È il 4 dicembre del 2016: un ventottenne, Edgar Welch, entra nella pizzeria Comet Ping Pong di Washington D.C. armato di un fucile d’assalto AR-15. La sua intenzione non è quella di provocare una strage, ma semplicemente quella di indagare autonomamente su una teoria del complotto che circola da mesi. È uno dei punti di snodo della vicenda passata alla storia come “teoria del Pizzagate”, che ha avuto un impatto notevole alla vigilia delle elezioni presidenziali americane del 2016 ed è ancora oggi una colonna della teoria del complotto di QAnon: proprio i sostenitori di QAnon (la teoria secondo la quale esisterebbe un “Deep State” di poteri occulti, composti da reti di satanisti e pedofili, che sarebbero rei di operare contro il presidente americano Donald Trump) sono stati ieri tra i principali animatori dell’assalto a Capitol Hill e al Congresso degli Stati Uniti. Tutti hanno ormai presenti le immagini del personaggio che si è presentato alla rivolta travestito da bovino con corna e pelliccia: si autoproclama “lo sciamano di QAnon”.
E proprio mentre seguaci di QAnon, neonazisti, antisemiti ed estremisti assortiti assaltavano il parlamento statunitense, su Twitter, durante le fasi più concitate dell’attacco, alcuni utenti postavano foto di opere “sataniste” di Marina Abramović o insultavano l’“assassino pedofilo” John Podesta, presidente della campagna elettorale di Hillary Clinton nel 2016, capo di gabinetto di Bill Clinton tra il 1998 e il 2001, nonché fratello del collezionista d’arte Tony Podesta. Le sovrainterpretazioni di alcune opere d’arte, non soltanto di Marina Abramović ma anche di altri artisti presenti nella collezione di Podesta (Patricia Piccinini, Biljana Djurdjević, Maria Marshall, Jeff Koons e altri) hanno avuto un ruolo molto rilevante nel diffondere e fomentare la bufala del Pizzagate: secondo questa teoria del complotto esisterebbe una rete di politici statunitensi e di personaggi da loro frequentati (Marina Abramović è tra questi) dediti al traffico di esseri umani, alla pratica di rituali occulti e agli abusi su minori e bambini. Secondo i complottisti, una delle sedi di tali abusi sarebbe stata proprio la pizzeria Comet Ping Pong (da cui il nome “pizzagate”): Welch, il 4 dicembre 2016, voleva accertarsi di persona che la teoria fosse fondata.
Il pistolero del Comet Ping Pong, ha scritto il professor Spencer Dew dell’Università di Chicago, “è la manifestazione di una crisi epistemologica dell’americano contemporaneo”, una crisi epistemologica che deriva dall’ansia di conoscere (la domanda che la genera, sostiene Dew, è: “come possiamo saperlo?”), che si nutre di coincidenze, che consuma i social media e minaccia il giornalismo tradizionale, che si fonda su un approccio quasi fideistico nei confronti di certe convinzioni. Ed è una crisi, scrive Dew, "facilitata dalla sostituzione dei tradizionali mezzi di comunicazione con l’accesso populistico ai media, alimentato dalle preoccupazioni sulle coincidenze tra i ricchi e le posizioni di potere politico, esacerbato da situazioni a cui le grandi ricchezze attribuiscono e danno valore (in particolare l’arte contemporanea: Jeff Koons, Lady Gaga e Marina Abramović rappresentano i punti focali del terrore, per via della loro decadenza o del loro esoterismo abbinati alla magica trasformazione in commodity di oggetti comuni)".
Tweet di un seguace di QAnon la mattina del 7 gennaio, contro le opere di Marina Abramović |
Un momento dell’attacco al Congresso del 6 gennaio |
Un momento dell’attacco al Congresso del 6 gennaio |
Le origini di questa agitazione che i complottisti nutrono nei confronti delle opere d’arte risale all’ottobre del 2016, quando il sito Wikileaks pubblicò una mail inviata da Marina Abramović al summenzionato Tony Podesta, imprenditore e noto collezionista d’arte, peraltro assiduo frequentatore della Biennale di Venezia, possessore, scrive il Wall Street Journal, di una residenza a Washington “dove ha esposto una collezione di opere d’arte degne di un museo” (il suo mondo è poi crollato, si legge sempre nell’articolo del WSJ, per “problemi finanziari, minacce legali, e per l’elezione del presidente Donald Trump). Nella mail dell’artista serba, inviata a Tony Podesta in data 28 giugno 2015, si legge: ”Dear Tony, I’m so looking forward to the Spirit Cooking dinner at my place. Do you think you would be able to let me know if your brother’s joining? All my love, Marina“ (”Caro Tony, non vedo l’ora di dare la cena Spirit Cooking da me. Pensi di riuscire a farmi sapere se tuo fratello si unirà a noi? Con tutto il mio affetto, Marina"). I teorici del Pizzagate hanno dato un’interpretazione fortemente distorta delle parole di Marina Abramović, arrivando alla conclusione che lei e i fratelli Podesta avessero in animo di organizzare un rituale satanico: idee che hanno fatto facile presa sui complottisti anche perché alimentate da media dell’alt-right molto popolari, come InfoWars o Drudge Report che hanno diffuso articoli titolati come “Spirit Cooking: i manager della campagna di Hillary Clinton praticono bizzarri rituali occulti”.
