Cosa sappiamo per ora sul patrimonio culturale di Gaza durante la guerra Israele-Hamas?


Quanti danni ha subito il patrimonio culturale di Gaza durante la guerra tra Israele e Hamas? L’argomento, ovviamente, è secondario rispetto a quello delle vittime, ma è comunque importante. Per adesso sappiamo molto poco, ma cominciano a emergere alcune notizie di distruzioni, alcune delle quali verificate dalla stampa internazionale.

Che cosa sta accadendo al patrimonio storico e artistico di Gaza durante la guerra tra Israele e Hamas? Oltre al dramma delle vittime civili (la triste conta ha superato le 20mila morti, secondo quanto riportato dal Ministero della Salute di Gaza: tuttavia le cifre, stando a quanto riferito all’agenzia Reuters dall’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Diritti Umani, potrebbero essere sottostimate), c’è anche quello della potenziale perdita dell’identità di questa terra che, divenuta dal 7 ottobre teatro di una violenta guerra, potrebbe veder perdere per sempre i propri monumenti. Al momento, poiché la guerra ancora infuria, raccogliere informazioni e verificarle è operazione oltremodo difficoltosa: naturalmente, mentre migliaia di persone muoiono durante i combattimenti non c’è tempo da dedicare a monumenti, musei e siti archeologici, e il problema che riguarda la cultura non può che apparire marginale, forse anche fuori luogo. Eppure appare evidente che Israele, come ha spiegato il giornalista Moshe Gilad sul quotidiano israeliano Haaretz, “vuoi per mancanza di scelta, vuoi per mancanza di attenzione, o forse anche deliberatamente, sta distruggendo antichi tesori culturali”, e “l’impatto di tale distruzione ci occuperà per gli anni a venire”.

Da parte palestinese, l’ufficio media del governo di Gaza, gestito da Hamas, ha parlato, in una nota diffusa nelle ultime ore del 2023, di oltre 200 siti distrutti: le devastazioni riguarderebbero chiese, moschee, scuole, musei, monumenti, siti archeologici. Sempre secondo l’amministrazione di Gaza, diverse distruzioni sarebbero state deliberate. Si tratta, tuttavia, di informazioni che non entrano più nel dettaglio. Ci sono però già alcuni elenchi di siti danneggiati o distrutti, che fanno riferimento soprattutto alla situazione dei primi di dicembre: durante la tregua concordata tra Israele e Hamas, durata dal 24 novembre al 1° dicembre, alcuni esperti hanno potuto compiere qualche ricognizione per stilare le prime liste di monumenti colpiti dalla guerra.

Il monumento più importante tra quelli il cui danneggiamento è stato confermato anche da parte israeliana è la Grande Moschea di Gaza, principale e più grande edificio di culto dell’intera Striscia di Gaza, costruita tra il XIII e il XIV secolo anche se poi più volte ricostruita (a seguito di guerre e terremoti), in particolare dopo i bombardamenti della prima guerra mondiale. La moschea, conosciuta anche come la Grande Moschea Omari, è andata quasi completamente distrutta già a ottobre: le immagini della moschea devastata, verificate dalla stampa internazionale (a partire dalla BBC), mostrano un edificio in rovine, del quale si è salvato soltanto il minareto. Il ministero delle antichità di Gaza ha accusato Israele di aver deliberatamente bombardato i siti antichi, e le forze armate israeliane (IDF) hanno risposto, come riporta Haaretz, che la moschea veniva usata da Hamas come base per attività terroristiche (l’esercito israeliano sostiene di aver scoperto un tunnel sotto l’edificio di culto).

La Grande Moschea di Gaza. Foto: Municipalità di Gaza
La Grande Moschea di Gaza. Foto: Municipalità di Gaza

Tra i siti danneggiati per primi, figura la chiesa di San Porfirio, chiesa ortodossa risalente al XII secolo (anche se ampiamente rinnovata dell’Ottocento), la più antica di Gaza e tra le più antiche della zona: la chiesa, situata nel quartiere di Zaytun nel centro storico di Gaza, era già stata danneggiata nel 2014 e lo scorso ottobre è stata colpita da un bombardamento israeliano.

Un primo elenco di siti danneggiati è quello pubblicato il 20 dicembre dalla sezione palestinese di ICOMOS, il Consiglio Internazionale dei Monumenti e dei Siti: l’ente deve constatare che “è impossibile condividere un aggiornamento completo”, poiché in mancanza di un cessate il fuoco permanente non è possibile “condurre una valida valutazione dei danni” e “proteggere quello che rimane del patrimonio antico di Gaza”. ICOMOS Palestine accusa poi esplicitamente Israele di condurre un’occupazione sul suolo di Gaza oltre che un “genocidio contro il popolo palestinese”.

Oltre alla Grande Moschea Omari, citata per prima nell’elenco della sezione palestinese di ICOMOS, compaiono altri otto siti che avrebbero subito danni: il Municipio Vecchio di Gaza, situato sulla strada principale della città, che si dice sia stato distrutto per circa il 50%; i giardini di Palazzo Al-Pasha, ovvero il museo di Gaza (successivamente, il Ministero del Turismo della Palestina ha diffuso immagini del palazzo devastato, assieme a una nota di condanna contro la distruzione, ritenendola “parte del piano dell’occupazione volto a cancellare e distruggere il patrimonio nazionale palestinese”); la moschea di Othman bin Qashqar nella città vecchia di Gaza, che sarebbe stata completamente distrutta; la moschea Ibn Othman (non si sa quali danni abbia subito); la chiesa cattolica della Sacra Famiglia, che avrebbe subito danneggiamenti; la moschea di Al-Sayyid Hashem, che sarebbe stata distrutta dall’artiglieria israeliana; il mercato di Al-Zawiya, anch’esso completamente distrutto secondo ICOMOS Palestine; il mercato dell’oro, del XIV secolo, che avrebbe riportato distruzioni ingenti.

