Cosa sta succedendo attorno a Documenta, tra dimissioni a catena e accuse di controllo


Documenta, la storica mostra di Kassel, è al centro di una bufera: dimissioni a catena (si sono dimessi tutti i membri del comitato di selezione del prossimo curatore) e accuse incrociate di controllo e scarsa libertà stanno colpendo una delle manifestazioni più importanti del mondo.

Che cosa sta accadendo attorno a Documenta, la più importante mostra d’arte internazionale dopo la Biennale di Venezia? Sullo sfondo della celebre manifestazione che si tiene ogni cinque anni a Kassel, in Germania (l’ultima edizione nel 2022) si sta consumando una vicenda piuttosto discussa partita, inizialmente, con uno scivolone degli ultimi curatori, il collettivo indonesiano Ruangrupa, attorno alla guerra Israele-Hamas. Poco dopo gli attacchi del 7 ottobre, infatti, due membri del gruppo hanno messo alcuni like a un video in cui si vedevano delle persone inneggiare alla Palestina libera: la cosa non è piaciuta ai vertici di Documenta che, il 10 ottobre, hanno pubblicato un comunicato sul sito ufficiale della mostra per condannare i membri di Ruangrupa rei d’aver messo like a un video non gradito. L’ad Andreas Hoffmann, in particolare, non ha gradito le tempistiche: poche ore dopo che i terroristi di Hamas sono entrati in territorio israeliano torturando e uccidendo innocenti e prendendo decine di ostaggi, il like dei curatori è parso “intollerabile e inaccettabile”. I “mi piace” sono stati poi ritirati e i due membri del gruppo, Reza Afisina e Iswanto Hartono, si sono difesi dall’accusa di sostenere i terroristi, affermando che avevano messo like perché pensavano che il video riprendesse la polizia nell’atto di disperdere una manifestazione pro-Palestina.

La questione però non si è conclusa lì. A metà novembre sono arrivate le dimissioni di due membri del Finding Committee della prossima edizione di Documenta, ovvero il comitato, composto da sei membri, che si occupa della selezione del nuovo curatore: l’artista israeliana Bracha Lichtenberger Ettinger e il poeta e critico d’arte indiano Ranjit Hoskoté hanno rassegnato entrambi le dimissioni a breve distanza l’una dall’altro. Hoskoté era stato criticato per aver firmato una “Dichiarazione contro il consolato generale di Israele” nel 2019 (una petizione che condannava un evento, organizzato presso l’Università di Mumbai dal consolato israeliano, in cui si discuteva il rapporto tra sionismo e nazionalismo indù), ritenuta antisemita in quanto si ricollegava al movimento per il boicottaggio, il disinvestimento e le sanzioni (BDS), campagna globale contro Israele che il governo tedesco ritiene, appunto, antisemita. Hoskoté era stato anche attaccato da Claudia Roth lo scorso 10 novembre per aver firmato questa sua petizione, e la stessa ministra aveva avanzato l’ipotesi di ritirare i finanziamenti statali per Documenta, così che la mostra ha chiesto a Hoskoté di prendere le distanze da quella firma.

“La mostruosa accusa di antisemitismo è stata mossa contro il mio nome in Germania, un paese che guardo con amore e ammirazione e alle cui istituzioni culturali e vita intellettuale ho contribuito per diversi decenni, come scrittore, curatore e teorico culturale”, ha detto Hoskoté. “Persone che non hanno alcuna conoscenza della mia vita e della mia opera mi hanno giudicato, denunciato e stigmatizzato sulla base di una sola firma su una petizione, estrapolata dal suo contesto e non affrontata con spirito ragionevole. Si è scritto di me con durezza e condiscendenza, e nessuno dei miei detrattori ha ritenuto importante chiedermi il mio punto di vista. Sento fortemente di essere stato sottoposto al procedimento di un tribunale farsa. Per me è chiaro che non c’è spazio, in questa atmosfera tossica, per una discussione articolata sulle questioni in gioco. E ora – in quello che mi sembra un tentativo fallito di salvare una situazione che è irreparabile – mi viene chiesto di accettare una definizione ampia e insostenibile di antisemitismo che confonde il popolo ebraico con lo Stato israeliano; e ciò, di conseguenza, travisa qualsiasi espressione di simpatia nei confronti del popolo palestinese come sostegno a Hamas”.