Sull’immaginario dei complottisti ha fatto breccia la performance Spirit Cooking di Marina Abramović, reinterpretata durante la cena: si tratta di un’opera risalente al 1996 e fino ad allora poco nota, ma non perché l’artista volesse tenerla nascosta: semplicemente perché non è tra le più famose, più riuscite, e a dire il vero neanche tra le più violente, tra le azioni della performer di Belgrado. Abramović ha tenuto la sua performance (rappresentata per la prima volga a Gent, in Belgio), anche in Italia, il 1° giugno del 1997, nei locali dell’associazione Zerynthia di Paliano (Frosinone): su YouTube è disponibile un video della performance “frusinate”, e basta scorrere tra le migliaia di commenti per rendersi conto di come la performance venga interpretata dai teorici del complotto. Sul sito della MIT Press, l’editore del Massachusetts Institute of Technology, si può trovare un esauriente commento di Spirit Cooking, scritto da James Westcott, biografo dell’artista: durante l’azione, Marina Abramović dipingeva, sulla parete bianca della galleria, frasi sconnesse, con l’utilizzo di sangue suino. Si trattava di finte istruzioni che mischiavano il linguaggio tipico delle ricette di cucina con situazioni dell’immaginario esoterico o religioso, per esempio: “con un coltello affilato incidi profondamente il dito medio della tua mano sinistra e mangia il dolore”, oppure “mescola latte di donna con sperma fresco e bevilo nelle notti di terremoto”, e ancora “gira su te stesso fino a perdere conoscenza e prova a mangiare tutte le domande della giornata”. Abramović, fondendo comico e mistico, aveva pubblicato anche un libro di ricette Spirit Cooking, dove aveva radunato istruzioni simili.
“Conosco Marina da quattordici anni”, afferma Westcott nel suo articolo, “ho scritto una sua biografia, e credo che non abbia mai adorato niente. Quello che ha fatto è aver utilizzato il mondo delle pratiche spirituali, esoteriche e religiose come fonte di materiale per performance sperimentali e come strumenti di meditazione per placare il suo sconfinato dolore psicologico. Essenzialmente lei prende lo spirituale e lo spreme nel carnale puro. È tutta una questione di stimoli, deprivazioni ed estetica per raggiungere certi effetti fisici e certi stati mentali. Lei crede in tutto e quindi in niente. Tranne che nel potere del corpo”. Nessuna istruzione per rituali satanici, dunque, né tanto meno per abusi su minori. Il suo Spirit Cooking, del resto, è immaginato per sconvolgere il pubblico, esattamente come tante altre sue performance, da quelle più violente (come Balkan Baroque, forse una delle più terribili, che non ha niente a che fare con l’occultismo, ma con le conseguenze, ben più urgenti, reali e dolorose, della guerra nei Balcani degli anni Novanta), fino a quelle più “tranquille” come The artist is present. Niente di strano neppure per chi conosce un minimo di storia dell’arte: l’azionismo viennese, per esempio, ha abituato il pubblico a scene ben peggiori. E chi conosce la pratica di Marina Abramović ovviamente non può che ritenere del tutto comprensibili le parole di Westcott. Il critico americano sottolinea infatti come “le interpretazioni letterali dell’alt-right richiamino le culture wars degli anni Ottanta e Novanta, quando la linea tra la rappresentazione e advocacy, tra artificio e realtà, divenne sfocata, e apparentemente non si è ancora tornati a mettere la lente a fuoco”. Westcott ricorda come Marina Abramović abbia soggiornato in alcuni monasteri buddhisti per meditare, abbia trascorso alcuni mesi con gli aborigeni d’Australia, abbia dato vita ad azioni per omaggiare santa Teresa d’Àvila, ma tutto ciò non fa di lei una buddhista, una sciamana o una cattolica, così come aver attinto dall’immaginario esoterico non fa di lei un’occultista. Lei stessa ha definito Spirit Cooking come nient’altro che “poesia”.
