In Italia e in altri paesi europei, com’è noto, in teoria la riproduzione di opere d’arte non è libera, neanche per quelle realizzate da artisti morti da secoli: l’ente o l’istituto che detiene la proprietà dell’opera può infatti decidere, a seconda della destinazione della riproduzione, di applicare un canone di riproduzione, variabile a seconda delle finalità dell’utilizzo. I social network hanno sdoganato l’utilizzo libero da parte degli utenti (si tratta in fondo di pubblicità gratuita per i musei), ma ci sono tanti ambiti in cui, per utilizzare le immagini di opere di, mettiamo, Leonardo da Vinci, Raffaello, Caravaggio o altri artisti è necessario pagare un canone: per esempio quando l’immagine viene inserita in pubblicazioni di carattere commerciale.
Per questo motivo, il movimento Creative Commons, che da anni ha creato una particolare licenza che consente il libero utilizzo di immagini altrui (seguendo alcune condizioni diverse a seconda della tipologia della licenza), ha lanciato un appello comune agli stati dell’Unione Europea per chiedere la liberalizzazione dell’uso delle immagini del patrimonio culturale in pubblico dominio, dove per “pubblico dominio” si intendono le opere degli artisti morti da più di un certo numero di anni (70, nell’Unione Europea). Se infatti un autore è vivo o è morto da meno di 70 anni, l’autore o gli eredi possono chiedere compensi per l’utilizzo dell’opera. Se si superano i 70 anni, i compensi diretti non possono più essere richiesti, ma il proprietario dell’opera può comunque chiedere, come detto, un canone di riproduzione. Ed è proprio su questo uso che si concentra l’appello.
“L’emergenza Coronavirus”, si legge nel testo dell’appello, “ha contribuito notevolmente alla riscoperta della centralità della rete e del digitale nel comunicare al pubblico il patrimonio culturale. Proliferano infatti in tutto il mondo iniziative di istituti culturali volte ad offrire libero accesso alle risorse digitali in rete per superare le distanze fisiche imposte dalle misure di contenimento del contagio. Si tratta di esperienze di cui sarà fondamentale fare tesoro anche dopo la fine dell’emergenza, per rilanciare l’imprenditoria culturale, l’industria creativa, il turismo, nonché l’attività di studio e la ricerca scientifica. La proposta, qui sintetizzata, muove esattamente in questa direzione, al fine di favorire la libera circolazione delle immagini di beni culturali pubblici non più protetti dal diritto d’autore”.
“Il libero riuso dell’immagine”, prosegue l’appello, “si rivela infatti uno straordinario strumento di innovazione, in quanto favorisce l’editoria culturale (e quindi anche la ricerca scientifica), l’industria creativa e offre nuovi stimoli al settore della moda e del design. Può inoltre giocare un ruolo importante nell’ambito del restyling grafico degli interni di infrastrutture, mezzi e aree pubbliche migliorando le condizioni di decoro urbano, nonché può dare impulso all’imprenditoria turistica nelle realtà meno visitate e alle più diverse forme di iniziativa economica. Il libero riuso rappresenta infine un modo per dare attuazione concreta a due principi fondamentali: ‘il patrimonio è di tutti’ e ‘la cultura può essere un volano per lo sviluppo economico’”.
“Questi principi”, ricorda l’appello, “hanno ispirato un numero crescente di istituti culturali in tutto il mondo, come la Library of Congress o la New York Public Library, il Getty Research Institute, il Rijksmuseum, la Biblioteca Nazionale di Spagna, il Museo Nazionale di Stoccolma e la Galleria Nazionale di Danimarca (che ha adottato lo slogan: It’s your cultural heritage. Use it!), i quali hanno scelto di rendere scaricabili dai propri siti web le immagini ad altissima risoluzione delle opere in pubblico dominio contenute nelle collezioni per incentivare il libero riutilizzo dell’immagine per qualsiasi fine, anche commerciale. Le trasformazioni radicali che il digitale ha prodotto nella nostra società ci invitano dunque ad abbandonare i tradizionali paradigmi ‘proprietari’, in favore di una visione del patrimonio culturale più democratica, inclusiva e orizzontale”.
“In molti casi”, argomenta Creative Commons, “si riscontra che le entrate provenienti dalla vendita delle immagini o dai canoni applicati sul riuso commerciale delle stesse, siano irrisorie se non addirittura inferiori alle spese di gestione dell’e-commerce o del meccanismo concessorio. Per contro, gli istituti che adottano un approccio aperto godono di importanti benefici in termini di marketing, di maggiore afflusso di turisti e, in generale, di maggiore capacità di attrarre finanziamenti pubblici e privati. Infine, la libera circolazione di immagini, anche per scopi commerciali, può agevolare la creazione di lavoro e redditi in un’economia circolare che, a sua volta, si traduce in maggiori introiti nelle casse dello Stato nell’ambito della fiscalità generale”.
Per questi motivi, nel quadro della direttiva 2019/790/EU che rimuove i diritti connessi alle immagini che riproducono opere d’arte quando l’atto risultante dalla riproduzione non costituisce di per sé un’opera originale, l’appello chiede che gli Stati dell’Unione recepiscano la direttiva (e in particolare il suo articolo 14) favorendo “l’adozione generalizzata da parte degli istituti culturali delle licenze aperte per il libero riuso, per qualsiasi scopo, delle immagini del patrimonio”. Il testo completo dell’appello si può leggere sul sito di Creative Commons Italia, in italiano e in inglese.
Immagine: Christoffer Wilhelm Eckersberg, Veduta di Roma dalle arcate del Colosseo (1815; olio su tela; Copenhagen, Statens Museum for Kunst, inv. KMS3123)
Liberalizzare le immagini delle opere d'arte: parte un appello di Creative Commons |