di Franz von Defregger: sempre con lo stesso meccanismo, hanno fruttato all’imputato rispettivamente 4.490,50 euro e e 7.000 euro. Il quarto dipinto è Dirndl di Franz von Defregger, che però non è stato messo all’asta.
A seguito delle tre vendite illegali, l’ex dipendente ha percepito complessivamente la somma di euro 60.617,90, utilizzando il denaro per saldare i suoi debiti e finanziarsi uno stile di vita lussuoso. “L’imputato ha sfruttato spudoratamente la possibilità di accedere ai depositi degli edifici del datore di lavoro”, si legge nella sentenza, “e ha venduto beni culturali di valore per assicurarsi un tenore di vita esclusivo e per mettersi in mostra”.
Tutto bene quel che finisce bene? Ovviamente no: il caso pone infatti diverse questioni. Intanto, una questione di sicurezza: come ha fatto il trentenne ad agire indisturbato facendo uscire dai depositi del museo addirittura quattro dipinti? E poi, come è possibile che alla casa d’aste nessuno si sia accorto della provenienza illecita dell’opera, tanto più che, nel caso dell’opera di Franz von Stuck, la scheda di vendita includeva dettagliate informazioni sulla provenienza? Nella scheda si poteva leggere infatti la sua provenienza dalla raccolta del collezionista Arthur von Franquet di Braunschweig (il timbro del collezionista compariva sul retro), poi passata al figlio Carl Friedrich von Franquet, anche lui collezionista d’arte, e possessore, tra le altre opere, di una versione dell’Urlo di Munch messa all’asta nel 2012 da Sotheby’s a New York e venduta per 125 milioni di dollari.
L’opera non risulta disponibile in database pubblici: se tutte le opere dei musei fossero pubblicate in cataloghi gratuiti e liberamente consultabili da parte di tutti, rischi come quelli del caso in questione verrebbero fortemente ridotti, perché le case d’asta avrebbero molto meno margine d’errore in quanto sarebbe più facile controllare l’origine delle opere.