Il New York Times ha sollevato una polemica attorno a un’opera esposta alla mostra Plasmato dal fuoco. La scultura in bronzo nella Firenze degli ultimi Medici, in programma a Palazzo Pitti dal 18 settembre al 12 gennaio 2020. Oggetto della contesa è una Venere al bagno attribuita al Giambologna (Jean de Boulogne; Douai, 1529 - Firenze, 1608). Secondo il quotidiano statunitense, che solleva dubbi contro gli Uffizi (da cui dipende Palazzo Pitti) e il suo direttore Eike Schmidt in un articolo firmato da Graham Bowley, sono molti i punti oscuri attorno all’opera, che sarebbe più semplicemente una copia seicentesca. Così, quello che finora era rimasto un dibattito tra studiosi ha assunto una portata più ampia, soprattutto per il fatto che in mezzo ci sarebbero dei tentativi di vendita, e anche in ragione del fatto che diversi organi di stampa italiani hanno maldestramente bollato l’opera come un “falso” (l’unica cosa chiara nella vicenda è che non si tratta di un caso di falso: tutt’al più si tratta di stabilire se il bronzo è stato prodotto nelle fonderie del Giambologna, o se è una copia tarda, realizzata da un altro artista).
Il primo punto sollevato dal quotidiano americano riguarda il proprietario della Venere, l’antiquario Alexander Rudigier, che sarebbe impegnato da trent’anni “in una lotta per provare che il suo bronzo scoperto trent’anni fa nella casa di un rigattiere di Parigi sia un’opera del grande maestro rinascimentale Giambologna”. Il secondo punto su cui insiste il giornale è l’amicizia che lega Schmidt (autore della scheda del catalogo in cui si attribuisce l’opera, mai esposta prima d’ora al pubblico, proprio allo scultore di origini francesi) a Rudigier. Secondo il New York Times, “il signor Rudigier, proprietario dell’opera assieme a un altro mercante, da anni cerca di vendere il bronzo, e gli storici dell’arte dicono che il giudizio di Schmidt potrebbe influenzare il valore della scultura”. Ad attaccare la mostra è soprattutto la storica dell’arte tedesca Dorothea Diemer, secondo la quale “cercano [il soggetto nell’articolo non è specificato, ndr] di dare credibilità alla loro opinione mostrando l’opera. È in vendita, e quest’attribuzione fa la differenza. È questione di soldi, tanti soldi”.
Il terzo punto riguarda alcuni dettagli: una data sul bronzo, interpretata come “1697” invece che come “1597”, alcuni particolari dei capelli e delle braccia che sarebbero incompatibili con lo stile del Giambologna (nello specifico, i capelli si troverebbero in uno stato di incompiutezza inusuale per il Giambologna maturo), e un’iscrizione in latina “ME FECIT GERHARDT MEYER HOLMIAE” (“mi fece Gerhardt Meyer a Stoccolma”) che lascerebbe dubbi sull’attribuzione, anche in ragione del fatto che la scultura, che secondo le ipotesi dei pro-Giambologna fu commissionata dai Medici per il re Enrico IV di Francia, non potrebbe aver avuto una firma diversa da quella dello scultore di Douai specialmente se concepita come un regalo per un importante sovrano straniero (e anche ammettendo che il Meyer dell’iscrizione non fosse l’omonimo scultore attivo in Svezia a fine Seicento, ma un collaboratore del Giambologna, un certo “Gerardo fiammingho” menzionato nei documenti, secondo gli scettici sarebbe stato comunque inopportuno far firmare la statua a uno scultore della cerchia: non ci sono comunque testimonianze di un “Gerhardt Meyer” attivo a Firenze all’epoca del Giambologna).
