I 10 veri protagonisti della Biennale di Venezia 2022


Dopo quasi una settimana di anteprima, sabato 23 aprile apre la 59^ Biennale di Venezia. Ma dai commenti degli addetti ai lavori e dall’andamento della mostra è già possibile capire chi sono i dieci protagonisti, nel bene e nel male, di questa edizione: eccoli.

Apre oggi al pubblico la 59^ Esposizione Internazionale d’Arte della Biennale di Venezia, dopo quasi una settimana di anteprime riservate agli addetti ai lavori. Dai commenti di chi c’era, dalle prime impressioni, dalle conversazioni a cena e agli aperitivi, dalla sensazioni che ha suscitato la mostra è comunque possibile già elencare chi sono i dieci protagonisti indiscussi di questa edizione. Eccoli, uno per uno, e per quali motivi.

1. Cecilia Alemani

La curatrice de Il latte dei sogni è la star numero uno di questa edizione della Biennale. Sempre presente tra le sale a rilasciare interviste, sempre sorridente, visibilmente soddisfatta dell’enorme lavoro e delle lodi che, per il momento, superano le critiche. La sua mostra può piacere o no, ma qui non ci troviamo dinnanzi a una di quelle rassegne dietro le quali il curatore sparisce: qui, anzi, l’impronta è ben presente, e il carattere di rivendicazione della mostra (con 191 artiste donne contro 22 uomini) pure.

Cecilia Alemani. Foto di Andrea Avezzù
Cecilia Alemani. Foto di Andrea Avezzù

2. Simone Leigh

Se Cecilia Alemani è la star, Simone Leigh è la mattatrice. Ha trasformato il padiglione degli Stati Uniti all’esterno, lo ha riempito con le sue opere monumentali che parlano di condizioni della donna e di diaspora africana, ha catturato tutti con la sua enorme scultura all’inizio dell’Arsenale (probabilmente la più fotografata di tutta la mostra internazionale), e ha pure vinto il Leone d’Oro come miglior artista della mostra. A quanti artisti nella storia della Biennale è riuscito un en plein del genere?

Simone Leigh con il Leone d'Oro. Foto di Andrea Avezzù
Simone Leigh con il Leone d’Oro. Foto di Andrea Avezzù

3. Pavlo Makov

Il primo giorno dell’anteprima era lì, davanti alla sua Acqua alta, con lo sguardo serio e provato, ma disponibile. Pavlo Makov è uno dei vincitori morali di questa edizione della Biennale: l’artista ucraino ha finito il suo lavoro mentre l’esercito russo bombardava Kharkiv, la sua città, e il suo team ha caricato il tutto in auto e con un viaggio di diverse ore lo ha portato a Venezia. Non si può non pensare a questa storia quando si visita il padiglione dell’Ucraina.

Pavlo Makov. Foto galleria Imagine Point
Pavlo Makov. Foto galleria Imagine Point

4. Gian Maria Tosatti

Almeno in Italia è l’artista di cui si è parlato di più. Anzi: sono mesi che si parla di lui, e tutta la critica e la stampa lo ha aspettato al varco. Gian Maria Tosatti è il primo italiano della storia ad avere tutto per sé il suo padiglione nazionale e già questo è un fatto storico. I pareri sul suo progetto Storia della Notte e Destino delle Comete sono divisi. Per alcuni è stato una rivelazione, tanto che si vociferava di un possibile Leone d’Oro (che manca all’Italia dal 1999), per altri invece un’attrazione da luna park. Ma su un risultato chiunque è d’accordo: in questi giorni di pre-apertura tutti i commenti erano per lui. Vedremo adesso l’impatto che il Padiglione Italia avrà sul prosieguo della sua carriera.

Gian Maria Tosatti
Gian Maria Tosatti

5. Sonia Boyce

Il padiglione della Gran Bretagna, fin dal primo giorno della preview, è stato tra i più affollati della Biennale. Lunghe code per immergersi nell’atmosfera di Feeling Her Way, questa sorta di monumento alle black vocalist che è valso all’artista londinese Sonia Boyce il Leone d’Oro per il miglior padiglione nazionale. È la prima volta che la Gran Bretagna vince il premio per la miglior partecipazione. Le code di sicuro aumenteranno nei prossimi giorni.