Il Fridericianum di Kassel durante Documenta 14. Foto: Olaf Kosinsky
Il Fridericianum di Kassel durante Documenta 14. Foto: Olaf Kosinsky

Le dimissioni di Lichtenberger Ettinger non sono legate a quelle di Hoskoté ma sono comunque in qualche modo connesse alla guerra Israele-Hamas. Dopo l’attacco del 7 ottobre, l’artista israeliana ha infatti ritenuto difficile continuare a lavorare e ha chiesto a Documenta un’interruzione del processo di ricerca, che non è stata concessa. Di qui, la decisione di dimettersi. “Recentemente ho chiesto di rallentare il processo. Il mondo dell’arte come lo immaginavamo è crollato ed è ora frammentato, ho scritto e ho aggiunto: ‘Cosa può portare l’arte ai nostri secoli bui? La questione del significato dell’essere umano è strettamente legato al significato dell’arte. Gli artisti non sono qui per decorare la politica. La funzione dell’arte non è quella di estetizzare le idee politiche’ (W. Benjamin) […] La situazione in Medio Oriente è tragica sotto tutti i punti di vista. Civili innocenti hanno sofferto e sono morti, e il mio cuore piange per ogni morto da ogni parte. Ogni vita è preziosa. Ho condiviso con voi la mia incapacità di essere efficace nell’ultima serie di incontri (12-13 ottobre), avvenuti nonostante non potessi arrivare di persona, in Germania, perché mi avete informato che i miei voli erano stati cancellati, e ai quali ho dovuto partecipare via Zoom, paralizzata sotto i razzi, con i dettagli del massacro commesso da Hamas su civili, donne e bambini israeliani, e del rapimento di bambini, neonati e civili che venivano trasmessi in streaming sul mio schermo durante il nostro pranzo e le pause caffè, a pochi giorni dal massacro di Hamas che ha dato inizio alla tragica guerra […]. La futura documenta è stata nella mia mente incessantemente negli ultimi 7 mesi. Abbiamo lavorato tutti duro. Sfortunatamente, oggi, sento di non poter più continuare a contribuire al processo”.

Le dimissioni dei due membri hanno scatenato un vero terremoto, dal momento che pochi giorni dopo anche tutti gli altri membri del comitato di selezione (Gong Yan, Simon Njami, Kathrin Rhomberg e María Inés Rodríguez) hanno rinunciato ai loro incarichi, appena tre giorni dopo i loro colleghi, che si erano dimessi il 13 novembre. Il motivo scatenante? Proprio la vicenda che si è scatenata attorno a Hoskoté: si ritiene infatti che la responsabilità politica venga assunta in maniera impropria e, in sostanza, che il dibattito sia eccessivamente polarizzato e semplificato. Il gruppo ha firmato una lettera in cui si legge che “se l’arte vuole tenere conto delle complesse realtà culturali, politiche e sociali del nostro presente, ha bisogno di condizioni adeguate che consentano le sue diverse prospettive, percezioni e discorsi. La dinamica degli ultimi giorni, con il discredito incontrastato da parte dei media e del pubblico nei confronti del nostro collega Ranjit Hoskoté, che lo ha costretto a dimettersi dal comitato di ricerca, ci fa dubitare fortemente che questo presupposto per una futura edizione di Documenta sia attualmente fornito in Germania. L’arte richiede un esame critico e multiprospettico delle sue diverse forme e contenuti per poter risuonare e sviluppare la sua capacità trasformativa. Riduzioni categoriche e unilaterali e semplificazioni eccessive di contesti complessi minacciano di stroncare sul nascere qualsiasi esame di questo tipo. Documenta ha una lunga tradizione di discorso aperto e intellettualmente responsabile. Fin dall’inizio, il tempo e il luogo della sua fondazione istituzionale dopo la Seconda Guerra Mondiale hanno indicato uno dei principi politici che definiscono Documenta: rinegoziare costantemente il mondo attraverso la lente dell’arte e con esplicita consapevolezza degli orrori inimmaginabili che la cecità ideologica rende possibile. Comprendiamo che, alla luce del suo passato, la Germania ha precise responsabilità sociali e politiche. La grande sensibilità verso tutte le tendenze antisemite testimonia eloquentemente quanto la nazione abbia interiorizzato questa responsabilità. Il continuo adempimento di questa stessa responsabilità merita il massimo apprezzamento, soprattutto ora, quando segnali allarmanti di un antisemitismo profondamente radicato si stanno facendo sentire ancora una volta in tutto il mondo. Allo stesso tempo, però, questa consapevolezza di responsabilità particolari corre il rischio di essere utilizzata in modo improprio per la politica di opinione al fine di reprimere fin dall’inizio approcci indesiderabili e la loro discussione ampia e aperta. Invece del dibattito e della discussione, l’eccessiva semplificazione e i pregiudizi vengono così sostituiti fin troppo facilmente. È questo clima emotivo e intellettuale di eccessiva semplificazione di realtà complesse e delle conseguenti limitazioni restrittive, che è prevalente fin dai tempi di Documenta15 e soprattutto sullo sfondo delle attuali crisi che il nostro mondo sta affrontando, che ci rende impossibile concepire un progetto espositivo forte e significativo, e di conseguenza consentire una continuazione responsabile del processo di selezione per determinare un concetto curatoriale per Documenta16”.

