Assieme al Pontormo, il Rosso Fiorentino (Giovanni Battista di Jacopo; Firenze, 1495 - Fontainebleau, 1540), è la figura chiave del primo Manierismo fiorentino: i due pittori, all’incirca coetanei, ebbero la stessa formazione (furono entrambi allievi di Andrea del Sarto) e proposero una pittura nettamente nuova, al di fuori degli schemi. La realtà del Rosso Fiorentino è una “non realtà” decisamente alienata inquietante: le sue opere sono popolate di figure grottesche, stranianti, bizzarre, spesso contraddistinte da sguardi smarriti o preoccupati, e dalla totale rottura dell’equilibrio e dell’armonia che furono una delle principali conquiste del Rinascimento. In un mondo sconvolto e pieno di inquietudini come era quello del primo Cinquecento, la pittura del Rosso Fiorentino riflette tutte le preoccupazioni dell’uomo del tempo.
Il Rosso Fiorentino (così soprannominato per il colore dei suoi capelli) fu un artista molto originale, insofferente alle regole, che propose uno stile personale e fuori dai canoni: e che Giovanni Battista di Jacopo fosse un pittore ribelle, inquieto e tormentato lo si evince fin dalla formazione, perché lo stesso Giorgio Vasari, nelle sue Vite, afferma che il Rosso non gradiva l’arte dei suoi contemporanei, fatta eccezione per “pochi maestri” (è lo stesso Vasari che adopera questa espressione) che invece volle seguire, e tra questi pochi maestri apprezzati dal pittore si annoverano Andrea del Sarto, punto di riferimento importante per i giovani pittori del tempo a Firenze, e Michelangelo Buonarroti (Vasari sottolinea che importante per la formazione del Rosso Fiorentino fu il cartone della Battaglia di Cascina di Michelangelo che il Rosso Fiorentino ricopiò in giovane età: leggi qui un dettagliato approfondimento sulla Battaglia di Cascina).
Per essere stato una delle figure principali dell’arte manierista, nonché, assieme al Pontormo, l’iniziatore del manierismo a Firenze, il Rosso Fiorentino può essere collocato tra i grandi nomi della storia dell’arte italiana. La sua opera esercitò un impatto notevole su molti artisti successivi: per esempio Giorgio Vasari, Giulio Romano, Ludovico Cardi detto il Cigoli, Francesco Granacci, Francesco Primaticcio, Andrea Lilio e diversi altri.
Giorgio Vasari e aiuti, Ritratto di Rosso Fiorentino (affresco; Arezzo, Casa Vasari). Foto Francesco Bini |
Giovanni Battista di Jacopo nasce a Firenze nel mese di marzo 1494, un paio di mesi prima rispetto al suo “alter ego”, il Pontormo (che invece era nativo di Pontorme, sobborgo di Empoli). Non conosciamo molto sulla famiglia del pittore: sappiamo che il padre Jacopo era originario della val di Chiana e che il fratello Filippo era frate nella chiesa della Santissima Annunziata. Il Rosso, soprannome che gli deriva dal colore dei capelli (pare peraltro che Giovanni Battista fosse un uomo molto avvenente), compirà la sua formazione con Andrea del Sarto e sarà fondamentale per lui lo studio della Battaglia di Cascina di Michelangelo. Nel 1512, a diciotto anni non ancora compiuti, insieme al Pontormo dipinge la predella dell’Annunciazione di San Gallo di Andrea del Sarto. Il dipinto di colui che fu il maestro del Rosso è oggi conservato a Palazzo Pitti, mentre la predella dei suoi due allievi è andata perduta. Il Rosso si conferma come artista di talento precoce quando nel 1513, a diciannove anni, inizia a dipingere la sua prima opera che si può datare con sicurezza, l’affresco dell’Assunzione nella basilica della Santissima Annunziata di Firenze, che sarà terminato l’anno successivo.
