È scomparso oggi a Milano, all’età di 80 anni, il celebre critico d’arte Germano Celant, noto a livello per essere stato il padre dell’Arte Povera. Era ricoverato al San Raffaele di Milano per complicanze da Covid-19: la scomparsa è stata confermata da fonti vicine al curatore. Nato a Genova nel 1940, a soli ventisette anni, nel 1967, aveva curato la mostra Arte povera e IM spazio alla Galleria La Bertesca di Genova, che aveva dato via a uno dei principali movimenti dell’arte mondiale del Novecento: in quell’occasione, avevano esposto artisti come Alighiero Boetti, Pino Pascali, Jannis Kounellis, Giulio Paolini e altri grandi artisti del XX secolo.
La definizione “arte povera” sarebbe stata poi efficacemente illustrata in un manifesto datato 23 novembre 1967 (due mesi dopo la mostra genovese) e pubblicato su Flash Art: “un’arte povera”, scriveva Celant, “impegnata con la contingenza, con l’evento, con l’astorico, col presente”, definita da “un esserci [...] , che predilige l’essenzialità informazionale, che non dialoga né col sistema sociale, né con quello culturale, che aspira a presentarsi improvviso, inatteso rispetto le aspettative convenzionali, un vivere asistematico, in un mondo in cui il sistema è tutto” e da un atteggiamento “teso al reperimento del significato fattuale del senso emergente del vivere dell’uomo”. Celant avrebbe poi specificato, in un’intervista a Repubblica nel 2017, che Arte Povera “è un’espressione così ampia da non significare nulla. Non definisce un linguaggio pittorico, ma un’attitudine. La possibilità di usare tutto quello che hai in natura e nel mondo animale. Non c’è una definizione iconografica dell’Arte Povera”.
Per tutti gli anni Settanta, Celant avrebbe seguitato a definire la teoria dell’arte povera, organizzando mostre in Italia e nel mondo, fino ad arrivare a diventare collaboratore del Guggenheim di New York, del quale sarebbe diventato senior curator nel 1988. Della sua attività al Guggenheim si ricorda in particolare la mostra Italian Metamorphosis 1943-1968 (del 1994), con la quale Celant continuava a definire l’identità dell’arte italiana del dopoguerra, continuando dunque ricerche che trovavavano il loro apice con importanti mostre, tra le quali si ricorda soprattutto Identité italienne. L’art en Italie depuis 1959 tenutasi al Centre Pompidou di Parigi del 1981.
Dal 1993, Celant era diventato direttore della Fondazione Prada (anche se nel frattempo aveva continuato a dar vita ad altri progetti, come quando nel 1996 animò la prima Biennale di Firenze Arte e moda): il suo progetto più ambizioso in questo ambito è stata forse l’enorme mostra Post Zang Tumb Tuuum tenutasi nel 2018 a Milano, il suo ultimo grande progetto sull’arte del XX secolo: una mostra sull’arte italiana del primo Novecento, dal 1918 al 1943. Del 2015 è invece la discussa mostra Art & Food tenutasi alla Triennale di Milano in occasione dell’Expo 2015, una grande rassegna tesa a esplorare i rapporti tra arte e cibo dal 1851 a oggi. Tra le innumerevoli esperienze, Celant vanta anche la direzione artistica della 47^ Biennale di Venezia, nel 1997. L’ultima mostra da lui curata è stata l’importante monografica sull’artista statunitense Richard Artschwager, la sua prima antologica italiana, che si è tenuta tra l’ottobre del 2019 e il febbraio 2020 al Mart di Rovereto.
Nell’immagine: Germano Celant alla mostra su Artschwager.
Addio a Germano Celant, scompare a 80 anni il padre dell'Arte Povera |