Non solo danni per il turismo, come molti hanno già denunciato, a causa dell’emergenza coronavirus che ha comportato una serie di chiusure di musei e attività in quasi tutto il nord Italia. I danni potrebbero interessare gli stessi lavoratori della cultura, specialmente i precari, sui quali rischia di gravare il peso delle chiusure. Sono circa 130 i musei pubblici chiusi, e normalmente vengono visitati da circa 500mila persone tra le ultime settimane di febbraio e marzo: le mancate visite, com’è ovvio, comportano mancati introiti per lo Stato, per le aziende che gestiscono musei e servizi, e per i musei a gestione privata.
I lavoratori che rischiano di sobbarcarsi il peso delle chiusure sono guide turistiche, operatori museali, responsabili dei servizi educativi e tanti altri. Molti di loro hanno contratti precari, tanti altri un contratto proprio non ce l’hanno, gran parte di loro guadagna poco (è stato calcolato che in Italia 8 lavoratori della cultura su 10 guadagnano meno di 15mila euro l’anno), con retribuzioni molto spesso inferiori agli 8 euro all’ora. Molti altri lavorano a chiamata in regime di partita IVA o di ritenuta d’acconto, e sono i lavoratori che subiscono perdite nell’immediato: lo stesso vale per chi è pagato ad ore con i co.co.pro, e si tratta di una situazione che interessa molti importanti centri turistici come Milano, Torino, Bologna, Ravenna, Trieste, Mantova, Parma, Modena, Bergamo, Padova, Brescia. Ci sono poi i lavoratori esternalizzati, come quelli dei Musei Civici di Venezia.
Nessuno dei lavoratori della cultura ovviamente nega l’emergenza e la necessità delle misure prese, ma alle istituzioni viene chiesto che chi diffonde cultura non venga lasciato indietro. “Sappiamo che siamo in tantissimi nella stessa situazione, dai bar al settore alberghiero”, spiega Alice Battistella, attivista del movimento Mi Riconosci? Sono un professionista dei beni culturali, che vive sulla propria pelle la chiusura dei Musei Civici veneziani. “L’emergenza”, sostiene Battistella, “rischia di travolgere tutto il settore turistico nelle settimane e nei mesi a venire. Noi siamo i più deboli della catena, lavoratori autonomi costretti a operare con Partita IVA o ritenuta d’acconto, o con contratti più che precari. Per noi perdere 500, 1000 euro spesso vuol dire non avere i soldi per l’affitto e le bollette: una situazione già grave ma potenzialmente drammatica, se l’emergenza di si dovesse protrarre. Siamo stati esclusi per decenni dai più banali ammortizzatori sociali e ora l’urgenza di una riforma della nostra situazione si presenta in tutta la sua forza. Chiediamo al Governo di fare tutto il possibile per aiutarci. Si è scelto di bloccare il nostro settore, ci sacrifichiamo volentieri per l’emergenza, ma non possiamo, per salvarci da un’emergenza, farne esplodere un’altra: quella del lavoro precario nel settore dei beni culturali, quella di lavoratori poveri che divengono dall’oggi al domani ancora più poveri”.
Perdite anche per chi lavora tra cultura e turismo, come spiega Chiara Delmiglio, guida turistica di Milano, secondo la quale l’ordinanza che prevede la chiusura dei musei regionali e la sospensone delle gite scolastiche è stata un duro colpo, ma ancor peggio è stata “la presa di coscienza del fatto che qualcosa è cambiato per noi questa prima metà dell’anno”. Spiega infatti Delmiglio: “La sottoscritta, così come molte mie colleghe, lavora per il 70% con scuole di ogni ordine e grado: ci lavoro sia come membro dei team della didattica interna di alcuni musei, sia come free lance per progettazione di uscite scolastiche con relativi laboratori in classe. Per farvi capire la gravità della mia perdita di solo questa settimana (dal 24 febbraio al 1° marzo) ho dovuto annullare: due full day (uno con una scuola e l’altro con un gruppo di adulti), tre visite didattiche in musei milanesi, due percorsi all’aperto, una visita tematica per neomamme a Monza. Sono perfettamente d’accordo nel seguire alla lettera tutti i punti dell’ordinanza, tuttavia quello che mi preoccupa è il dopo... cosa succederà? Nonostante sia scritto nero su bianco che le gite scolastiche debbano essere annullate fino al 15 marzo, ho già ricevuto 4 annullamenti per visite guidate con classi di scuole primarie e secondarie nei mesi di marzo ed aprile. Evidentemente, pare che i presidi possano decidere se prolungare la restrizione e quindi cancellare tutte le uscite didattiche che erano in previsione. Forse non tutti si rendono conto che dietro ad una semplice gita scolastica si nasconde un enorme lavoro: progettare, fare sopralluoghi, realizzare supporti didattici innovativi, acquistare eventuali materiali per i laboratori”. Quello che ci si augura, conclude Delmiglio, è che “le associazioni di categoria possano fare qualcosa; perché il vero danno non è nell’immediato ma a lungo termine. Aprile e maggio sono i mesi più ricchi di lavoro per noi e saranno un disastro a seguito di un’isteria di massa non giustificata. Milano risorgerà come sempre ha fatto... ma il turismo (nello specifico quello scolastico) ci metterà più tempo a ripartire. E noi operatori turistici siamo lasciati soli come sempre”.