Marina Abramović, Spirit Cooking (1996; performance) |
Marina Abramović, Senza titolo, da Spirit Cooking (1996; acquatinta, 31,5 x 27,8 cm; New York, MoMA) |
Marina Abramović mentre esegue la performance Balkan Baroque |
Marina Abramović esegue una performance all’evento di beneficenza per il Watermill Center di New York, nel luglio del 2013 |
Perché Marina Abramović aveva fatto riferimento alla sua performance del 1996 nella mail inviata a Tony Podesta? La spiegazione è molto semplice: la messa in scena dell’azione era il premio previsto per i sostenitori di più alto livello di una campagna di crowdfunding avviata nel 2013 su Kickstarter (l’artista cercava fondi per realizzare un istituto d’arte nello stato di New York), e per chi donava almeno diecimila dollari era previsto, come premio, “una cena con Marina Abramović durante la quale l’artista vi insegnerà come cucinare una serie di zuppe tradizionali. La serata terminerà con la realizzazione di una golden ball, una ricetta che Marina ha appreso in un monastero tibetano” (così si leggeva su Kickstarter). I complottisti però non hanno creduto a una sola parola dei critici d’arte che pure hanno speso tempo per spiegare gli intenti della performance di Marina Abramović, e grazie anche all’effetto amplificatore dei social network, lei, Tony Podesta e suo fratello John sono diventati automaticamente occultisti dediti a rituali satanici. Ma non è tutto: le migliaia di blog e piattaforme della galassia cospirazionista hanno poi cominciato a far circolare, anche in Italia, alcune immagini, in cui si vedono Marina Abramović e Lady Gaga attingere finto sangue da una vasca in cui è immersa una donna nuda, spacciandole per le fotografie della cosiddetta “Spirit Cooking dinner”: si trattava in realtà di fotografie risalenti al luglio del 2013, quando l’artista tenne a New York uno show di beneficenza finalizzato a raccogliere fondi per il Watermill Center, istituto d’arte della città americana. E anche qui niente di strano per chi frequenta il mondo dell’arte ed è abituato a partecipare ad azioni performative simili: sono però immagini che fanno presa su un pubblico totalmente digiuno d’arte contemporanea e per di più facilmente impressionabile.
Purtroppo le accuse di satanismo continuano a tormentare Marina Abramović anche a distanza di tempo: lo scorso aprile, per esempio, l’artista è stata costretta a chiedere a YouTube la cancellazione, dall’account della Microsoft, di un video per il suo progetto The Life, che pubblicizzava un dispositivo di realtà virtuale attraverso il quale i partecipanti a una performance organizzata nel 2019 alle Serpentine Galleries di Londra potevano incontrare virtualmente l’artista per 19 minuti. Il video è stato subissato di commenti di complottisti, tanto da spronare Marina Abramović a difendersi pubblicamente dalle accuse e a chiedere la rimozione del filmato.
Ma l’artista serba non è l’unica esponente del mondo dell’arte contemporanea a esser stata presa di mira dai seguaci di QAnon. Nel 2017, l’artista anglo-svizzera Maria Marshall era stata raggiunta da diverse di mail di complottisti che evidentemente avevano scoperto certi suoi lavori, risalenti agli anni Novanta, che ritraggono bambini impegnati in attività non sicure (l’opera più nota è il video in cui si vede il figlio di Marshall che fuma una sigaretta). Si tratta ovviamente di fotomontaggi, realizzati per apparire verosimili, ma sono stati presi per veri dai seguaci delle teorie del complotto, che l’hanno dunque accusata di far parte del circolo di Pizzagate, per il fatto che anche il suo nome è associato a quello di Tony Podesta: l’imprenditore e collezionista ha infatti donato diverse opere di Maria Marshall al National Museum of Women in the Arts di Washington. Sono opere, si legge nel sito del Metropolitan Museum di New York che conserva alcuni lavori di Maria Marshall, che parlano delle “paure materne e dei timori connessi alla commodificazione dell’infanzia nella cultura occidentale”. Opere, naturalmente, provocatorie, ma di sicuro non associabili a pratiche pedofile come vorrebbero i teorici del complotto. In un video su YouTube, si legge in un articolo della rivista Artnet, un complottista introduceva le immagini di Maria Marshall avvisando che “ci sono cose che non potrei mostrarvi, cose di cui non sarete contenti”, e che non poteva denunciare l’artista perché “la cospirazione si è infiltrata anche nell’FBI”. Le accuse sono state tali da aver provocato anche la replica dei figli di Maria Marshall, sempre riportata da Artnet (“ma chi sono questi che non hanno niente di meglio da fare che perdere il loro tempo diffondendo false voci?”).
