Un’équipe di ricercatori internazionali ha realizzato il primo studio che considera le problematiche di degrado meccanico dei dipinti di Pablo Picasso (Malaga, 1881 – Mougins, 1973) con un approccio analitico e diagnostico. Lo studio ha preso in considerazione i quattro dipinti che Picasso realizzò a Barcellona nel 1917 ispirandosi ai Ballets Russes e utilizzando materiali molto simili fra loro: sette pigmenti, olii siccativi, colla animale e tele. I quadri sono rimasti nella casa della famiglia di Picasso fino al 1970, quando furono donati al Museu Picasso di Barcellona. Un secolo dopo la realizzazione, una delle quattro opere, l’Hombre sentado (“Uomo seduto”) appare in uno stato di conservazione precario, peggiore rispetto alle altre tre della serie. Gli esperti notano molte screpolature, dette tecnicamente “crettature superficiali”. Il museo decide così di restaurare l’opera e di capire il perché di quelle differenze tra opere per molti versi simili che avevano condiviso un secolo in condizioni analoghe.
Nasce così il progetto Promesa (Study of the mechanical and dimensional properties of commercial paint films), coordinato da Laura Fuster-Lopez, professoressa di Conservazione all’Universitat Politècnica de València e da poco concluso con la pubblicazione dei risultati sulla rivista scientifica SN Applied Sciences. Del progetto fanno parte l’Universidad Politècnica de Valencia, l’Università Ca’ Foscari di Venezia, il Museu Picasso di Barcellona, nonché il CNR-Istituto Fisica Applicata “Nello Carrara”, la Escuela de Conservación y Restauración de Bienes Culturales de Aragón, la Reale Accademia di Belle Arti della Danimarca e la Queen’s University di Kingston (Canada).
Le quattro opere del 1917 di Picasso si sono rivelate il banco di prova perfetto per iniziare ad indagare la correlazione tra i materiali pittorici usati dall’artista e le loro condizioni reali. Con un approccio multi-analitico e tecnologia d’avanguardia, le scienziate dell’équipe hanno studiato ogni strato per trarne le informazioni nascoste alla vista.
“Il progetto”, dichiara Laura Fuster-Lopez, “si è incentrato sullo studio combinato della composizione chimica e dei meccanismi di degradazione fisico-meccanica che si manifestano in opere d’arte moderna e contemporanea. Dato che non tutte le problematiche hanno una causa comune, e dato che le nostre opere d’arte continuano a deteriorarsi silenziosamente anche in condizioni di conservazione ed esposizione controllate, è necessario capire quali aspetti inerenti alla composizione dei materiali usati dagli artisti possono essere la causa della loro instabilità nel tempo, al fine di adattare misure preventive di conservazione nelle nostre collezioni”.
“Le analisi svolte”, spiega Francesca Izzo, ricercatrice di Scienze Chimiche per i Beni Culturali all’Università Ca’ Foscari Venezia, esperta di pitture del XX e XXI secolo, che si è focalizzata sulle indagini sugli strati dipinti e sugli strati della preparazione pittorica, “mettono in luce che Picasso ha dipinto con colori ad olio, contenenti sia il tradizionale olio di lino, sia oli meno siccativi come l’olio di cartamo e di girasole. In un caso, poi, ipotizziamo che l’artista abbia sperimentato l’uso, non ancora in voga nel 1917, di pitture semi-sintetiche. Le tele utilizzate dall’artista sono di cotone, su cui Picasso ha steso due diversi strati di preparazione: uno ottenuto con colla animale, l’altro invece con olio siccativo. In entrambi i casi mescolati con pigmenti diversi (biacca, barite, ossido di zinco, etc). Inoltre, è interessante notare la presenza dei cosiddetti ‘saponi metallici’, composti che si formano per interazione tra il legante e alcuni ioni rilasciati dai pigmenti che possono provocare danni ben visibili, sia a livello estetico che a livello di stabilità chimica e meccanica”.
I risultati ottenuti sono stati combinati con l’esame visivo delle crettature e dei problemi meccanici delle pitture per stabilire ipotesi sulle differenze di degrado. Questa è una delle prime volte che viene adottato un approccio basato su tecniche di documentazione non invasive, analisi chimico-fisiche e osservazioni del danno meccanico per fornire una visione del possibile contributo che ogni strato ha sul degrado osservato. Ne è emerso che le interazioni fra pigmenti e leganti possono aver reso i film pittorici più o meno inclini alla degradazione. Lo stesso è stato osservato negli strati sotto la pellicola pittorica: spessori di preparazione diversi, diverse interazioni pigmenti-legante e altre minime differenze che possono aver provocato una diversa reazione alle condizioni ambientali.
Lo studio approfondito del caso ha sollevato nuovi interrogativi e spunti per nuove ricerche. Le scienziate stanno cercando di scoprire il ruolo della possibile “migrazione” di materiali tra gli strati di pittura e di preparazione. Con i nuovi risultati scientifici a disposizione, Reyes Jiménez de Garnica, direttrice del Dipartimento di Conservazione Preventiva e Restauro del Museu Picasso di Barcellona, potrà affinare le strategie di conservazione preventiva e valutazione delle condizioni di conservazione (in particolare del ruolo dell’umidità) ed esposizione delle opere.
Immagine: Pablo Picasso, Hombre sentado (1917; olio su tela, 104 x 54 cm; Barcellona, Museu Picasso)
Picasso, un nuovo studio sulle differenze di degrado dei suoi dipinti |