È il ghanese Ibrahim Mahama (Tamale, 1987) il vincitore della XXIII edizione del Premio Pino Pascali, assegnato ogni anno dalla Fondazione Pino Pascali. La Commissione del Premio, presieduta da Rosalba Branà direttrice della Fondazione Pino Pascali, Adrienne Drake, direttrice della Fondazione Giuliani per l’arte contemporanea di Roma, e Nicola Zito, storico dell’arte e curatore della Fondazione Pino Pascali, ha così motivato la scelta: “Ibrahim Mahama, artista ghanese protagonista da diversi anni sulla scena internazionale, riflette sulla condizione umana, sul nomadismo, sulle migrazioni, sullo sfruttamento dell’uomo. Artista con una forte connotazione politica, Mahama contamina i linguaggi dell’arte, dall’installazione ambientale site specific alla fotografia e all’assemblaggio oggettuale, con l’intento di condurre lo spettatore a riflettere su quelli che sono i fallimenti della modernità”.
Mahama, nato nel 1987 a Tamale, capoluogo di regione a nord del Ghana con mezzo milione di abitanti, dove attualmente vive e lavora, ha di recente ricevuto anche il Prince Claus Award 2020 ad Amsterdam, un riconoscimento che premia coloro che si sono maggiormente distinti nell’applicazione della cultura allo sviluppo sociale. Ha studiato pittura e scultura presso la Kwame Nkurumah University di Kumasi fino al 2013, anno in cui consegue la laurea. Durante gli anni universitari dà avvio a una serie di interventi e di attività che riflettono sul tema della globalizzazione, del lavoro e della circolazione delle merci, con opere realizzate anche grazie a collaborazioni con i cittadini ghanesi. Nel 2019 l’artista ha inaugurato il Savannah Centre for Contemporary Art (SCCA), spazio museale gestito da un gruppo di artisti e curatori attivi in Ghana, seguito dall’apertura di un vasto complesso di studi, Red Clay, nella vicina Janna Kpenn nel settembre 2020. Comprendendo spazi espositivi, strutture di ricerca e un centro di residenza per artisti, entrambi i siti rappresentano il contributo di Mahama allo sviluppo e all’espansione della scena artistica contemporanea nel suo paese.
Il suo lavoro di Mahama è stato incluso in numerose mostre internazionali tra cui NIRIN, 22a Biennale di Sydney (2020); Tomorrow There Will Be More of Us, Triennale di Stellenbosch (2020); Living Grains, Fondazione Giuliani, Roma (2019); Future Genealogies, Tales From The Equatorial Line, 6a Biennale di Lubumbashi, Democratic Republic of the Congo (2019); Parliament of Ghosts, The Whitworth, The University of Manchester (2019); Labour of Many, Norval Foundation, Cape Town (2019); Documenta 14, Atene e Kassel (2017); An Age of Our Own Making, Kunsthal Charlottenborg, Copenhagen e Holbæk (2016); Fracture, Tel Aviv Art Museum, Israel (2016); Artist’s Rooms, K21, Düsseldorf (2015); Material Effects, The Broad Art Museum, Michigan (2015). Mahama ha partecipato inoltre a due edizioni della Biennale di Venezia, nel 2019, May You Live in Interesting Times, al padiglione inaugurale del Ghana, e nel 2015, All the World’s Future, in cui ha presentato la grande installazione site specific Out of Bounds, realizzata con sacchi di iuta presso il Tronchetto dell’Arsenale.
Nella sua pratica artistica, Mahama assume il sacco di juta, oggetto ricorrente nelle sue opere, a simbolo e metafora di un’economia fragile, basata sulla produzione di cacao: timbrato, lacerato, rattoppato, diventa per Mahama un amplificatore di storie, raccontando delle persone che vi hanno lavorato, tra porti, magazzini, mercati e città.
