Hypermaremma ha svelato il secondo grande progetto dell’edizione 2023 della rassegna d’arte contemporanea: si tratta di Dal Giorno alla Notte, installazione site specific ideata dall’artista Felice Levini (Roma, 1956) per il Parco Archeologico dell’Antica Città di Cosa, ad Ansedonia. Dal Giorno alla Notte racconta la storia dell’antica colonia fondata dai romani sulla sommità della collina di Ansedonia nel 273 a.C. dopo la conquista di Vulci e dei territori etruschi limitrofi. Unendo mitologia e simbolismo, Felice Levini concepisce uno scenario metafisico tra le rovine archeologiche e i resti dei templi romani immaginando una moltitudine di segnali divini che, come saette, indicano inequivocabilmente ai conquistatori il luogo sacro agli dèi.
L’artista vuole recuperare, con la sua opera, l’inestricabilità di vita e di religione tipica del mondo romano, segnata dalla continua attesa di segnali divini. Dodici frecce ciclopiche di colore rosso fuoco trafiggono il suolo del Parco Archeologico. Insieme alle frecce, appaiono sparse tra le rovine dei templi altrettante lastre di pietra che evocano i nomi delle dodici principali divinità romane: Apollo, Cerere, Diana, Giove, Giunone, Marte, Mercurio, Minerva, Nettuno, Venere, Vesta e Vulcano. Segnalazioni e apparizioni repentine che si rivelano al popolo di Roma senza preavviso “dal giorno alla notte”.
Le immagini che scaturiscono dalla ricerca di Felice Levini compongono un codice simbolico ed ironico che fa della contaminazione dei linguaggi, dell’innesto e della lucidità la sua cifra stilistica. Nei contrasti, nelle contrapposizioni, nelle scomposizioni e nei ribaltamenti, la sua opera si rinnova continuamente generando inusuali significati, rivelando così spazi inediti di interpretazione. L’artista attinge con disinvoltura dalla letteratura, dalla mitologia, dalla natura così come dalla sua sfera più intima e personale.
“Felice Levini, una volta salito nei pressi del Capitolium che corona il Parco Archeologico dell’Antica Città di Cosa”, scrive Massimo Belli nel testo che accompagna la mostra, “rende omaggio a questa relazione verticale, capace di segnare la storia di un luogo che i romani elessero come sacro nel rispetto degli sconfitti che in quel medesimo luogo pregavano le loro divinità. Per far questo, Levini sveste i panni dell’artista per indossare quelli di Saturno, il Tempo. Dodici frecce metalliche, accese da un tono di rosso vivo che sfiora il vermiglione, trafiggono il suolo costellando l’Arce dell’Antica Città di Cosa di segnali divini inconfutabili. Come reperti archeologici senza tempo, altrettante lastre marmoree recano i nomi delle divinità dell’Olimpo romano in lettere bronzee: senza alcuna soluzione di continuità, queste lastre affiorano dal terreno come moniti, segnalando la continuità del rapporto fra l’umano e il divino che risale agli albori delle civiltà del Mediterraneo. L’artista recupera il Capitolium romano, la fenditura rituale etrusca che vi risiedeva sotto, e le trasporta così dentro al contemporaneo da crear loro un passato. In questo modo il tempo si dilata, quasi fermandosi. Alzando lo sguardo verso le frecce si comprende allora che queste non sono altro che meridiane recanti i quattro assi, i Quattro punti cardinali. Come in un paesaggio metafisico, ci risulta ora impossibile comprendere un prima e un dopo rispetto a quanto ci si para davanti agli occhi. Le mura in opera poligonale del tempio, l’albero che le costeggia, le fondamenta dell’area dedicata a Mater Matutae non diventano altro che una quinta dechirichiana che invece di ospitare statue-manichino ospita segnali divini ridotti a geometrie euclidee: le frecce. Una volta assorbiti all’interno di questo tempo denso, l’artista ci riporta alla frenesia della realtà spostando ironicamente l’accento dell’opera sull’impatto cromatico. La luce, che egli cattura attraverso la verniciatura rossa, dialoga con l’ambiente circostante nell’unico tono di colore utilizzabile per creare un contrasto, per lanciare un segnale estetico. In questo modo viene rappresentata la luminosità tipica dell’intervento celeste, la stessa che si irradia sull’asta lignea che sorregge la tenda di Costantino nel Sogno magistralmente dipinto da Piero Della Francesca. Emerge allora la rapidità folgorante dell’incontro, l’impossibilità del dialogo continuativo con il mondo divino ridotto a brevi segnali da interpretare, e dunque l’incommensurabile piccolezza che segna la precarietà umana e conferisce il titolo all’opera”.
Con questo intervento di Felice Levini, Hypermaremma torna per la terza volta in uno dei luoghi più speciali della Maremma Toscana. Dopo aver inaugurato la collettiva ‘La Città Sommersa’ nel 2019 e dopo aver presentato la performance ‘The City of Thing’ e la scultura ‘Otto Doppio Cono con Maschera’ di Francesco Cavaliere nel 2022, un nuovo intervento site specific renderà nuovamente protagonista il Parco Archeologico dell’Antica Città di Cosa.
Felice Levini nasce Roma nel 1956. Artista dalla manualità classica e dalla poetica ironica e pungente, Felice Levini, attraverso il suo lavoro, mette in scena episodi della vita mostrandone il lato irriverente e incalzante. Artista colto nei riferimenti - dal classicismo alla storia dell’arte, fino alla mitologia e alla storia sociale italiana, Levini ha agitato e preso parte alla scena contemporanea italiana di secondo Novecento lavorando principalmente a Roma, Torino e Milano con istituzioni di primo piano. L’artista intrattiene un fitto dialogo artistico con le opere di Alighiero Boetti e Gino De Dominicis, che cita e riprende in diversi lavori. Il rapporto con Salvo, importante per i suoi sviluppi artistici, favorirà il suo ingresso nel mondo culturale torinese all’inizio degli anni Ottanta. Giovanissimo, nel 1978 apre uno spazio autogestito dagli artisti in via Sant’Agata dei Goti a Roma insieme ai colleghi e amici Giuseppe Salvatori e Claudio Damiani al fine di dare luogo a serate dedicate all’incontro fra arte, poesia e musica. Il progetto è stato recentemente approfondito al Palazzo delle Esposizioni di Roma in DEDICATO | S. Agata de’ Goti 1978-1979. Nel 1980 è fra i primi artisti ad aderire al gruppo dei Nuovi-Nuovi patrocinato dalla critica di Renato Barilli. Negli anni Novanta il suo linguaggio si fa sempre più imprevedibile, introducendo nel suo lavoro l’attività performativa e la presenza umana. Nell’arco di questo ventennio l’artista partecipa a ben due Biennali - la XLIII del 1988 e la XLV del 1993 - e due Quadriennali, nel ’86 e nel ’96. Il suo lavoro prosegue verso e all’interno del nuovo millennio, attraverso la collaborazione con numerose gallerie d’arte e istituzioni museali come: l’Acquario Romano (2002), La Galleria Nazionale (2013), Museo Macro (2016), Auditorium Parco della Musica di Roma (2016), Galileo Chini (2020) e l’Aranciera di Villa Borghese (2021).
Nell’immagine: l’installazione di Felice Levini per Hypermaremma 2023. Foto di Daniele Molajoli, concessione dell’artista e di galleria Niccoli, Parma
Le frecce di Felice Levini nel Parco Archeologico di Cosa: l'intervento per Hypermaremma |