In un momento storico in cui l’attenzione dei più è rivolta al significato storico e celebrativo dei monumenti, forse sfugge invece quello estetico: e in Italia, il paese che tutti pomposamente celebrano come la terra della “bellezza”, in realtà i monumenti orrendi sono ovunque. Dunque, queste brutture che punteggiano il nostro paese sono opere la cui bruttezza è comunque una categoria estetica degna d’esser conservata (come forse piacerebbe ad Asger Jorn, perché comunque la bruttezza muove le nostre passioni e non lascia indifferenti), o sono semplicemente obbrobri che deturpano strade e piazze, e per i quali qualcuno potrebbe anche sperare che vengano abbattuti in un accesso iconoclasta di eventuali gruppi di odiatori dell’orrido? Nell’attesa di sciogliere il quesito, vi proponiamo qui una carrellata di monumenti brutti per sottolineare come a volte ci scordiamo di essere il paese che ha dato i natali a Michelangelo, Bernini e Canova, e che in realtà siamo un paese dove imperversano amministratori locali che non hanno mai sviluppato il senso del bello.
1. Monumento a Manuela Arcuri (Porto Cesareo, Lecce)
Non s’è mai capito per quale motivo il comune salentino di Porto Cesareo abbia voluto dedicare un monumento a Manuela Arcuri, che è laziale. L’unica cosa certa è che la targa recita: “simbolo di bellezza e prosperità”. Con un détournement che avrebbe fatto invidia a Guy Debord, questa bellezza è però resa con un monumento che di bello avrà solo il momento in cui lo abbatteranno: la povera showgirl incede goffa con un’improbabile cornucopia dalla quale pare escano due meloni (che in realtà sono i seni della Arcuri, esageratamente gonfiati dallo scultore in proporzione al resto del corpo), avanzando sopra alcuni riccioli che forse dovrebbero alludere alle onde del mare. Non si sa perché la Arcuri, che è di Anagni, sia stata elevata al rango di pleiade, ma evidentemente così doveva piacere all’autore, tale Salvatore De Matteis, orgoglioso della sua creazione al punto da sentire il dovere di firmarla a caratteri cubitali. Qui, semmai, l’unica cosa che c’è da salvare è la povera ragazza dalle grinfie di questa statua tozza e sgraziata.
Monumento a Manuela Arcuri (Porto Cesareo, Lecce) |
2. Monumento a Domenico Modugno (Polignano a Mare, Bari)
La Puglia, con tutta evidenza, vanta una tradizione di monumenti brutti a personaggi dello spettacolo, e quello dedicato all’autore di Nel blu dipinto di blu non fa eccezione. Si capisce che lo scultore voleva rendere omaggio al più celebre verso della canzone, “volare”, e in effetti sembra davvero che Modugno stia per spiccare il volo, solo che più che il plurivincitore del Festival di Sanremo, qui Modugno sembra una figura a metà tra Kate Winslet in Titanic e un aspirante suicida che vuole buttarsi dall’ultimo piano di un palazzo: probabilmente la reazione che Modugno avrebbe opposto all’opera se fosse stato ancora in vita.
Monumento a Domenico Modugno (Polignano a Mare, Bari) |
3. Monumento a Gabriele d’Annunzio (Trieste)
Il monumento a Gabriele D’Annunzio innalzato lo scorso anno a Trieste ha sollevato polemiche a non finire (ne abbiamo scritto anche noi): il problema è che tutti sono d’accordo sul fatto che l’opera non oltraggia solo i croati secondo i quali l’impresa di Fiume fu un’occupazione della città e una prova generale del fascismo, ma anche i più appassionati ammiratori del poeta, dal momento che lo scultore ha trasformato il Vate degli italiani in un pensionato ai giardinetti. E come se non bastasse, siccome la panchina era troppo alta e le gambe di D’Annunzio troppo corte, hanno dovuto mettergli anche un gradino sotto i piedi per non farglieli penzolare per aria. Così, oltre alla panchina, il pensionato D’Annunzio ha pure lo zerbino.
Monumento a Gabriele d’Annunzio (Trieste) |
4. La “Puppona” (Massa)
La palma del cattivo gusto va sicuramente alla “Puppona” di Massa, scultura nota per l’acqua che sgorga dalle zizze della prosperosa donna a cui gli abitanti hanno affibbiato l’evocativo nomignolo. Opera di un vanto della scuola scultorea locale, Gigi Guadagnucci, che ha lasciato opere di grande delicatezza e virtuosismo (alcune delle quali raccolte in un museo che porta il suo nome), ma che evidentemente aveva alzato un po’ troppo il gomito prima di attendere a quest’opera che, fino a qualche mese fa, si trovava in una delle vie più frequentate del centro storico della città apuana, e poi è stata (fortunatamente) spostata in una posizione più defilata, nel Parco della Rinchiostra. Le abnormi tette della pettoruta fontana sono diventate così distintive che praticamente nessuno ricorda cosa volesse significare in origine l’opera: noi siamo tra questi.
