Tano Festa (Roma, 1938 – 1988), artista, pittore e fotografo dalla vita intensa, è stato uno degli artisti italiani più vicini alla Pop Art. In gioventù diventa amico di una serie di artisti romani riunitisi nel gruppo della Scuola di Piazza del Popolo, tra cui Mario Schifano e Jannis Kounellis. Ben presto raggiunge una discreta fama che lo porta a partecipare ad importanti mostre e a collaborare con importanti gallerie di Roma.
La produzione di Festa è molto variegata, ma si possono individuare dei punti comuni. Anzitutto, la sua tendenza a produrre serie di opere sullo stesso tema, che Festa porta avanti anche a distanza di anni. Tra le più famose, le serie dedicate all’Adamo della michelangiolesca Cappella Sistina, i ritratti di amici e familiari e i Coriandoli, su sfondi vivaci e colorati.
Grande ammiratore, come anticipato, della Pop Art, spesso è stato definito come esponente della cosiddetta Pop Art italiana, tuttavia Festa era ben consapevole della differenza di contesto tra gli Stati Uniti e l’Italia, il cui esito poteva essere, piuttosto, un’arte italiana “popolare”, che prende spunto dai grandi capolavori del passato per renderli attuali.
Tano Festa nacque a Roma il 2 novembre del 1938. La madre, Anita Vezzani, proveniva da una famiglia di commercianti ed era nata nella provincia di Bologna, mentre il padre, Vincenzo Festa, aveva origini palermitane e napoletane. Il padre incoraggiò Festa da bambino a dipingere come hobby e lo stesso artista dichiarò di aver iniziato in questo frangente “ufficiosamente” a dipingere. Era fratello di un altro artista, Francesco Lo Savio, così registrato all’anagrafe, pertanto con un cognome diverso dal suo. Il fratello si suicidò giovanissimo a Marsiglia nel 1963, e questo episodio influenzò l’arte di Festa negli anni successivi.
Festa si iscrisse nel 1952 presso l’Istituto d’arte di Roma, e si è diplomato nel 1957 in fotografia artistica. In questi anni frequentava alcuni suoi coetanei che divennero anch’essi rinomati artisti, come Mario Schifano, Franco Angeli, e in seguito Jannis Kounellis e Mario Ceroli. Insieme, questo gruppo di importanti personalità affini tra loro venne conosciuto come Scuola di Piazza del Popolo, dal nome della piazza in cui erano soliti incontrarsi, solitamente nel Caffè Rosati o nella galleria La Tartaruga.
Festa espose i suoi lavori per la prima volta nel 1958 alla Mostra di Pittura per il Premio Cinecittà, organizzata dal Partito Comunista Italiano. L’anno successivo instaurò una collaborazione con la galleria La Salita di Gian Tomaso Liverani a Roma, una delle sedi più prestigiose per l’arte contemporanea, dove nel 1961 allestì la sua prima mostra personale. Nello stesso anno partecipò anche al XII Premio Lissone e a molte altre occasioni espositive, consolidando un buon livello di interesse che la critica iniziava a mostrare verso il suo lavoro.
Il rapporto con la critica fu altalenante, in quanto per alcuni periodi gli vennero preferiti altri artisti lasciando Festa un po’ in disparte, ma negli anni Ottanta alcune innovazioni nella sua produzione pittorica destarono nuovamente l’interesse nei suoi confronti. Nel 1962 stabilì una nuova collaborazione con la galleria La Tartaruga, e tra le sue sale Festa conobbe Giorgio Franchetti, che diventerà il suo principale collezionista e sostenitore. Nel 1970 si sposò con Emilia Emo Capodilista e si trasferì in provincia di Padova nella casa di famiglia della moglie. Dall’unione nacquero due figlie, Anita e Almorina.
Dopo aver viaggiato in tutto il mondo e aver partecipato a diverse mostre importanti sia in Italia che all’estero, Festa nel frattempo combatteva contro un male che lo portò via a Roma, il 9 gennaio 1988, all’età di 49 anni. Al suo fianco vi era la giornalista Antonella Amendola, che aveva conosciuto nel 1976. A seguito della sua scomparsa venne allestita una mostra antologica a Roma curata da Achille Bonito Oliva e un altro omaggio alla sua figura gli venne tributato con un’altra mostra nella XLV Biennale di Venezia (1993), dal titolo Fratelli in quanto vennero esposte anche le opere di Lo Savio.