Nel 1515 il Rosso è coinvolto nella preparazione degli allestimenti per le feste in occasione dell’arrivo a Firenze di papa Leone X. Nel 1517 si iscrive all’Arte dei Medici e degli Speziali, mentre l’anno successivo realizza, per Leonardo Buonafede, l’opera nota oggi come la Pala dello Spedalingo, conservata agli Uffizi, uno dei suoi capolavori più noti e famosi, anche se l’aspetto decisamente insolito dell’opera portò il committente a non apprezzare il lavoro. Attorno al 1520 l’artista è a Piombino dove lavora per il signore locale, Jacopo V Appiani, anche se non conosciamo con sicurezza le date del soggiorno. Nel 1521 il Rosso Fiorentino è a Volterra, dove dipinge il suo massimo e più famoso capolavoro, nonché caposaldo di tutto il Manierismo e della storia dell’arte italiana: la Deposizione oggi conservata alla Pinacoteca Civica di Volterra. Sempre a Volterra esegue anche la Pala di Villamagna. Nel 1522, per la famiglia Dei, dipinge la Pala Dei che oggi si trova agli Uffizi. Ancora, attorno al 1523 dipinge uno dei suoi capolavori più noti, Mosè e le figlie di Ietro. Nello stesso anno si trasferisce a Roma dove lavora alla cappella Cesi nella chiesa di Santa Maria della Pace, lo stesso luogo dove alcuni anni prima aveva lavorato Raffaello Sanzio. Nel 1527, durante il sacco di Roma, viene fatto prigioniero dai tedeschi, ma riesce poi a liberarsi e ripara a Perugia. Nello stesso anno raggiunge la cittadina di Sansepolcro, dove dipinge il Compianto sul Cristo morto, altra opera chiave della sua produzione, nota anche come Deposizione di Sansepolcro.
Nel 1528 il Rosso Fiorentino è a Città di Castello dove, per la cattedrale locale, dipinge il Cristo in gloria. Nel giorno di giovedì santo del 1530 è coinvolto in una rissa scoppiata in una chiesa di Sansepolcro, dove il Rosso Fiorentino e un suo garzone si trovano costretti a fronteggiare alcuni preti (il grottesco episodio è raccontato nelle Vite di Vasari). L’artista decide di andare a Venezia, dove viene accolto dall’amico Pietro Aretino (conosciuto probabilmente a Roma), per poi partire per la Francia, luogo dove, secondo Giorgio Vasari, il pittore aveva sempre manifestato il desiderio di recarsi. In Francia, il Rosso Fiorentino diventa pittore di corte di Francesco I. Nel 1532, per Francesco I di Francia, inizia a dirigere i lavori nella cosiddetta Galleria di Francesco I nel castello di Fontainebleau, che doveva essere decorata con una serie di affreschi. È coinvolto nel progetto fino al 1539 e nello stesso anno inizia, assieme a Francesco Primaticcio (Bologna, 1504 – 1570), a lavorare agli affreschi degli Amori di Vertunno e Pomona, terminati l’anno seguente. L’artista scompare improvvisamente, a soli quarantasei anni, il 14 novembre del 1540 a Fontainebleau. Non sono note con sicurezza le cause della morte: secondo Vasari il pittore si sarebbe suicidato, provando un forte senso di colpa per aver ingiustamente accusato di furto un pittore suo amico, Francesco di Pellegrino, che in seguito sarebbe stato anche torturato in carcere. L’informazione vasariana non è però confermata da nessun’altra fonte (e per la stessa ragione, ovvero l’assenza di documenti in proposito, non è neppure confutabile). Tutti i suoi cantieri e le sue commissioni vengono ereditate dal Primaticcio, che prosegue l’opera del Rosso dando origine alla cosiddetta scuola di Fontainebleau, che introduce il manierismo italiano in Francia grazie alla presenza di alcune figure di spicco.
Rosso Fiorentino, Assunzione (1517; affresco, 385 x 337 cm; Firenze, Santissima Annunziata, Chiostrino dei Voti) |
Rosso Fiorentino, Pala dello Spedalingo (1518; tempera su tavola, 172 x 141,5 cm; Firenze, Uffizi) |
Rosso Fiorentino, Deposizione dalla croce (1521; olio su tavola, 343 × 201 cm; Volterra, Pinacoteca e Museo Civico) |
La prima opera sicura del Rosso Fiorentino è l’Assunzione della Vergine realizzata tra il 1513 e il 1514, quando l’artista aveva appena diciotto anni, e si trova nel cosiddetto Chiostrino dei Voti, un cortile della basilica della Santissima Annunziata di Firenze alla cui decorazione ad affresco parteciparono tutti i più grandi artisti del tempo, a cominciare dallo stesso maestro del Rosso, Andrea del Sarto (è plausibile che la partecipazione del Rosso Fiorentino all’impresa fosse stata caldeggiata proprio da Andrea del Sarto, che a soli ventisette anni era già uno degli artisti più in vista della Firenze del tempo). L’affresco del Rosso è diviso in due registri, quello superiore in cui si osserva la Madonna che sta salendo al cielo in un tripudio di angeli, e quello inferiore dove si notano gli apostoli che assistono attoniti alla scena, per uno schema compositivo che richiama quello del Giudizio universale di fra’ Bartolomeo. Accanto al vigore delle figure, che rimanda all’arte di Michelangelo, e al cromatismo che invece si rifà all’arte di Andrea del Sarto, in questa Assunzione è possibile notare già molti dei tratti che saranno peculiari dell’arte del Rosso Fiorentino, come il modo di trattare i panneggi che sono molto ampi (appaiono quasi sempre più larghi del dovuto) e dalle forme spigolose (una delle tante stranezze che contraddistinguono lo stile del pittore fiorentino). L’Assunzione si distingue inoltre per la modernità con cui l’artista dispone le figure degli apostoli, che non sono rigide e schematiche, ma assumono pose e angolazioni differenti. Ancora, è importante osservare il panneggio della figura centrale: il manto verde che esce fuori dalla cornice entro cui è collocato il dipinto costituisce un motivo di rottura dell’armonia e dell’equilibrio (elementi che saranno alla base della nascita del manierismo).
