Ubaldo Oppi, tra i maggiori esponenti del Realismo Magico. Vita, opere, stile


Considerato uno dei più importanti esponenti del Realismo Magico, Ubaldo Oppi è stato uno dei maggiori artisti di inizio Novecento.

Ubaldo Oppi (Bologna, 1889 – Vicenza, 1942) è stato uno degli iniziatori del gruppo Novecento, fondato nel 1922 a Milano. È inoltre considerato uno dei maggiori esponenti del Realismo magico, la cui peculiarità risiede nell’inserire elementi tipicamente classicheggianti come drappi o architetture, retaggio degli studi di Oppi della pittura quattrocentesca italiana, e figure umane in un’ambientazione sospesa nel tempo, rarefatta.

Le vicende personali di Oppi influenzarono la sua pittura, ad esempio durante un periodo di prigionia a Mauthausen realizzò opere di stampo bellico che rappresentavano uomini del proletariato visti con uno sguardo pietistico, oppure nell’ultimo periodo della sua vita ebbe una crisi mistica che lo portò prima ad aderire a pieno al cattolicesimo, e poi a dedicarsi ad opere esclusivamente a tema religioso.

Nonostante qualche variazione sulle tematiche, lo stile inconfondibile di Oppi, definito come uno stile dalla “classicità moderna”, resta costante e coerente lungo tutta la sua attività pittorica.

Ubaldo Oppi
Ubaldo Oppi

La vita di Ubaldo Oppi

Ubaldo Oppi nacque a Bologna il 29 luglio del 1889. Sua madre si chiamava Guglielma Mantechini, e suo padre Pompeo era un commerciante di calzature. Questi desiderava che Oppi studiasse tecnica commerciale in Austria e in Germania, così da imparare anche la lingua tedesca oltre alle basi del commercio. Tuttavia, Oppi non riuscì a rinunciare alla sua innata passione per il disegno che lo portò ad iscriversi, piuttosto, alla Scuola di Nudo dell’Accademia di Gustav Klimt a Vienna nel 1907.

Nei tre anni successivi Oppi continuò a studiare pittura, in particolare il paesaggio e la figura viaggiando nel contempo tra la Germania, la Repubblica Ceca, l’Ungheria, la Russia e la Romania. Rientrò in Italia nel 1910 e si stabilì a Venezia. Qui, iniziò la sua carriera artistica esponendo per la prima volta le sue opere presso la V Esposizione d’arti e industrie veneziane nella galleria di Ca’ Pesaro. L’anno successivo si trasferì nuovamente a Parigi, dove rimase per un periodo e prese a frequentare gli artisti contemporanei Gino Severini ed Amedeo Modigliani. Inoltre, ebbe una travagliata relazione amorosa con Fernande Olivier, la compagna di Pablo Picasso.

Allo scoppio della Prima guerra mondiale, Oppi tornò nuovamente in Italia e si arruolò nel corpo degli alpini. Venne anche fatto prigioniero e portato per alcuni mesi a Mauthausen. Poco prima di essere fatto prigioniero, Oppi aveva avuto modo di conoscere Margherita Sarfatti, la quale nominò l’artista in una serie di scritti in cui lo descrive come un uomo di grande stazza e di poche parole, “da autentico alpino”. Sarfatti rimase colpita dai segni che Oppi tracciava su un tavolino di marmo. Dopo essere tornato nuovamente a Parigi nel 1919, dove restò per tre anni e si sposò con Adele Leone, detta Dehly, sua musa ispiratrice e modella per diversi suoi quadri, rientrò un’altra volta in Italia per stabilirsi definitivamente a Milano. Organizzò nel 1922 due mostre personali alla Galleria Bottega di Poesia a Milano e un’altra alla casa d’arte Bragaglia di Roma, inoltre partecipò al Salon d’Automne nuovamente a Parigi. Verso la fine dell’anno iniziò ad incontrarsi nella galleria Pesaro a Milano con il titolare, Lino Pesaro, e con Margherita Sarfatti, iniziando poi a collaborare con quelli che insieme a lui diventarono i sette pittori del gruppo Novecento: Leonardo Dudreville, Emilio Malerba, Pietro Marussig, Mario Sironi, Achille Funi e Anselmo Bucci. La loro prima mostra ufficiale come gruppo ebbe luogo nel 1923, proprio nella galleria Pesaro. Per alcuni mesi, gli artisti esposero a rotazione le loro opere nella galleria, avendo stabilito di comune accordo che le attività espositive dovessero sempre essere esclusivamente di gruppo.