A Torino, Flavio Utzeri, archeologo e attivista di Mi Riconosci, la situazione non è troppo diversa. “In questi giorni“, ci ha detto, ”ho raccolto numerose testimonianze da colleghi e amici qui a Torino e posso assicurare che il minimo comun denominatore è la paura. Paura di perdere molti soldi, e di rimanere completamente ignorati anche dalle eventuali misure del governo per far fronte ai danni economici legati alle misure. Molti di noi lavoratori non siamo inquadrati con contratti, siamo precari, lavoriamo a cottimo, pagati all’ora (che la legge chiama ‘ritenuta d’acconto’, o ‘partita IVA’). Provate a immaginare cosa significhi, ad esempio, per chi lavora nei progetti educativi del Polo del 900, che guadagna quasi esclusivamente con le scuole vedersi annullate le attività con i ragazzi così, da un giorno all’altro, e non avere alcun indennizzo o tutela. Aggiungete poi che le paghe sono normalmente basse, e che d’estate si lavora per poche ore e niente più... oppure per le guide turistiche, che arrivano a perdere diverse centinaia di euro solo per questa settimana, e che rischiano ‘l’effetto domino’ per i prossimi mesi. Non riusciamo a capire quale sia la ragione per la quale dobbiamo fermarci noi e non i negozi, ad esempio, tutti se lo chiedono. Siamo così inutili agli occhi di chi governa e amministra? È davvero così più semplice il contagio nei musei che nei centri commerciali? Penso soprattutto a quei musei (la maggioranza) che fanno poche centinaia di visitatori al giorno, se non decine. Qui sembriamo gli unici a porci il problema. Certo che, comunque, da una società che ci ritiene facilmente interscambiabili con il volontariato forse non potremmo aspettarci di più”.
Effetti negativi anche in Friuli-Venezia Giulia, come spiega Mario Andrea Francavilla, paleontologo, guida naturalistica, accompagnatore turistico ed esperto di comunicazione, attivo a Trieste. “In Friuli Venezia Giulia, zona molto legata ai flussi turistici di Venezia e della neocapitale europea della cultura Rijeka, come in tutta Italia, il blocco ha sortito effetto devastanti per i lavoratori del turismo culturale. Musei chiusi, attività, visite guidate e gite scolastiche sospese significano un blocco totale e annullamenti a pioggia che per un professionista, in questa stagione, significano più di 1000 euro a settimana in fumo, ma non soltanto per il mercato italiano, perché questo ha messo in crisi anche Tour Operator e professionisti che lavorano sull’incoming dall’estero. Se per una guida però significa perdere dei soldi, per il personale esternalizzati di musei, biblioteche, ecc... Questo equivale a perdere il lavoro, considerando anche le paghe da fame e i contratti ultra precari che vi sono associati. Saltano i Carnevali e saltano anche le lezioni all’università. Non ci è minimamente possibile quantificare ancora l’ammontare del danno ma basta tenere conto di come il blocco incida su persone dall’Australia al Canada per immaginare cifre che si aggirano su decine di milioni di euro”.
L’appello che i lavoratori della cultura rivolgono al governo è di varare immediatamente misure straordinarie per i lavoratori autonomi o precari colpiti dalla chiusura delle istituzioni culturali. “Non ci sono solo le imprese e le grandi istituzioni”, ripetono: chi sta più in basso è più esposto ai rischi.
Nella foto: cancelli chiusi al Castello di Miramare di Trieste
Musei chiusi per coronavirus, il rischio è quello di affossare, oltre al turismo, anche i precari della cultura |