Un Rosso Fiorentino ancora più originale e ancora più diretto verso il manierismo si può osservare nella cosiddetta Pala dello Spedalingo, opera del 1518 oggi conservata agli Uffizi. È chiamata così perché gli fu commissionata da Leonardo Buonafede, importante monaco della Firenze di allora e “spedalingo”, ovvero rettore dell’ospedale di Santa Maria Nuova, destinato a diventare poi vescovo alcuni anni dopo. La pala avrebbe dovuto essere collocata nella chiesa di Ognissanti, ma non fu gradita e pertanto non fu esposta nella chiesa (fu invece inviata nella chiesa di Santo Stefano a Grezzano, frazione della cittadina di Borgo San Lorenzo). A proposito del dipinto, Vasari racconta un aneddoto secondo cui Leonardo Buonafede, recandosi nello studio del pittore per vedere come procedeva la realizzazione dell’opera, fuggì inorridito perché i santi gli sembravano diavoli. Non sappiamo se le cose andarono realmente così, ma questa storia comunica in maniera molto eloquente l’originalità dell’arte di Giovanni Battista di Jacopo. In effetti le figure, in particolare quelle dei santi avanti con l’età come sant’Antonio Abate e san Girolamo, appaiono fortemente sgraziate: san Girolamo, per esempio, è ingobbito, presenta un corpo scheletrico e un paio di mani (soprattutto la sinistra) con dita che somigliano più ad artigli. Un santo, dunque, dall’aspetto grottesco. Gli altri santi, ovvero san Giovanni Battista a sinistra e santo Stefano vicino a san Girolamo, hanno sguardi ed espressioni tutt’altro che gioiose e calme: sembrano stupiti e inquieti, ognuno guarda in una direzione diversa, e le pesantissime ombreggiature attorno agli occhi (si guardino ad esempio quelle del Gesù Bambino) contribuiscono a rendere ancora più inquietante i volti lievemente arrossati dei santi.
L’opera più nota del Rosso Fiorentino è però la Deposizione di Volterra: dopo l’esperienza della Pala dello Spedalingo l’artista lasciò infatti Firenze (anche se non sappiamo se il trasferimento è collegato alla vicenda della pala), e fu dapprima a Piombino, poi a Volterra dove eseguì due opere: la Pala di Villamagna, oggi al Museo Diocesano di Volterra, e la grandiosa Deposizione conservata oggigiorno alla Pinacoteca Civica (fu realizzata per la Compagnia della Croce di Volterra e fu posta nella cappella della compagnia, all’interno della chiesa di San Francesco). Con la Deposizione, il Rosso Fiorentino firma una delle opere più importanti della storia dell’arte italiana, una pietra miliare del manierismo. Con la sua Deposizione, esattamente come avrebbe fatto pochi anni più tardi il Pontormo, il Rosso Fiorentino mira a straniare l’osservatore sovvertendo armonia ed equilibrio: il manierismo nega le regole del Rinascimento, è contrario a ogni logica di realismo e verosimiglianza, è riflesso dell’epoca di forti contraddizioni e di rivolgimenti politici in cui questo movimento nasce (e di conseguenza gli artisti ne risentono e iniziano a trasferire sulla tela tutte le loro angosce e le loro inquietudini). Nella Deposizione del Rosso Fiorentino non mancano i riferimenti spaziali (sarebbero invece venuti meno nella Deposizione del Pontormo), anche se le scale appoggiate alla croce sono poste in modo asimmetrico, ma il dramma e il senso d’inquietudine sono trasmessi al riguardante dai movimenti concitati e agitati, dagli aspetti fisici dei personaggi, dalle loro pose del tutto irrealistiche, dai colori molto accesi, dalla rappresentazione estremamente angolosa e molto irrealistica dei panneggi. Inoltre, la scelta di far arrivare la luce da un lato (ovvero dal lato destro della composizione) fa sì che alcune porzioni delle vesti abbiano delle tonalità luminosissime e quelle invece in ombra siano molto scure, senza passaggi graduali dalla luce all’ombra, espediente che conferisce un senso di maggior drammaticità alla scena, come se già non fosse bastato il movimento enfatizzato dei protagonisti, oltre alla loro gestualità quasi grottesca. E, a tal proposito, sono