La Puppona (Massa) |
5. Monumento al lambrusco (Modena)
Una delle sfighe maggiori per un artista è quella di ritrovarsi al centro di una rotonda: negli ultimi anni è infatti nata una statuaria da rotatoria che ci ha consegnato alcuni dei monumenti più assurdi che si trovino sull’italico suolo, con la conseguenza che nessun artista sano di mente oggi vorrebbe vedere una sua scultura a fare da spartitraffico. Tutti ci siamo imbattuti in statue allucinanti: gli abitanti di Modena, per esempio, da alcuni anni vedono alla periferia della città questo grappolo d’uva gigante che vorrebbe omaggiare la produzione vitivinicola della zona, come tributo al lambrusco. Da apprezzare la mimesi naturalistica dell’autore, che ha reso con colori diversi i singoli acini per indicarne il diverso grado di maturazione: geniale.
Monumento al lambrusco (Modena) |
6. Monumento al parmigiano reggiano (Bibbiano, Reggio Emilia)
Quando grillini e leghisti, qualche mese fa, ripetevano al Pd il leitmotiv “Parlateci di Bibbiano”, forse alludevano al vituperevole monumento al parmigiano reggiano che decora una delle rotatorie che conducono alla cittadina emiliana: in effetti è talmente brutto che meriterebbe un dibattito pubblico, perché trentadue tonnellate di marmo di Carrara non si possono sprecare in questo modo. Specialmente se poi, complici gli agenti atmosferici, la grana del parmigiano col tempo scurisce e da lontano, più che una forma di formaggio, sembra una fettina di carne cotta male. Completano il trittico un coltellino da parmigiano e quella che dovrebbe essere la parete di un caseificio ma sembra il lato di una cassetta da frutta in plastica.
Monumento al parmigiano reggiano (Bibbiano, Reggio Emilia) |
7. Monumento al pesto (Genova)
Volendo continuare sul filone della statuaria alimentare, impossibile non dedicare uno spazio al mortaio gigante di Prà, il quartiere di Genova universalmente noto come la terra del vero pesto e del basilico dop, al punto che qualcuno ha avuto la brillante idea di dedicargli un monumento, collocato, manco a dirlo, dentro una rotonda stradale. L’autore di cui non conosciamo il nome (né teniamo a saperlo) era evidentemente attratto dalle ricerche sui rapporti tra arte e nature di Giuseppe Penone, perché ha ben pensato di sistemare, all’interno del mortaio di pietra, vere piante di basilico. Bisogna però dirgli che quel mortaio, se fosse vero, sarebbe inservibile: da Luni a Ventimiglia tutti sanno che il pestello dev’essere di legno, altrimenti, oltre ai frammenti di basilico, rischi di mangiarti anche quelli del marmo. La scritta “la terra del basilico” è la perla finale: senza, ci sarebbe stato il rischio di farsi sfuggire questo leggero dettaglio.
Monumento al pesto (Genova) |
8. Monumento all’oliva taggiasca (Taggia)
Altra specificità gastronomica della Liguria è l’oliva taggiasca, e si poteva non omaggiarla con un monumento brutto? Ovviamente no, ed ecco dunque che a Taggia hanno piazzato (sempre al centro di una rotatoria, davanti a un distributore di benzina) due enormi bussolotti per l’estrazione dei numeri del lotto, che però in realtà dovrebbero essere delle olive stilizzate. L’eccellente idea di realizzare le tre olivone in ferro battuto e lasciarle alle intemperie ha dato il via libera alla ruggine che ha intaccato il monumento conferendogli una simpatica colorazione rossastra: ma magari l’autore era un fan delle ricerche sulla materia di Alberto Burri e l’interazione tra opera e atmosfera era voluta.
Monumento all’oliva taggiasca (Taggia) |
9. Monumento al tonno (Genova)
Questo accattivante monumento dedicato probabilmente alla pesca dei tonni o comunque a qualcosa che abbia a che fare con il noto sgombriforme, ché più che tonni sembrano tavole da surf con improbabili berretti, è stato ribattezzato dai genovesi “monumento dei tonni suicidi” per l’inequivocabile posizione degli sventuratissimi pesci. Si trova nel quartiere di Molassana, sempre dentro una rotatoria, e vogliamo sperare che la posizione dei tonni sia dovuta alla loro disperazione per l’immeritata fine.
