I musei nel mondo se la passano male: 9 su 10 sono chiusi e registrano perdite di migliaia di euro


NEMO - Network of European Museum Organisations, la principale rete che unisce i musei europei, ha diffuso i risultati di un sondaggio condotto su 650 musei in tutto il continente per valutare l’impatto che l’emergenza sanitaria del Covid-19 da coronavirus ha avuto sui musei. Ne è emerso un panorama sconfortante: quasi tutti i musei sono chiusi e hanno subito perdite economiche importanti, il ritorno a una normalità sostenibile si preannuncia lento, e adesso l’urgenza è chiedere ai governi di investire nel patrimonio culturale dei paesi europei, “per supportare”, si legge nella premessa del rapporto, “quello che ci unisce tutti assieme. I musei forse non cambiano il mondo, ma quando lavorano al meglio delle loro possibilità possono mostrare che cosa anche l’umanità può fare quando dà il meglio di sé”. NEMO chiede dunque che i musei abbiano un adeguato supporto dalle istituzioni europee, nazionali, regionali e locali, al fine di mitigare le perdite, garantire la tutela dell’occupazione, e continuare a investire in progetti culturali. “I musei”, continua ancora la premessa, “sono stati rapidi e proattivi nel reagire alla pandemia. Hanno focalizzato la loro attenzione nella comprensione delle necessità delle loro comunità in questa situazione. Dalla donazione di mascherine e guanti agli ospedali alla raccolta di oggetti e di testimonianze per preservare questo momento storico e trarne insegnamenti, dall’incremento dei servizi digitali alla condivisione delle collezioni, dall’offerta di strumenti digitali all’aumento dei servizi per coinvolgere e dare un conforto alle persone costrette a rimanere a casa”. NEMO invita infine i musei a impegnarsi sempre più nel lavoro sul digitale e nella ricerca di metodi alternativi e più flessibili di lavoro per il futuro, oltre che nello sviluppo di piani di emergenza.

Veniamo ai risultati del sondaggio. Alla data del 3 aprile, hanno risposto 650 musei di 41 paesi (tutti i 27 paesi membri dell’Unione Europea, 9 paesi che non fanno parte dell’UE ma fanno parte del Consiglio d’Europa, e ancora USA, Filippine, Malesia, Polinesia Francese e Iran). Nel 92% dei casi i musei sono chiusi: le eccezioni riguardano la Svezia, l’Albania e l’Austria. Per molti di quelli chiusi, la data di riapertura non è definita: i pronostici vanno da metà aprile fino addirittura a settembre (e ad ogni modo tutti sono d’accordo nel sottolineare che le riaperture dovranno seguire la valutazione dello sviluppo dell’epidemia in ogni paese). Per quanto riguarda le perdite economiche, il 30% dei musei sta perdendo fino a 1.000 euro a settimana (il sondaggio ha coinvolto anche musei piccoli), il 25% fino a 5.000 euro a settimana, il 13% fino a 30.000 euro a settimana, il 5% oltre 50.000 euro a settimana. I principali musei indagati, come il Rijksmuseum di Amsterdam, il Kunsthistorisches Museum di Vienna e lo Stedelijk Museum di Amsterdam, perdono tra i 100mila e i 600mila euro a settimana. Il danno è grave soprattutto per i musei che si trovano in località turistiche: per loro le perdite sono nell’ordine del 75-80%.

L’emergenza impatta anche sui prestiti: diverse mostre sono state prorogate, dal momento che si prevede l’impossibilità di pianificare trasporti internazionali nei prossimi mesi. Inoltre, diversi musei hanno affermato che i progetti pianificati saranno riconsiderati a causa delle ripercussioni della crisi sulle risorse economiche.

Ci sono però anche buone notizie: la maggior parte dei musei, almeno per il momento, non ha dovuto licenziare i dipendenti (il 70% dei musei ha affermato di aver cambiato le mansioni dei dipendenti per meglio soddisfare le rinnovate esigenze). Le brutte notizie riguardano però gli autonomi: i loro contratti sono stati sospesi in molti musei. Sempre per quanto riguarda il lavoro, metà dei musei ha fatto sapere che al momento l’80% dei dipendenti è in smart working da casa. Le modalità per le riunioni sono le videoconferenze (Zoom o Skupe) e i programmi di chat (Teams o Whatsapp). Dei musei che hanno partecipato al sondaggio, il 28,2% ha meno di cinque dipendenti, il 16,4% meno di dieci dipendenti, il 19,1% meno di venti dipendenti, il 16,1% meno di cinquanta dipendenti, l’8,3% meno di cento dipendenti, l’11,9% più di cento dipendenti.

Per quanto riguarda il digitale, più del 60% dei musei ha incrementato la propria presenza online, ma solo il 13,4% ha aumentato i fondi destinati a queste attività. Sempre per quanto riguarda il digitale, molti musei (più del 70%) stanno utilizzando i social più di prima (lavorano molto sugli hashtag, e per quanto riguarda le piattaforme l’80% utilizza soprattutto Facebook, mentre il 20% soprattutto Instagram), e le modalità preferite sembrano essere il racconto di singoli oggetti dalle collezioni, i tour virtuali e le mostre online. Ci sono anche musei che hanno attivato podcast, dirette via web o giochi. La tattica ha pagato, perché il 40% dei musei ha riportato un aumento delle visite online a partire dal giorno della chiusura: di questi, il 41% ha notato un aumento del 20% dei visitatori a settimana, il 38% un aumento fino al 50%, un 8% ha visto raddoppiare gli accessi, e il 13% li ha visti aumentare per una cifra compresa tra il 100% e il 500%.

Nell’immagine: Vienna, il Kunsthistorisches Museum.

I musei nel mondo se la passano male: 9 su 10 sono chiusi e registrano perdite di migliaia di euro
I musei nel mondo se la passano male: 9 su 10 sono chiusi e registrano perdite di migliaia di euro


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