Tra gli studiosi più accreditati a schierarsi contro l’attribuzione al Giambologna figura Dimitrios Zikos, esperto dell’artista (del quale ha curato un’importante mostra nel 2006), che ritiene la scultura “un’interessante copia”. “L’idea che uno sconosciuto proveniente dal Circolo Polare Artico”, ha dichiarato Zikos, “abbia assistito Giambologna, che aveva tre fonderie al suo servizio, e che questo sconosciuto abbia ricevuto una così prestigiosa commissione prima di sparire nel nulla come una meteora, è frutto della più selvaggia immaginazione e contraddice tutto quello che sappiamo del mecenatismo del granduca Ferdinando de’ Medici”. Anche secondo il Getty Museum (dov’è conservata un’opera omologa, in marmo), che ha studiato il bronzo nel 2000, si tratta di una copia.
Gli Uffizi si difendono dagli attacchi con una nota ufficiale diramata ieri. Intanto, fanno sapere che non tutti gli studiosi del Giambologna sono contrari all’attribuzione al maestro: “a favore si sono schierati, chiaramente e inequivocabilmente, numerosi e stimatissimi esperti della materia”, fa sapere il museo. Tra i favorevoli figurano Bertrand Jestaz, uno dei massimi esperti del bronzo rinascimentale italiano, Lars-Olof Larsson, autore della monografia su Adriaen de Vries (importante allievo del Giambologna) e profondo conoscitore dell’arte svedese, e Charles Avery, autore dell’unica monografia recente del Giambologna. Sempre sul fronte della discussione critica, gli Uffizi fanno notare che la Venere al bagno in bronzo “è già stata ampiamente discussa e analizzata in due tra le più importanti riviste scientifiche internazionali di storia dell’arte: Il Bulletin Monumental in Francia e il Burlington Magazine in Inghilterra. Lo scambio degli argomenti disponibili è stato portato a termine nel Burlington Magazine in favore all’attribuzione al Giambologna. Come anche altri capolavori del bronzo rinascimentale la Venere è solamente firmata dal suo fonditore, che l’ha pure datata al giorno della fusione. Che un bronzo sia firmato dal fonditore corrisponde a un’usanza diffusa nel Rinascimento, ed oggi non più sufficientemente conosciuta”.
Per quanto riguarda la data (1597 o 1697), gli Uffizi sostengono che “è stato avanzato che la cifra ‘5’ del 1597 sia un 6 incompleto. Questa ipotesi non è tecnicamente verificabile e rimane del tutto speculativa. Si può facilmente immaginare che se fosse stato un ‘6’, l’autore avrebbe corretto il numero incidendo a freddo dopo la fusione la parte lasciata aperta di quello che si legge come ‘5’, cosa evidentemente non avvenuta”. Si fa poi riferimento al curriculum del direttore degli Uffizi: “Eike Schmidt è uno dei massimi esperti della scultura bronzea rinascimentale”, si legge nella nota. “Come specialista ritiene che la Venere al Bagno del Giambologna sia un capolavoro dell’arte italiana del Cinquecento e che l’opera meriti l’inserimento nel contesto pubblico della mostra Plasmato dal fuoco. Inoltre uno degli obiettivi principali di questa mostra è di far vedere al grande pubblico opere che non sono mai state viste prima”.
Quanto al legame tra Schmidt e Rudigier, il museo risponde affermando che “il direttore degli Uffizi, proprio in quanto esperto di bronzi antichi, conosce ed è in buoni rapporti con tutti gli antiquari del settore, tuttavia quando si tratta di stabilire quali opere debbano entrare o meno a far parte di una mostra, si attiene rigorosamente a valutazioni di tipo espositivo ed accademico. Che è lo stesso criterio seguito per scegliere se includere o meno opere di privati: con la doverosa precisazione che dall’ingresso di Schmidt alla guida degli Uffizi nel 2015, su un totale di oltre 90 esposizioni organizzate fino ad oggi, per circa 10mila opere complessivamente offerte alla visione del pubblico, sono stati selezionati prestatori privati in appena 90 casi”.
Infine, gli Uffizi affermano che l’occasione di esporre la Venere al bagno in questo contesto fornisce a tutti l’opportunità di formarsi un giudizio mettendo in confronto l’opera con le altre del Giambologna presenti in mostra.
Firenze, scoppia il caso Venere del Giambologna: NY Times solleva dubbi contro gli Uffizi, che si difendono |