Palazzo Al-Pasha prima e dopo. Foto: Ministero del Turismo della Palestina
Palazzo Al-Pasha prima e dopo. Foto: Ministero del Turismo della Palestina

Un report della ONG spagnola Heritage for Peace conta invece 104 siti danneggiati, elencando i nomi di 25 di essi: tra quelli che secondo l’organizzazione sarebbero andati completamente distrutti ci sarebbe la chiesa bizantina di Jabalia, del V secolo (che solo nel 2022 aveva riaperto alle visite dopo il restauro), la moschea di Omari a Jabalia, il porto antico di Gaza, la moschea di Sheikh Shaaban, la moschea di Al-Zafar Dmari, il Centro per i Manoscritti e i Documenti Antichi. Secondo la ONG, tutti questi siti avrebbero subito dei bombardamenti diretti.

Il Ministero della Cultura della Palestina ha inoltre pubblicato una serie di post su Facebook per denunciare la distruzione del “Bagno dei Samaritani” (Hamam al-Sammara), l’unico hammam antico ancora attivo a Gaza, della moschea dei martiri a Khan Yunis, della galleria d’arte contemporanea “The Meeting” (situata nel centro di Gaza, viene descritta come “un’iniziativa di giovani artisti a Gaza per istituire una galleria permanente di arti visive, per l’istruzione, la formazione e la cultura”), e il danneggiamento di siti come il centro culturale Rashad al-Shawa (uno dei monumenti contemporanei più importanti della città: venne progettato per essere sede del Parlamento palestinese), la Biblioteca e l’Archivio Centrale di Gaza. Molti inoltre i teatri e i centri culturali minori che avrebbero riportato seri danneggiamenti.

Centro Culturale Rashad al-Shawa
Centro Culturale Rashad al-Shawa. Foto: Ministero della Cultura della Palestina

Al momento è però difficile vederci chiaro, come conferma l’archeologo Alon Arad, direttore della ONG Emek Shaveh, intervistato da Moshe Gilad in merito alle distruzioni: “Apparentemente c’è un processo deliberato”, ha detto, “ma non posso dire da dove provenga. Ci sarà una presentazione al computer di un qualche capo dello staff che dice ‘Questi sono i beni culturali di Gaza e se li distruggiamo danneggeremo il nemico’? Oppure ci sarà un qualche giovane comandante sul campo che decide che qualche struttura gli sembra ‘legata a Hamas’ e quindi la distrugge? Lo spirito del comandante è comunque chiaro a tutti: distruggere Hamas e tutto ciò che è connesso ad Hamas. Oltre a ciò, ci muoviamo nel mondo dei danni accidentali, che derivano dall’ignoranza. La legge internazionale sul patrimonio vieta l’uso dei siti culturali come infrastrutture militari. È vietato costruire su di essi avamposti militari, e dall’altra parte è vietato danneggiarli deliberatamente. È chiaro a tutti noi che nel momento in cui una forza viene attaccata dall’interno di una moschea, la forza risponde al fuoco. Non ti aspetti che un giovane comandante dica ai suoi uomini: ‘No, no, quello è un edificio del V secolo, anche se ci sparassero non lo distruggeremo’. Eppure il diritto internazionale fa riferimento alla proporzionalità. Se venissero sparati alcuni proiettili dall’interno di una moschea non lanceremmo una bomba da una tonnellata sull’edificio. Mi è difficile giudicare il processo decisionale dei giovani soldati in pericolo, ma il risultato è che ora ci sono danni seri. Per me è chiaro che nessuna delle due parti sta adottando un approccio che aiuti a preservare gli importanti siti storici”.

L’impressione dell’archeologo è che l’IDF “stia lavorando con considerazioni molto più permissive. Vediamo la distruzione diffusa a Gaza. I siti del patrimonio culturale non fanno eccezione. Per noi è chiaro che Hamas utilizza almeno alcuni dei siti, ma l’impressione è che i siti storici di Gaza al momento siano completamente abbandonati perché non c’è nessuno che se ne prenda cura, la preoccupazione è per il cibo, il carburante, l’acqua, e l’attenzione che si può dedicare alla preservazione di un mosaico è inesistente. Ci sono diversi gruppi internazionali che hanno operato nella Striscia, ma non possono impedirne la distruzione. Anche un’organizzazione come l’UNESCO non ha mandato né forza, eppure va notato che ci sono tre siti nella lista del Patrimonio Mondiale Provvisorio: il porto antico di Gaza, Tell Umm Amer e l’area delle zone umide costiere di Wadi Gaza, che è candidata come sito del patrimonio naturale”.

E, a proposito di siti UNESCO, lo scorso 14 dicembre si è tenuta una riunione del Comitato UNESCO per la protezione dei beni culturali in casi di conflitto armato, col risultato che è stata concessa al sito archeologico di Tell Umm Amer una “protezione rafforzata provvisoria”. Anche se non è ben chiaro come sarà possibile proteggere il sito da eventuali distruzioni. Quel che appare sicuro, è che Gaza rischia di perdere una parte considerevole della propria storia.


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