Sonia Boyce mentre riceve il Leone d'Oro. Foto di Andrea Avezzù
Sonia Boyce mentre riceve il Leone d’Oro. Foto di Andrea Avezzù

6. Katharina Fritsch

A dire il vero, c’è forse un’artista che può contendere a Simone Leigh la palma di più fotografata di questa Biennale. È la tedesca Katharina Fritsch: se la statunitense apre l’Arsenale, a lei spetta invece l’onere di accogliere il pubblico nel Padiglione Centrale dei Giardini col suo enorme elefante del 1987, inserito a mo’ di dichiarazione d’intenti in apertura della mostra, per la stranezza della sua presenza e i colori che, a detta della curatrice, lo rendono quasi una creatura fantastica, in accordo coi temi della mostra. Una delle migliori opere in mostra, benché risalente a ben trentacinque anni fa. E poi, si è portata a casa il Leone d’Oro alla Carriera.

Katharina Fritsch. Foto di Janna Grak
Katharina Fritsch. Foto di Janna Grak

7. Zineb Sedira

Tra i lavori più attesi di questa Biennale c’era il progetto Les rêves n’ont pas de titre della franco-algerina Zineb Sedira, che ha confermato la linea forse più apprezzata e al contempo discussa di questa edizione della manifestazione: la creazione di ambienti cosiddetti “immersivi”. Se Tosatti ci ha portati in una fabbrica, Sedira ci fa fare invece un viaggio nel cinema degli anni Sessanta. E ha addirittura allestito un cinema vero nell’ultima sala del Padiglione della Francia. Per lei, menzione speciale della giuria internazionale. È quella à la Tosatti e Sedira l’arte che andrà per la maggiore nel futuro?

Zineb Sedira. Foto di Edith Maria Pasquier
Zineb Sedira. Foto di Edith Maria Pasquier

8. Francis Alÿs

L’artista di Anversa è uno dei pesi massimi di questa Biennale ed è suo il progetto per il Padiglione del Belgio, colmo di poesia, con dipinti e video che affrontano uno dei temi cari alla sua produzione, quello dei giochi dei bambini. The Nature of the Game è un progetto da rivedere con calma, fuori dai giorni della ressa. Per molti era tra i papabili al Leone d’Oro. Francis Alÿs alla fine non ha vinto premi ma forse ha ottenuto qualcosa di più: ha toccato le corde di tanti. E le sue opere sono tra le più memorabili di questa edizione.

Francis Alÿs
Francis Alÿs

9. Chiara Enzo

Se c’è un giovane che uscirà da questa Biennale di Venezia con la carriera decisamente cambiata, è la veneziana Chiara Enzo, classe 1989. I suoi dipinti sul tema del corpo, fulcro della “relazione tra il sé e l’altro da sé” come lei stessa dichiara, riuniti su un’unica parete a comporre una sorta d’installazione nel Padiglione Centrale dei Giardini, hanno ottenuto consensi praticamente unanimi. È la rivelazione della Biennale 2022.

Chiara Enzo. Foto Fondazione Bevilacqua La Masa
Chiara Enzo. Foto Fondazione Bevilacqua La Masa

10. Matthew Marks

Ok la Biennale contro il maschio bianco occidentale. Ma si dà il caso che buona parte delle gallerie, anche quelle da cui provengono molte delle artiste selezionate per Il latte dei sogni, sia in mano a maschi bianchi occidentali. Non fa eccezione Matthew Marks: la sua scuderia si porta a casa addirittura due Leoni d’Oro su quattro (Simone Leigh e Katharina Fritsch). La sua galleria è una delle dodici da cui provengono almeno tre artiste/i che espongono alla Biennale, tra mostra e partecipazioni nazionali. Di queste, nove sono gestite da maschi (con otto occidentali). Numeri che fanno riflettere se paragonati ai rapporti di forza delle artiste in mostra.

Matthew Marks. Foto Consolato Svedese New York
Matthew Marks. Foto Consolato Svedese New York

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