Nonostante questa regola, Oppi organizzò una mostra personale nel 1924 con l’aiuto di un suo estimatore, il critico Ugo Ojetti, episodio che originò pesanti malumori all’interno del gruppo. Alla Biennale di Venezia di quell’anno, ci fu una netta separazione e si presentarono sia i pittori del gruppo Novecento, ribattezatisi “Sei pittori”, sia il solo Oppi il quale espose alcune opere nel Padiglione Italia. Riuscì comunque a mantenere buoni rapporti con Margherita Sarfatti, che lo invitò poi ad esporre alla prima mostra del Novecento Italiano nel 1926. Nel frattempo, Oppi venne insignito di un importante riconoscimento alla XXIV Esposizione internazionale di pittura del Carnegie Institute di Pittsburgh nell’autunno del 1925, dove vinse il secondo premio con l’opera Il Nudo Disteso, e negli anni successivi continuò una intensa attività espositiva, sia in Italia che all’estero, da New York a Berlino. Si allontanò poi definitivamente da l gruppo Novecento nel 1928.

Nel 1930 il pittore organizzò una mostra antologica delle sue opere giovanili datate tra il 1913 e il 1921, alla Galleria Il Milione di Milano.

Partecipò per l’ultima volta alla Biennale di Venezia nel 1932 e in seguito decise di stabilirsi definitivamente a Vicenza, dove si ritirò in solitudine dipingendo molto raramente. Fu richiamato alle armi nel 1941, tuttavia dovette presto fare ritorno a Vicenza per importanti problemi di salute che ne causarono la scomparsa il 25 ottobre del 1942.

Ubaldo Oppi, Ritratto della moglie sullo sfondo di Venezia (1921; olio su tela; Rovereto, Mart, Museo di arte moderna e contemporanea di Trento e Rovereto)
Ubaldo Oppi, Ritratto della moglie sullo sfondo di Venezia (1921; olio su tela; Rovereto, Mart, Museo di arte moderna e contemporanea di Trento e Rovereto)
Ubaldo Oppi, La giovane sposa (1922-1924; olio su tela; Padova, Museo d'Arte Medievale e Moderna)
Ubaldo Oppi, La giovane sposa (1922-1924; olio su tela; Padova, Museo d’Arte Medievale e Moderna)
Ubaldo Oppi, Le amiche (1924; olio su tela; Collezione privata)
Ubaldo Oppi, Le amiche (1924; olio su tela; Collezione privata)

Lo stile e le opere di Ubaldo Oppi

Oppi ha privilegiato nelle sue opere l’adesione ad una classicità definibile moderna, in quanto caratterizzata da toni malinconici e nostalgici e da una tendenza all’astrazione simbolica. Queste caratteristiche vengono accentuate dalla presenza nelle sue opere di elementi architettonici metafisici. Lo studio dei capolavori italiani del Quattrocento ispirò Oppi agli inizi della sua carriera per alcuni dipinti in cui appariva evidente l’influsso di Sandro Boticelli, essendo presenti uomini e donne danzanti nella natura senza veli. La natura per Oppi tuttavia non era solo un pretesto ambientale in cui inserire le figure, ma un modo per conferire alle opere una sensazione di mistero e di sospensione nel tempo decisamente di stampo mistico e metafisico. Le figure vengono rappresentate da Oppi con un caratteristico velo di malinconia nei loro volti e con sguardi enigmatici, come se avessero la capacità di vedere qualcosa nascosta ai più.

Come dimostrano le opere esposte da Oppi nella mostra di esordio alla V Esposizione d’arti e industrie veneziane, a Ca’ Pesaro nel 1910, egli realizzò pastelli di paesaggi e ritratti con colori tenui.

Dopo gli esordi, Oppi si avvicinò al simbolismo e per un breve periodo al Futurismo, riconoscibile nell’opera Strada a Venezia (1911). Risalgono a questo periodo, inoltre, le opere Donna con manicotto (1911) e Due donne (1912-1913), in cui emerge una certa influenza dell’espressività dei Fauves. L’anno successivo Oppi si arruolò e venne fatto prigioniero a Mathausen, dove ebbe modo di continuare a realizzare disegni ed acquerelli con tematiche ispirate alla guerra. I protagonisti delle oepre di questo periodo sono soprattutto uomini del proletariato, di cui vengono sottolineate la fatica e la miseria attraverso un punto di vista pietistico. Oppi dichiarò, infatti, che vivere la guerra gli aveva insegnato a provare “Un amore infinito verso gli uomini”.