Il sacco diviene stratificazione di memorie, persone, oggetti, luoghi e architetture, il riferimento porta alle problematiche del continente africano ai suoi processi migratori, alle complesse dinamiche della globalizzazione. Fabbricati nel sud-est asiatico, i sacchi vengono importati dalla Ghana Cocoa Boards per trasportare le fave di cacao, considerate prodotti di lusso. Dopo questo primo utilizzo, i sacchi vengono rimpiegati per molte volte ancora per trasportare prodotti come riso, miglio, mais e carbone. Mahama li acquista alla fine del loro percorso lavorativo, cucendoli insieme per creare enormi arazzi che utilizza anche per occultare edifici monumentali ed iconici della società dei consumi, come in alcune note recenti installazioni, anche in Italia.
Nell’ambito della sua ricerca sull’architettura brutalista del Ghana post-coloniale, Ibrahim Mahama ha intrapreso un percorso di analisi e rinnovamento che prende avvio proprio da uno di questi edifici, rinominato “Nkrumah Voli-ni”, divenuto dimora di una colonia di pipistrelli durante i decenni di abbandono che sono seguiti al colpo di stato militare del 1966; dopo averlo acquistato, l’artista, nel processo di riconversione e rinnovamento dell’edificio, ha lasciato che i pipistrelli continuassero a viverci. Questi animali sono i protagonisti dei collage prodotti da Mahama, diventando il simbolo della capacità di adattamento e della creazione di nuovi spazi ed ecosistemi.
Le opere di Mahama adesso vanno in mostra alla Fondazione Pascali di Polignano a Mare, dove verrà presentato un progetto site specific nel salone centrale del Museo. Esposte anche le opere inedite Sunbun e Tinambanyi (2020-2021). Ancora, Lazarus, intervento site specific in Exchiesetta, sotto il coordinamento dell’artista, sarà realizzato durante un workshop condotto da Angela Varvara, docente di Scenografia presso l’Accademia di Belle Arti di Bari. La produzione è stata coadiuvata dall’impresa culturale Cultour Società Benefit che ha inoltre messo a disposizione due borse di studio del valore di 500 euro per le studentesse Giulia Tota e Filomena Pucci che lavoreranno al progetto. Per l’installazione realizzata all’Exchiesetta, Mahama adopera materiali legati alla produzione e al commercio, come i tondini metallici e le tele cerate, usate per coprire i beni durante i trasporti internazionali e impregnate di olio a causa del continuo contatto con parti meccaniche. L’artista espone dunque il “paradosso” che vede protagonisti questi animali, visti da sempre come esseri pericolosi per l’uomo, ma in realtà, come moltissime altre specie, vittime (tanto da essere costrette a ricreare il proprio ambiente in un silo abbandonato) dell’uomo contemporaneo, ossessionato dalla produzione e dall’accumulo di capitale.
“Mi interessa”, spiega Mahama, “guardare alle implicazioni artistiche e politiche di questi materiali. Cosa succede quando raccogli diversi oggetti da luoghi con storie e ricordi specifici e li metti insieme per formare un nuovo oggetto? Mi interessa come crisi e fallimento vengano assorbiti in questo materiale con un forte riferimento alla transazione globale e al modo in cui funzionano le strutture capitalistiche. (...) la speranza è che i loro residui – macchiati, rotti e abbandonati, ma portatori di luce – possano condurci verso nuove possibilità e spazi oltre”.
La mostra, aperta dall’11 dicembre 2021 al 13 marzo 2022, si avvale della collaborazione di APALAZZO Gallery di Brescia, che rappresenta l’artista in Italia. Nell’albo d’oro del premio, Ibrahim Mahama succede a Zhang Huan (2020), Fabio Sargentini (2019), Hans op de Beeck (2017), Christiane Löhr (2016), AES+F (2015), Fabrizio Plessi (2014), Matt Collishaw (2013), Nathalie Djurberg & Hans Berg (2012), Bertozzi & Casoni (2011), Jake & Dinos Chapman (2010), Jan Fabre (2008), Adrian Paci (2007), Lidia Abdul (2006), Studio Azzurro (2005), Marco Giusti (2003), Giovanni Albanese (2002), e Achille Bonito Oliva (1997).
Immagine: Ibrahim Mahama, Nkrumah Voli-ni, Installation View (dettaglio). Foto di Marino Colucci
L'artista ghanese Ibrahim Mahama vince la XXIII edizione del Premio Pino Pascali |