Da Exhibition a Site-Specific: 20 anglicismi dell'arte che possiamo evitare o sostituire


Il presidente del consiglio Mario Draghi ha puntato il dito contro anglicismi come smart working o baby sitting. Ma ce ne sono tantissimi anche nel mondo dell'arte: ne abbiamo presi 20 che potremmo evitare o sostituire.

Non ci sono soltanto le parole inglesi come l’abusato smart working (che peraltro gli inglesi non usano) o l’altrettanto terribile baby sitting, ovvero i due anglicismi contro i quali si è pronunciato venerdì scorso il presidente del consiglio Mario Draghi durante il suo discorso per la campagna vaccinale anti-Covid. Gli anglicismi sono ormai entrati in ogni settore lavorativo, e il mondo dell’arte non fa eccezione. E pensare che l’Italia ha dato tantissimi termini alla lingua inglese, pensiamo soltanto a quelli che hanno a che fare con le tecniche: tempera, quadratura, pastiglia, cangiante, graffiti, impasto, che nella lingua della regina sono identici all’italiano. O termini che l’inglese ha leggermente modificato come “fresco” per dire “affresco”, o “imprimatura” per “imprimitura”.

Benché alcuni termini siano nati in paesi anglofoni per designare specifiche forme d’arte (ad esempio, Land Art, oppure Action Paiting, o ancora Street Art, benché di quest’ultimo ci sia un ottimo omologo in italiano: “Arte Urbana”) e siano dunque difficili da sostituire, il linguaggio del mondo dell’arte (o... dell’art world, come magari dirà qualcuno) è zeppo di anglicismi che si possono tranquillamente evitare perché esistono perfette e più eleganti traduzioni in italiano, oppure che si potrebbero sostituire.

Quali sono gli anglicismi più abusati tra gli addetti ai lavori, sia che si parli di arte antica, sia che si parli di arte contemporanea? Ne abbiamo selezionati venti. Ecco quali sono.

1. Exhibition. Capita ormai sempre più spesso di vederlo utilizzare al posto dell’italianissimo “mostra”. Se proprio occorre trovare dei sinonimi, ci sono termini altrettanto validi come “esposizione” o “rassegna”, perché doversi fermare all’inglese?

2. Opening. “Vi invitiamo all’opening della exhibition”. Per fortuna non ci è ancora capitato di trovare esagerazioni simili, ma l’espressione “opening della mostra” è molto diffusa. Basta dire “inaugurazione”. O, se proprio vogliamo usare una lingua straniera, un più raffinato vernissage può andare benissimo.

3. Happening. A meno che non stiamo parlando della forma d’espressione artistica nata con Kaprow negli Stati Uniti degli anni Cinquanta, “happening” per dire “evento” è una cosa che non si può davvero sentire.

4. Workshop. Si può tranquillamente dire “seminario”. Se il termine vi evoca tonache e preti, andranno benissimo anche “laboratorio”, “corso di specializzazione”, “gruppo di studio”... insomma tutto tranne “workshop”.

5. Site-Specific. Il termine è ormai talmente entrato nell’uso comune, che molti non sanno che francesi, spagnoli e tedeschi non lo usano per indicare un’opera o un’installazione che nasce per un sito specifico. In Germania usano un patriottico Ortsspezifisch. In spagnolo, in francese e in portoghese si adopera il latino in situ. Sì, in italiano ha una sfumatura un poco diversa, ma perché non utilizzare l’espressione anche per le opere Site-Specific?

6. Still. Sarà capitato a tanti di vedere “still da video” nella didascalia di un’opera di Video Arte (o “Video Art”). Lo si può serenamente rendere con “fotogramma”.

7. Palette. Che peraltro è francese, ma tanti lo percepiscono come inglese perché abbiamo cominciato a usarlo insistentemente dopo che è entrato nell’uso comune della lingua di Londra. Comunque sia, non esistono valide ragioni per preferirlo all’italiano “tavolozza”.

8. Underdrawing. Termine che sta prendendo sempre più piede nei saggi d’arte antica, e non si comprende per quali motivi alcuni lo preferiscano al meglio comprensibile “disegno”, “disegno preparatorio”.

9. Backstage. L’espressione “dietro le quinte”, anche sostantivata, ci consente di capire meglio dove ci troviamo.

10. Abstract. Ancora nel campo della saggistica scientifica e accademica... perché non tradurlo con termini come “sintesi”, “sommario” o vasta schiera di sinonimi equivalenti?

11. Paper / Call for paper. Altri termini tratti dal mondo accademico. “Paper” può essere reso con “studio”, “ricerca” e simili. E “call for paper” lo si può trasformare in un più elegante “invito a contribuire” o espressioni equivalenti.

12. Advertising. Perché non si può più dire semplicemente “pubblicità”?

13. Courtesy. Compare ormai ovunque nelle didascalie per dire che un’immagine è stata concessa dal suo proprietario. Si può tradurre con “Su gentile concessione di”, “Dietro cortese concessione di”, “Per cortesia di” o anche più banalmente “Cortesia” se proprio vogliamo rendere il concetto con una sola parola.

14. Old Masters. Termine a cui ci ha abituati il mondo delle aste e che indica i “Grandi Maestri” dell’arte antica.

15. Buyer’s Premium. Altra espressione tipica delle vendite all’asta, si potrebbe tradurre con “commissione dell’acquirente” o simili.

16. Expertise. In questo caso esistono perfetti equivalenti come “perizia”, “stima”, “valutazione”.

17. Viewing room. Termine che ha cominciato a diffondersi in modo capillare durante il lockdown (ecco, a proposito di anglicismi: perché non fare come fanno i francesi che usano “confinamento”?) del 2020 per indicare un certo tipo di mostra virtuale, solitamente temporanea, dove si vedono le opere proposte da una galleria. Non esiste ancora un vero equivalente ma perché non possiamo renderlo con “sala virtuale” o qualcosa del genere?

18. Installation view / Exhibition view. Per fortuna c’è chi ha cominciato a tradurlo con “Vista dell’installazione”, “Vista della mostra”.

19. Press preview / Press tour. Concludiamo con le perle del mondo del giornalismo. Ad alcuni evidentemente non piace usare gli italianissimi, validissimi e più eleganti “Anteprima stampa” o “Viaggio stampa”.

20. Light lunch / Finger food / Cocktail party. E per finire, ecco il vero collante del mondo dell’arte, l’elemento che mette tutti d’accordo, l’agognato premio alla fine di un lungo opening o di una sofferta press preview, il motivo per cui tanti giornalisti e tanti addetti ai lavori frequentano gli happening: il cibo. Con tutto un fiorire di light lunch o cocktail party dove si mangiano finger food. “Stuzzichini” forse è un po’ démodé, ma almeno non evoca dita da mangiare. E se preferite light lunch a “pranzo veloce” per non avere l’idea che state andando di corsa, potete almeno adoperare il patriottico “aperitivo” invece del ridicolo “Cocktail” per designare l’evento (che andrà invece benissimo per indicare quello che andrete a bere... tranquilli, nessuno vi spronerà a usare il futurista ma ancor peggiore “polibibita”) o dell’ancor più nefasto “Cocktail party”.

Foto: miart 2018

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