Monumento al tonno (Genova) |
10. Monumento della calzatura (Vigonza, Padova)
Se vi siete sempre domandati cosa sarebbe scaturito dalla fantasia di Vladimir Tatlin se il celebre costruttivista russo fosse stato in preda ai deliri dell’alcol e degli acidi e nel contempo avesse anche subito delle sevizie, la risposta è: il monumento della scarpa di Vigonza, nei pressi di Padova, cittadina nota per la sua attività calzaturiera. L’alta struttura svetta sbilenca e claudicante tra le campagne venete, in mezzo a villette e capannoni, con una spirale che s’avviluppa attorno a tre perni verticali e termina con una décolleté rossa. I casi sono due: o è uno scherzo che lo scultore ha giocato a un’amministrazione comunale che non gli stava particolarmente simpatica, oppure nel nostro sistema di formazione artistica qualcosa si è inceppato quando l’autore era uno studente.
Monumento della calzatura (Vigonza, Padova) |
11. Monumento della scarpa (Fossò, Venezia)
Sembra lo scheletro di uno stegosauro, ma in realtà è la stilizzazione di un’altra décolleté: è evidente che gli artisti nutrono una profonda antipatia nei confronti di questo tipo di scarpa. Questa specie di grosso calorifero deforme che ricorda vagamente una calzatura femminile è situato in una rotatoria di Fossò, comune di settemila abitanti in provincia di Venezia.
Monumento della scarpa (Fossò, Venezia) |
12. Il giocoliere (Carrara e Massa)
Le due città apuane sono separate dal plurisecolare campanilismo, ma sono unite da questa scultura che si chiama “Giocoliere” e che, come si può ben vedere, fa girare le palle, e anche tanto e vorticosamente. Quella di Massa è davanti al pontile ed è colorata, mentre quella di Carrara è color argento: una volta si trovava davanti al Teatro degli Animosi, poi per fortuna è stata spostata in una posizione meno appariscente, dentro un parcheggio. Per spostare quella di Massa ed evitare che le biglie in technicolor offuschino la vista delle Apuane dal mare, aspetteremo un’amministrazione con più gusto.
Il giocoliere (Carrara e Massa) |
13. Monumento a Bettino Craxi (Aulla, Massa-Carrara)
La provincia di Massa-Carrara, come s’è visto, ha un feeling molto particolare per i monumenti brutti. Non se ne discosta neppure uno dei monumenti pubblici più discussi degli ultimi anni (anche a livello nazionale), la statua di Bettino Craxi di Aulla. Gli abitanti della città della Lunigiana hanno la grave colpa di essersi scelti (e neanche per un solo mandato) un sindaco grande fan del presidente socialista, che ha avuto l’ottima pensata di dichiarare il suo amore con un monumento atroce che, nonostante vari tentativi di rimozione e un tentativo di vendita da parte di un sindaco che non la pensava allo stesso modo (fu valutata 150mila euro: non tanto per il valore della scultura, ma per quello del pregiato marmo statuario apuano tristemente sciupato per realizzarla), è sempre lì al suo posto. Purtroppo.
Monumento a Bettino Craxi (Aulla, Massa-Carrara) |
14. Controvento (Forte dei Marmi, Lucca)
Rimaniamo all’ombra delle Alpi Apuane per un altro monumento improbabile: si trova nel piazzale situato di fronte al pontile di Forte dei Marmi, è stato realizzato da una scultrice ceca (no, non è come pensate: ceca nel senso che è nata in Boemia, anche se, dato il risultato della scultura, la fonetica del termine potrebbe trarre in inganno) e si chiama Controvento, ma nessuno ha mai capito cosa rappresenti. In pratica è un uomo nudo di bronzo con un velo dorato che gli nasconde la testa, gli avviluppa il pirillo e il polpaccio sinistro e poi termina la sua corsa su una ruota che il figuro sta maneggiando, mentre con il piede destro sta cercando probabilmente di far cadere tutta l’impalcatura dell’aggeggio che si regge su un’asta orizzontale. Con l’altro piede, invece, sta ritto su un pallone da rugby tagliato a metà. Ce n’è uno simile a Monaco di Baviera (evidentemente il sindaco ha firmato la delibera dopo una serata particolarmente allegra all’Oktoberfest), solo che il collega tedesco si è tirato su la bandana dorata per vedere meglio l’affare con cui sta armeggiando, qualunque cosa stia facendo.