Le prime opere di Tano Festa, che dovevano essere state realizzate tra il 1956 e il 1958, ci sono mostrate attraverso disegni, da cui emerge un affinità con il surrealismo, mentre già nel 1960 compaiono dipinti monocromi. In queste opere la tela viene ricoperta da strisce di carta, imbevute dello stesso colore dello sfondo, in modo da conferirle una maggiore spinta verticale. Festa utilizza molto spesso il colore rosso, di un tono che risulta simile a quello del sangue, a differenza della vivacità che invece si trovava nell’amico Mario Schifano. Già l’anno successivo, Festa sostituisce le strisce di carta con listelli di legno e utilizza vernici industriali, così che le nuove opere mostrino un’accezione del quadro come di un oggetto. Queste opere vengono presentate nella prima mostra personale di Festa del 1961.
Nel 1962 compaiono per la prima volta dei veri “oggetti”, ovvero finestre, porte, armadi e in generale mobilio comune, che vengono disegnati dall’artista e fatti produrre da un falegname. La particolarità di questi arredi è che risultano privi di cardini, maniglie o serrature, diventando così inaccessibili e perdendo la loro funzione pratica primaria per trasformarsi in arte. Si ricordano La finestra rossa e nera e Stanza rossa, in cui resta sempre preponderante il colore rosso e Persiana, che presenta a New York nella mostra “New Realists” nel 1962. L’anno successivo, Festa introduce delle scritte che appone all’interno dei telai dei suoi arredi. Con il passare degli anni, in seguito alla morte del fratello Lo Savio, gli oggetti proposti da Festa diventano malinconici e suggeriscono echi della metafisica, indagando il rapporto tra la vita e l’aldilà.
Tra il 1962 e il 1963 Festa propone spesso il tema della lapide, ed inizia a realizzare le prime opere in cui cita grandi capolavori del passato, in particolare Michelangelo. In Particolare della Sistina dedicato a mio fratello Lo Savio (1963) e La Creazione dell’Uomo (1964), realizzata in due versioni, viene citata la Creazione di Adamo, capolavoro di Michelangelo Buonarroti affrescato sulla volta della Cappella Sistina, reinventandola secondo diversi approcci, ad esempio applicata su quattro pannelli verticali di diverse dimensioni che creano una sorta di paravento. In seguito Festa realizza altre versioni in cui il volto dell’Adamo è reso con colori accesi che ricordano i lavori di Andy Warhol. Alla fine degli anni Settanta utilizzerà l’anilina, in blu intenso, ricalcando il contorno del volto con una matita bianca e inserendo sulla tela delle macchie realizzate con l’acido, che vanno a interferire con la sagoma del protagonista.
Il concetto dietro le citazioni di grandi opere italiane risiedeva nel voler proporre un’arte italiana “pop”, nel senso di popolare. Per stessa ammissione dell’artista, la Pop Art statunitense proponeva oggetti di consumo che erano parte fondante della cultura locale, come le zuppe Campbell’s, portati sulla tela da Warhol per toglierle dal loro contesto e diventare spunto di riflessione artistica, mentre in Italia egli non trovava riferimenti di questo tipo e poteva solo confrontarsi con i maestri della storia dell’arte. Durante un periodo trascorso negli Stati Uniti nel 1965, Festa inizia a mettere a punto la tecnica del ricalco a mano di immagini proiettate, concentrandosi su sagome di oggetti come pennelli, martelli, cacciaviti. Inoltre, giunge sempre in questi anni alla rielaborazione di un’altra opera di Michaelangelo, ovvero la testa dell’Aurora, parte del complesso delle tombe di Giuliano e Lorenzo de’ Medici a Firenze nella Sagrestia Nuova di San Lorenzo. Lavora su questo tema molto spesso, tanto frequentemente quanto l’Adamo, ed utilizza la tecnica della proiezione su tela, del ricalco a mano e della campitura a smalto.
