Si è accesa in questi giorni la polemica sui grandi gorilla di Davide Rivalta che dal 2002 abitano il chiostro interno del Palazzo di Giustizia di Ravenna. Gorilla molto realistici che sembrano avanzare verso chi si avvicina: collocati in relazione al Tribunale, istituzione che rappresenta la dimensione etica, gli animali rimandano alla condizione preculturale dell’uomo.
I sei gorilla in bronzo alti tre metri ciascuno sono stati inseriti nel patrimonio culturale dell’Emilia Romagna e obiettivo dell’artista era “dare forma a sentimenti intensi, talvolta anche brutali, che vivono in chi attraversa un Tribunale”, come ha affermato Claudia Collina nel volume che raccoglie il patrimonio artistico censito. E aggiunge: “L’efficacia dell’opera nasce dal contrasto tra la linearità austera dell’immobile e l’energia primordiale delle sculture. Le dimensioni, gli atteggiamenti, la natura degli animali ritratti, e naturalmente l’approccio alla materia, fisico e viscerale, tutto questo completa gli equilibri di un’architettura simmetrica, lineare e rigida”.
Ad avanzare la polemica è l’architetto Angelo Barboni, a nome di Lista Ravenna, che scrive in un post: "È innegabile vedere nei giganteschi gorilla di Davide Rivalta, posti a guardia del Tribunale di Ravenna nella sua grande hall a cielo aperto, delle realizzazioni artistiche notevoli. Ciò che lascia perplessi è il contesto. Sicuramente, una Biennale d’Arte, una piazza d’armi o un parco, dove si trovano in effetti massicci animali scolpiti dal medesimo artista bolognese, li avrebbe valorizzati a dovere. Trovo invece agghiacciante questa ubicazione, per il luogo in sé e per come queste figure incombono su chi, per propria necessità o su chiamata, si presenta all’ingresso del palazzo di Giustizia“. E prosegue: ”Io stesso ho visto dei piccoli spaventarsi e piangere in braccio alla madre, che camminava in fretta e a testa bassa per schivare le figure minacciose [...] Ed ecco, come tocco finale di un incubo, gli enormi gorilla di bronzo di un artista italiano famoso nel mondo per rendere l’essenza agli animali che riproduce a grandezza naturale. Qui, li ha però creati non tanto imponenti quanto minacciosi, espressione di forza bruta che schiaccia e annulla il povero avventore della giustizia umana".
Secondo il parere di Barboni, i gorilla di Rivalta non sarebbero adatti all’attuale collocazione e farebbero spaventare e piangere i bambini, e non solo.
Rispondono alle polemiche dell’architetto la curatrice e gallerista Alessandra Carini e il pittore e guida turistica Nicola Montalbini: "Troppo spesso capita che l’arte pubblica venga strumentalizzata a fini politici e si faccia demagogia a basso costo [...] Il sonno della ragione genera mostri, ma il nebbione della palude è capace di cose ben peggiori! Per fortuna il ’900 ci ha regalato la più grande lezione della storia dell’arte, ossia che il valore di un’opera non è né assoluto né tantomeno riconducibile a una forma estetica rassicurante, ma piuttosto la sua decontestualizzazione e il turbamento che ne deriva gioca un ruolo fondamentale nella comprensione dell’opera stessa. Non più quindi arte da salotto“ continuano, ”ma un black mirror che riflette la complessità del nostro tempo. I gorilla in questione sono sì fuori contesto, ma è proprio per questo che l’opera funziona, raggiungendo gli intenti dell’artista (“ho voluto dare forma a sentimenti intensi, a volte brutali, che vivono in chi attraversa un tribunale)”. Come spiega bene anche la Procura di Ravenna (“l’efficacia dell’opera si percepisce tra l’austerità immobile propria di un Palazzo di Giustizia e l’energia primordiale delle sculture”). Il turbamento che scaturisce dall’arte contemporanea ancora una volta scuote la retorica e il perbenismo. Il Tribunale, palestra di avvocati retori moderni, diviene così l’arena di un’idea primitiva. Una ronda nera di sagome antiche e scimmiesche che solo superficialmente incarnano una minaccia e in verità sono l’effigie delle bestie più mansuete, comunitarie e compassionevoli del pianeta. Più antiche di noi e così sinistramente simili come a dire “ricordatevi che da là veniamo”. Troviamo becero e fuori luogo che le opere d’arte vengano mortificate e continuamente strumentalizzate come slogan elettorali; la compassionevole madre che fugge proteggendo la prole dall’ombra del mostro contemporaneo sembra essere una facile esca per semplicistici giudizi espressi da persone non competenti in materia. Ma in questo tempo di rigurgiti polverosi“ concludono, ”il politicamente corretto torna a esalare il suo alito fetido: dovremmo così andare indietro nel tempo e ornare di nuovo i Palazzi di Giustizia con colossali signore algide reggi-bilancia dal sapore antico, decrepite e monolitiche come il vecchiume che si portano dietro?".
Ravenna, polemiche sui gorilla di Rivalta. “Spaventano i bambini” |