In seguito, negli anni tra il 1913 e il 1914 Oppi si concentrò soprattutto su acquerelli, inizialmente monocromatici sui toni del blu, e poi con più sfumature di colori, mantenendo sempre la caratteristica sensazione surreale. Tra queste opere si ricorda Figure al bar (1913), che sembrerebbe essere ispirata dal periodo blu di Picasso, anche se Oppi dichiarò di averlo conosciuto più tardi. Restò costante nella pittura di Oppi la rappresentazione di storie di emarginazione, tra miseria, solitudine e povertà. I protagonisti diventarono qui pallidi, emaciati, e Oppi li dipinse con caratteristici occhi a mandorla velati di tristezza e di rassegnazione.

Alla fine della prima guerra mondiale, Oppi addolcisce molto le sue opere abbandonando il simbolismo e le figure emaciate per approdare ad opere più serene. In questo stesso periodo le sue opere vengono indicate al Salon des Indépendants di Parigi come tra le più significative, per la loro elegante oggettività. Le opere di Oppi si incastrarono perfettamente nelle correnti artistiche del dopoguerra che promulgavano il ritorno al figurativismo, estrapolando le figure dal loro naturale contesto quotidiano per inserirle in un’atmosfera rarefatta, senza tempo ed ambigua, astraendole e isolandole. Franz Roh individuava proprio in Oppi l’artista più rappresentativo del Realismo Magico, la corrente da lui teorizzata, mentre Margherita Sarfatti definirà il suo lavoro in alcuni scritti come “moderna classicità”. L’opera del 1920 Doppio ritratto attirò l’attenzione della critica e anticipa la piena volta classicista che si verificò nel 1922, quando presentò al Salon d’Automne Ritratto della moglie sullo sfondo di Venezia (1921).

Dopo la conoscenza di Margherita Sarfatti e l’ingresso nel gruppo di Novecento, Oppi fu coinvolto in uno scandalo, in quanto una sua opera dal titolo Conca fiorita (1923) fu considerata troppo licenziosa e quindi censurata. A seguito dell’abbandono del gruppo Novecento, Oppi espose alla Biennale del 1925 dipinti tra cui figuravano paesaggi e grandi scene di figura, come La giovane sposa (1922-1924) in cui viene citato il San Sebastiano di Antonello da Messina, e Le amiche (1924). Intorno al 1927, nell’ambito di una mostra personale alla galleria Pesaro di Milano, espose l’opera I chirurghi.

Nel frattempo, Oppi iniziava a provare una crisi mistica, che lo condusse a convertirsi al cattolicesimo nel 1928, e a dedicarsi ad opere a tema religioso, anticipate qualche anno prima dalla pala di San Venanzio Fortunato vescovo di Poitiers che inneggia alla Croce, per la parrocchiale di Valdobbiadene. Una delle ultime opere di Oppi risale agli anni tra il 1930 e i 1932: si tratta degli affreschi realizzati per la cappella di San Francesco nella basilica di Sant’Antonio a Padova, un chiaro esempio di applicazione del classicismo novecentista su pittura murale. Si dedicò poi ad alcuni affreschi per la chiesa di Santa Maria a Bolzano Vicentino (1934-1935) nei quali si riconoscono sullo sfondo i luoghi della guerra dove l’artista aveva combattuto.

In questo periodo gli ambienti delle sue opere erano spogli, ma decorati con grandi drappeggi che somigliano a sipari teatrali. La figura umana, in particolare femminile, diventava più morbida e sinuosa, sempre più affine alle figure della classicità. Le ultime opere realizzate da Oppi furono soprattutto commissioni arrivate da privati, oppure rielaborazioni delle opere del passato.

Ubaldo Oppi, I tre chirurghi (1926; olio su tela; Vicenza, Museo Civico di Palazzo Chiericati)
Ubaldo Oppi, I tre chirurghi (1926; olio su tela; Vicenza, Museo Civico di Palazzo Chiericati)
Affreschi di Ubaldo Oppi nella cappella di San Francesco (Padova, Basilica del Santo)
Affreschi di Ubaldo Oppi nella cappella di San Francesco (Padova, Basilica del Santo)

Dove vedere le opere di Ubaldo Oppi

Molte delle opere di Oppi fanno parte di collezioni private, tra cui Donna con manicotto (1911), Due donne (1912-1913), Figure al bar (1913), Paese col porto (1914), Ritratto della moglie sullo sfondo di Venezia (1921), Le amiche (1924).

Sono presenti in alcuni musei italiani i seguenti dipinti, in ordine cronologico, La giovane sposa (1922-1924) che si trova nel Museo d’arte medioevale e moderna di Padova, I vetri di Murano (1925) presso il Museo del Novecento di Milano, I chirurghi (1926) nella Pinacoteca di Palazzo Chiericati di Vicenza e Nudo alla finestra (1926) alla Galleria Antologia di Monza. Da vedere inoltre i sopra citati affreschi realizzati per la cappella di San Francesco nella basilica di Sant’Antonio a Padova (1930-1932).


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