Controvento (Forte dei Marmi, Lucca) |
15. La lavandaia (Bologna)
La pornolavandaia di via della Grada a Bologna è uno dei monumenti più gettonati nelle classifiche delle statue brutte dato che sta svolgendo il suo lavoro in vesti adamitiche e in posizione equivoca: qui mettiamo un’immagine frontale, ma sul web abbondano vedute da dietro che non lasciano grande spazio all’immaginazione. Forse lo scultore voleva dar forma a una sua fantasia erotica, oppure voleva avviare una nuova categoria di Youporn, non lo sappiamo. Ora però ringraziateci perché vi abbiamo suggerito un nuovo gioco di ruolo da fare con la vostra partner.
La lavandaia (Bologna) |
16. Il camionista (Bologna)
Bologna ha dato alla storia dell’arte alcuni dei più grandi artisti di sempre. Si pensi a tutta la scuola del Seicento, coi Carracci e Guido Reni, a Francesco Francia, a Donato Creti, a Giuseppe Maria Crespi, ad Amico Aspertini, tutti artisti che si potranno ammirare nei musei, nelle chiese e nei palazzi del centro storico (dopo aver ammirato la lavandaia di cui sopra, ovviamente). E allora non si spiega perché in città ci sono anche monumenti così brutti. Merita uno speciale posto in questo elenco il camionista gigante che forse ha capito male in cosa consiste il suo mestiere: è lui che deve farsi trasportare dal camion, e non lui a dover trasportare il veicolo. C’è però da dire che il metallico autotrasportatore (nel senso che trasporta lui un automezzo) ha un che di leggiardo in questa delicata posa che lo fa sembrare quasi un ballerino di danza classica, decisamente appropriata per omaggiare i camionisti: perché non si può certo dire che lo scultore abbia voluto assecondare l’immaginario collettivo sulla figura del camionista.
Il camionista (Bologna) |
17. Romagna mia (Gatteo a Mare, Rimini)
Perché essere originali quando puoi assecondare i più triti stereotipi sulla tua terra? Dev’essere a questo che hanno pensato gli amministratori riminesi di Gatteo a Mare quando hanno voluto inserire in una rotonda un monumento alla più celebre hit di Secondo Casadei: così, se Romagna mia non vi avesse già dato troppo fastidio in versione musicale, se capitate da quelle parti potete farvi ulteriormente male con la versione in monumento, che riproduce tanto di orchestra e verso finale del ritornello.
Il camionista (Bologna) |
18. Il cavallino (Cavallino, Lecce)
Alle porte di Lecce c’è un comune di dodicimila abitanti che si chiama Cavallino e che ha giustamente pensato di auto-omaggiarsi con un monumento che raffiguri l’animale eponimo: forse però gli amministratori locali hanno in odio i bambini o i cardiopatici, dal momento che l’immane bestia sembra uscita da un film del terrore, e potresti soffrire un attacco di cuore se la vedi all’improvviso. Fortuna però vuole che sia un altro esempio del bestiario da rotatoria: le dimensioni colossali dello sproporzionato quadrupede fanno sì che si possa vedere anche da lontano, e ci si può pertanto preparare prima per non arrivarci di fronte in stato di shock.
Il cavallino (Cavallino, Lecce) |
19. Monumento a Enrico Mattei (Bolzano)
Quando si pensa ai nomi delle persone che hanno fatto grande l’Italia, solitamente si pensa a monumenti epici, che li raffigurano in pose eroiche, serie, o quanto meno classiche. A Bolzano no. Lì, la pensano diversamente: forse, gli enormi fasci littori dell’arco della Vittoria sono ancora una visione troppo traumatica, quindi nel capoluogo altoatesino i monumenti devono per forza essere ridicoli per compensare quelli scomodi del passato. Dev’essere quello che ha pensato l’autore della statua di Enrico Mattei che la città ha dedicato al fondatore dell’Eni: perché omaggiarlo con un monumento tradizionale quando puoi ricordarti che amava pescare nei laghi dell’Alto Adige per raffigurarlo vestito da pescatore, con tanto di gilet e canna da pesca?
Monumento a Enrico Mattei (Bolzano) |
20. Monumento a papa Giovanni Paolo II (Roma)
Il re indiscusso dei monumenti brutti è il papa-ferroviere, il Giovanni Paolo II che da quasi dieci anni (è stata infatti installata nel 2011 e da allora non siamo ancora riusciti a liberarcene) accoglie i viaggiatori che transitano per la stazione di Roma Termini. Questa enorme calotta di sette metri con sopra la testa squadrata e goffa di Wojtyla, opera di Oliviero Rainaldi, è stata accostata negli anni ai più svariati oggetti: un ombrello, una campana, un razzo, una garitta, Batman. Ma aspetta sempre che qualcuno la possa avvicinare a nuovi significati, se proprio non è possibile levarla di mezzo.
Monumento a papa Giovanni Paolo II (Roma) |