L’elenco degli artisti finiti nel mirino dei sostenitori di QAnon potrebbe continuare a lungo. Jeff Koons (che nel 2016 fece alcune donazioni per la campagna di Hillary Clinton) per le sue opere che fanno riferimento al mondo dei cartoni animati e in generale dell’infanzia, la serba Biljana Djurdjević (un suo dipinto si vede nella fotografia di una stanza della casa di Tony Podesta pubblicata nel 2015 dalla rivista Washington Life Magazine) per i suoi dipinti che ritraggono bambini in procinto di essere torturati (e che in realtà, come ben spiegato nel testo di presentazione di una sua mostra tenutasi al Moderna Museet di Stoccolma tra il 2006 e il 2007, fanno semmai riferimento alla vulnerabilità dei più piccoli di fronte ai media e, in generale, alle violenze che ogni giorno i minori subiscono in ogni parte del mondo: quindi semmai si tratta di dipinti di condanna e non di approvazione), Patricia Piccinini (altra artista della collezione Podesta) per le sue sculture realistiche che raffigurano mostri che insidiano bambini. Addirittura alcuni complottisti si sono scagliati contro una scultura di Louise Bourgeois, che compare nell’articolo del Washington Life Magazine dove viene identificata come una delle preferite di Tony Podesta, perché la donna raffigurata avrebbe una vaga somiglianza con la vittima di un serial killer che uccise diciassette persone all’inizio degli anni Novanta.
Maria Marshall, When I Grow Up I Want to Be a Cooker (1998; video a canale singolo; New York, Metropolitan Museum of Art) |
Biljana Djurdjević, The future brings us nothing! (2010; inchiostro, penna e acrilico su tela, 38 x 71 cm) |
Patricia Piccinini, Undivided (2004; silicone, capelli umani, tecnica mista, 101 x 74 x 127 cm) |
Diversi giornali hanno smontato le teorie del Pizzagate e dei seguaci di QAnon: si possono trovare molti articoli su testate come l’Observer, l’Huffinton Post, la CNN e diverse altre fonti affidabili. Ci sono articoli sulla teoria in generale, ma anche sui singoli argomenti: una testata come USA Today, per esempio, si è trovata costretta a pubblicare un articolo di debuking intitolato: “Fact check: non ci sono prove per supportare le voci secondo cui Lady Gaga è una strega” (un titolo che, nel XXI secolo, forse dovrebbe farci riflettere su cosa abbiamo sbagliato). In Italia (dove non mancano i seguaci di QAnon, ma dove molto poco si parla di questi temi: il nome ha cominciato a ricorrere solo dopo i fatti di ieri sera) si segnalano i lavori fatti da Formiche.net e dall’Internazionale, con gli articoli dello scrittore Wu Ming 1.
Lo scrittore Robert Guffey, in un suo articolo sulla rivista Salon, ha definito QAnon come “una teoria del complotto che copre tutto, dal Pizzagate a Kanye West a Marina Abramović”: “mi chiedo”, ha scritto Guffey, “se qualcuno dei seguaci di QAnon abbia mai sentito parlare di quest’artista di altissimo livello [Marina Abramović, ndr] o del suo lavoro prima che le voci abbiano cominciato a circolare attraverso gli angoli e le fessure di 4chan. Mi immagino un paio di tizi, nella loro tana da maschio americano medio, che navigano su internet bevendo Red Bull o Keystone Light [una birra americana economica, ndr] e si imbattono nelle fotografie fuori contesto delle performance di Marina Abramović, si eccitano mentre la immaginano ad aprire le gambe per Lucifero o Baphomet o Moloch o Tom Hanks o Bill Clinton, diventano sovreccitati e allo stesso tempo sono in preda a un senso di colpa fondato sulla religione, e corrono immediatamente dentro una chat per condannare la Abramović per i suoi modi seduttori”.
Anche l’arte dunque ha avuto un ruolo non secondario nell’accendere gli animi di quanti ieri hanno assaltato il Congresso, stante anche il noto potere delle immagini, combinato alla “crisi epistemologica” di cui si parlava in apertura e alla difficoltà di accettare che una realtà può essere molto più semplice e meno nascosta di come la si presenti. Si immagini cosa può voler dire replicare su migliaia di blog e account social immagini delle opere di Marina Abramović con didascalie o descrizioni del tutto fuorvianti: si intuiscono molto facilmente i rischi. Cosa fare dunque? La risposta sta nella corretta informazione, anche se i risultati possono essere frustranti. Marina Abramović, per esempio, in occasione delle controversie sorte per il video dell’aprile 2020 di cui si diceva sopra, aveva fatto sapere al New York Times che sarebbe stata addirittura disposta ad accogliere i complottisti alla sua performance The artist is present, per aiutarli a capire il suo lavoro. Ma forse non basta. “La loro energia”, ha detto l’artista, “è alimentata dalla teoria del complotto. E non hanno un’altra teoria per sostituirla”.