L’accusa che viene dal gruppo è forte: secondo i quattro membri, infatti, in Germania non ci sarebbe spazio per lo scambio di idee e la complessità. “Nelle circostanze attuali”, concludono gli ex membri del comitato, “non crediamo che ci sia spazio in Germania per uno scambio aperto di idee e per lo sviluppo di approcci artistici complessi e sfumati che gli artisti e i curatori di documenta meritano. Non crediamo che si possano creare condizioni accettabili a breve termine e riteniamo che sia irrispettoso nei confronti dell’eredità di Documenta accontentarsi della situazione attuale”.

Ma non è ancora tutto: lo scorso 22 novembre un’altra tegola è caduta su Documenta, quando i due curatori internazionali Manuel Borja-Villel e Vasif Kortun hanno divulgato il trattamento che è stato loro riservato dalla direzione di Documenta. Stando a quanto raccontato dai due professionisti, Documenta li avrebbe invitati, separatamente, a formulare una proposta per Documenta 16. I due hanno scoperto di esser stati selezionati entrambi e, avendo riscontrato di avere una visione comune, hanno deciso di presentare un progetto congiunto, e si sono informati per capire se fosse possibile inviare una proposta congiunta. Dopo aver ricevuto risposta positiva da uno dei membri del comitato di selezione, hanno inviato la proposta, confermata e condivisa con il comitato di selezione. La direzione, tuttavia, avrebbe risposto affermando che non avrebbe preso in considerazione la proposta poiché l’invito era personale e non condivisibile. Dopo vari scambi di mail, la direzione sarebbe sempre dell’idea di non prendere in considerazione la proposta di Borja-Villel e Kortun. E anche loro hanno scritto una lettera aperta.

“Quello che una volta era un luogo di sperimentazione e autonomia sta diventando un luogo di controllo. Storicamente, a partire da Documenta 5, il regista e il suo team avevano completa libertà di creatività. La funzione del nuovo direttore di Fridericianum e Documenta Gmbh sembra invece essere quella di controllo e supervisione politica”, scrivono i due. “Essere eliminati per una formalità una volta che il comitato aveva già discusso il progetto era inquietante. Le ultime notizie su Documenta, la denuncia di Ranjit Hoskote da parte di Documenta, le dimissioni di Bracha Ettinger, poi quelle di Hoskote, seguite dal resto del Comitato di constatazione, sono la prova di una crisi che riteniamo non artistica ma politica. Anche se ci espone, consideriamo etico renderlo pubblico. In gioco non c’è solo l’autonomia di un’istituzione, che è stata fondamentale per tutti noi, ma anche la sopravvivenza stessa di Documenta. Come nelle sue edizioni più straordinarie, l’importanza di Documenta risiede nella sua capacità di affrontare il ruolo dell’arte e offrire strumenti per comprendere i cambiamenti della storia. Come abbiamo scritto nella nostra proposta, Documenta dovrebbe adattarsi a modi alternativi di comprendere il mondo. Tutti rischiamo di perdere se Documenta evita di mettere in discussione lo status quo e si limita ai copioni sociali. In questo momento abbiamo più domande che risposte. Cosa ha portato il Comitato a dimettersi e come è iniziata la persecuzione di Ranjit Hoskoté? C’è stato qualcuno che ha ordinato un’indagine sinistra per portare alla luce un oscuro documento del 2019 e renderlo pubblico al momento opportuno? Qual è esattamente il ruolo del direttore del Museum Fridericianum e di Documenta Gmbh? È lì per facilitare la realizzazione del progetto scelto o esattamente il contrario? Come mai è emerso il problema della riservatezza una volta letta la nostra proposta? Forse le idee esposte o la lista dei collaboratori proposti non erano in linea con il nuovo spirito di Documenta. E infine, i funzionari tedeschi capiscono che Documenta, come ogni museo o centro d’arte, è un luogo in cui la società può affrontare i suoi terrori, desideri e speranze, e può farlo solo quando la libertà di creatività è garantita? Purtroppo, tutto ciò fa eco alla caccia alle streghe che prende di mira tutti gli intellettuali pubblici in Europa e all’estero che invocano la pace in Palestina. Sembra anche che ci siano interessi nel riempire uno spazio che è stato lasciato vuoto”.

Le discussioni intorno a Documenta, insomma, non sembrano placarsi e, anzi, sembra che il dibattito si stia allargando sempre più: secondo alcuni ne va addirittura della libertà dell’arte. Come riuscirà Documenta a uscire da questa situazione? Staremo a vedere...


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