Successivamente è la volta della serie Gli amici del cuore (1967) e Per il clima felice degli anni Sessanta (1969), in cui compaiono i nomi di persone vicine all’artista, tra cui artisti collezionisti e galleristi, come Schifano, Franchetti, Angeli, Lo Savio e Mimmo Rotella. Le immagini, in colore nero o blu, si stagliano su uno sfondo bianco o azzurro, con un disegno essenziale e geometrico che presenta alcune scritte con il normografo o sagome di immagini proiettate. Con la stessa impostazione realizza anche Solitudine nella piazza (1969), in cui rappresenta in modi vicini all’espressionismo pittorico la sagoma dell’ammiraglio Horatio Nelson sul monumento di Trafalgar Square a Londra.
Tra gli anni Settanta e gli anni Ottanta Festa realizzerà diverse serie che si accomunano per dettagli tecnici di esecuzione. Infatti, nel riproporre le citazioni delle opere del passato Festa sperimenta una nuova tecnica in cui le figure sono sempre proiettate sulla tela, ma vengono riprodotte in modo frammentato andando a perdere sempre di più il legame con l’opera originaria. Un esempio è estratto sempre dalla Cappella Sistina, ovvero un frammento dell’albero del Peccato originale collocato all’interno di inquadrature prospettiche delineate con il gessetto, così che venga anche eliminato ogni riferimento spaziale. Un’altra proposta riguarda nomi inseriti isolati a caratteri normografici sulla tela, che spesso sono nomi di artisti dell’Ottocento completi di data di nascita e morte, simile pertanto ad una lapide. Tra i nomi citati si ricordano William Turner, Édouard Manet, Paul Cézanne, Edgar Degas, Auguste Renoir, Vincent van Gogh o Pablo Picasso, con i quali vengono create diverse opere, alcune delle quali denominate con il nome Omaggio al colore.
A fine anni Settanta, l’artista propone altre due serie, Le Piazze d’Italia e Rebus in cui introduce lo smalto e l’anilina su una tela emulsionata. Una delle sue serie più famose di questo periodo è certamente Coriandoli, che elabora dopo un periodo di delusioni dal punto di vista della critica, che lo aveva ignorato e che invece torna ad interessarsi a lui con questa proposta. Si tratta di una tela preparata con colori acrilici molto vivi, rosso, verde, blu, ma anche il nero, su cui poi applica dei veri e propri coriandoli colorati. Nel frattempo, negli ultimi anni della sua vita Festa di dedica spesso a ritratti, come nella serie I quadri privati in cui propone fotografie ingrandite che ritraggono suoi familiari. Negli anni Ottanta utilizza moltissimo il colore acrilico per ritrarre amici e anche figure immaginarie che sono ispirate alla letteratura, come Don Chisciotte (1987), conferendogli un tono oscuro ed ermetico. Finestra sul mare (1988) è una delle ultimissime opere di Festa, visibile sul lungomare di Villa Margi tra Palermo e Messina e dedicata alla memoria del fratello Francesco Lo Savio.
Le detentrici del diritto d’autore delle opere di Festa sono le due figlie, che dal 2001 hanno istituito un Archivio delle opere di Tano Festa, con l’obiettivo di costituire un catalogo ragionato di tutta la produzione artistica del padre. L’archivio risulta ancora in costruzione, in quanto sul sito tanofesta.it/catalogo è stato pubblicato un appello pubblico a chiunque avesse nelle proprie case un’opera di Festa, di inviarne documentazione.
Diverse opere sono comunque presenti in musei italiani. Alcune, per esempio, sono conservate al MAMbo di Bologna, nella sezione “Figurabilità. Pittura a Roma negli anni Sessanta”, mentre al MACRO - Museo di Arte Contemporanea di Roma di Roma è custodito Omaggio a Rothko (1963).
Inoltre, nei Musei Vaticani viene posta una delle numerose opere dedicate all’Adamo di Michelangelo, dal titolo Il Miliziano morente (1979) volutamente poco prima di giungere nella Cappella Sistina.
Spesso le opere di Festa vengono esposte nel corso di mostre, sia personali che collettive, come Ricordando Tano Festa. Opere 1961-1979, una grande mostra antologica allestita nel 2004 alla Galleria dell’Oca di Roma.
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