Per ChatGPT sono Miyazaki amari: le immagini fake in stile Studio Ghibli violano il copyright?


Si profilano problemi legali per ChatGPT in seguito all’ondata di immagini fake in stile Studio Ghibli generate dagli utenti? Da un paio di giorni non è più possibile farlo, e cresce il dibattito su temi come il diritto d’autore, il consumo di energia, l’inquinamento visivo.

Stanno tornando d’attualità, in queste ore, i commenti che Hayao Miyazaki, il grande regista d’animazione giapponese, pronunciò nel 2016 per commentare l’eventualità che una macchina potesse produrre opere d’arte. “Sono profondamente disgustato”, diceva Miyazaki. “Non vorrei mai incorporare questa tecnologia nel mio lavoro. Sento che è un insulto alla vita stessa”. Il fatto è che l’ultima versione di GPT-4o, il modello più aggiornato di ChatGPT, da qualche giorno consente agli utenti di rielaborare fotografie nello stile di Studio Ghibli, lo studio di animazione di Miyazaki, autore di film storici come La città incantata, Il mio vicino Totoro, Il castello errante di Howl e molti altri. Gli utenti hanno apprezzato l’ultimo aggiornamento e le immagini sono immediatamente diventate virali: fotografie di politici, scene di film, foto personali sono state passate al vaglio del programma e hanno inondato la rete, con aziende che hanno anche sfruttato questa possibilità per fare marketing. Anche Sam Altman, ceo di OpenAI, l’azienda proprietaria di ChatGPT, ha cambiato la sua immagine profilo su X per aggiornarsi su questo trend. E persino la Casa Bianca ha utilizzato un’immagine del genere, molto criticata, per comunicare l’arresto e l’espulsione di una cittadina straniera.

Tuttavia, questo strumento ha fatto anche nascere un vivace dibattito. Intanto, c’è un serio problema relativo al copyright. La rivista Futurism, specializzata in temi che riguardano la tecnologia e l’intelligenza artificiale, ha sentito l’esperto Robert Rosenberg, fondatore dello studio legale Telluride Legal Strategies, secondo il quale Studio Ghibli potrebbe intraprendere un’azione legale contro OpenAI per la situazione che si è creata. Secondo il legale, infatti, OpenAI potrebbe aver violato il Lanham Act, legge statunitense che disciplina il diritto dei marchi. “Ghibli”, ha spiegato Rosenberg, “potrebbe sostenere che OpenAI, convertendo le foto degli utenti in ‘stile Ghibli’, sta sfruttando la reputazione dei marchi Ghibli, utilizzando il proprio stile riconoscibile e creando il rischio di confusione tra i consumatori, che pensano che questa funzione sia stata approvata o concessa in licenza dallo Studio Ghibli”. Inoltre, OpenAI potrebbe essere citata in giudizio per aver addestrato i suoi modelli su opere protette da copyright, ovvero quelle dello Studio Ghibli. Al momento però non ci sono precedenti legali per capire se OpenAI abbia violato o meno la legge statunitense del copyright, perché la materia è nuovissima: ad ogni modo, l’azienda sta già affrontando alcune cause legali, una delle quali intentata dal New York Times, sempre per violazione del copyright (il giornale sostiene infatti che OpenAI ha usato il suo materiale senza alcuna autorizzazione per addestrare i modelli di intelligenza artificiale).

Un fotogramma da La città incantata
Un fotogramma da La città incantata

Non si sa ancora se Studio Ghibli avanzerà effettivamente azioni legali contro OpenAI: il fatto è che, siccome non c’è ancora una giurisprudenza in merito, non è sicuro che un’eventuale azione contro l’azienda possa avere come esito una vittoria. E lo studio di animazione giapponese per il momento non ha rilasciato commenti su quanto accaduto. Tuttavia, Rosenberg ha anche affermato che, qualora i tribunali, nelle cause in corso, non si pronuncino all’unanimità in favore di OpenAI, potrebbe configurarsi un futuro in cui gli sviluppatori di intelligenza artificiale dovranno compensare i titolari dei diritti d’autore e riconoscere il loro merito ogni volta che i loro contenuti vengano utilizzati per produrre degli output.

Sul tema è intervenuta nelle scorse ore OpenAI: “Continuiamo a impedire le generazioni nello stile dei singoli artisti viventi”, ha detto all’agenzia AFP un portavoce dell’azienda, “ma consentiamo stili di studio più ampi, che le persone hanno utilizzato per generare e condividere alcune creazioni originali dei fan davvero deliziose e ispirate. Stiamo sempre imparando dall’uso e dal feedback del mondo reale e continueremo a perfezionare le nostre politiche”.

C’è poi un discorso di opportunità: la rete nei giorni scorsi è stata invasa da contenuti che, in qualche modo, sono destinati a restare. Diventerà dunque più labile il confine tra realtà e finzione, nel senso che, accanto alle immagini realmente prodotte da Studio Ghibli, in rete sarà possibile trovare dei fake prodotti dall’intelligenza artificiale e qualcuno potrebbe prenderli per buoni. Una forma di inquinamento visivo, dunque, che rischia di confondere tanti utenti della rete. E poi, c’è il tema delle risorse energetiche che vengono spese per soddisfare l’enorme richiesta dell’utenza. Un prompt di ChatGPT consuma molta energia, perché i calcoli che le macchine compiono per rispondere alle richieste degli utenti sono molto veloci e molto complessi. Inoltre, il modello GPT-4o consuma dodici volte più del modello precedente. La sostenibilità ambientale di questa mole di dati è dunque un argomento rilevante.

Ad ogni modo, da almeno un paio di giorni, non è più possibile creare immagini in stile Studio Ghibli, neanche aggirando il blocco. Se si prova a inviare al sistema un prompt per chiedere un’operazione del genere, si ottiene in risposta un messaggio che dice: “Non sono in grado di elaborare questa richiesta poiché viola le nostre policy sui contenuti. Sentiti libero di inviare un nuovo prompt e sarò felice di aiutarti”. Evidentemente in OpenAI qualcuno si è seriamente posto il problema del copyright delle immagini. Inoltre, Sam Altman, in un post su X pubblicato già lo scorso 27 marzo, aveva detto che “è super divertente vedere che le persone amano le immagini di ChatGPT”, ma che i processori “si stanno fondendo”, proprio a causa dell’elevata richiesta, di conseguenza l’azienda sta “introducendo temporaneamente alcuni limiti mentre lavoriamo per essere più efficienti”.


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