interessanti da una parte le grida dei personaggi che stanno togliendo il corpo di Gesù dalla croce e dall’altra le grida di disperazione dei personaggi in basso, con la Maddalena che teatralmente cade ad abbracciare le gambe della Madonna e san Giovanni che invece incede verso l’osservatore tenendosi il volto tra le mani (pare peraltro che il santo celi un autoritratto del pittore: stando a ciò che racconta Vasari, il Rosso era un giovane di bellissimo aspetto). C’è poi un altro particolare che contribuisce a rendere ancora più straniante l’insieme: il pittore, infatti, ha deciso di inserire, nell’angolo in basso a destra, alcune figure che apparentemente non hanno niente a che vedere con la scena (sono tre personaggi che compaiono vicino alla collina, vestiti in abiti contemporanei, che nelle riproduzioni fotografiche si notano a malapena ma se si osserva l’opera dal vivo a una distanza ravvicinata si notano con facilità). Si può ipotizzare che siano soldati e che quindi abbiano a che fare con la storia della Passione di Cristo (sarebbero, pertanto simbolo del male).
Tra le altre opere importanti occorre menzionare il Compianto sul Cristo morto della chiesa di San Lorenzo a Sansepolcro: l’opera gli fu commissionata dalla Confraternita dei Battuti per l’oratorio della Santa Croce, e fu in seguito spostata nella collocazione attuale. Terminato nel 1528, il dipinto è tra i più inquietanti del Rosso Fiorentino e di tutto il manierismo. I toni diventano cupi, tetri, scompare il cielo azzurro e il Rosso introduce il fondo scuro: questi toni comunicano un’idea della drammatica esperienza vissuta dal pittore nel 1527 durante il sacco di Roma, tanto che l’elemento più inquietante in assoluto del dipinto, ovvero il soldato alle spalle della Madonna che sviene, ha un aspetto mostruoso, perché il soldato nel contesto della Passione di Cristo simboleggia il male. Inoltre, qui probabilmente il Rosso Fiorentino vuole anche condannare l’esperienza da lui vissuta a Roma l’anno prima. L’inquietudine è pertanto diversa rispetto a quella che animava la Deposizione di Volterra: se a Volterra il Rosso divideva in due registri il dipinto creando un contrasto tra i due piani, quello superiore della fatica e quello inferiore della disperazione e del dolore, in questo caso tutto il gruppo dei partecipanti è animato esclusivamente dal dolore ed è solo sul dolore che si concentra l’attenzione del Rosso. Ancora, in Umbria, a Città di Castello, il pittore eseguì tra il 1528 e il 1530 il Cristo risorto in gloria, opera realizzata per la compagnia del Corpus Domini e destinata alla cattedrale della cittadina, mentre oggi è custodita presso il locale Museo Diocesano. Le figure vicine a Cristo sono la Maddalena, la Madonna, sant’Anna e santa Maria Egiziaca, mentre al di sotto si trovano svariati personaggi che rappresentano diversi mestieri oltre alle popolazioni del mondo (si notano anche una zingara e un personaggio di colore, popolazioni che sono state salvate dal sacrificio di Gesù morto e risorto e alle quali è dunque destinato il messaggio dello stesso Cristo). L’opera non accolse grande apprezzamento, perché secondo la mentalità del tempo l’inserimento di personaggi così bizzarri in un’opera d’arte di questo genere era difficile da accettare, e poi anche perché un dipinto come questo, che doveva esprimere serenità e gioia per la resurrezione di Cristo, venne stato realizzato ancora con toni scuri e con atmosfere che ricordano quelle della Deposizione di Sansepolcro. Ancora, prevalgono il rifiuto della tradizione e dell’armonia, cifre che sempre accompagnarono l’arte del Rosso.
Rosso Fiorentino, Pala Dei (1522; olio su tavola, 250 x 299 cm; Firenze, Palazzo Pitti, Galleria Palatina) |
Rosso Fiorentino, Compianto sul Cristo morto (1528; olio su tavola, 270 x 201 cm; Sansepolcro, San Lorenzo) |
Rosso Fiorentino, Cristo risorto in gloria (1528-1530; olio su tavola, 348 x 258 cm; Città di Castello, Museo Diocesano) |
Sono pochi i dipinti del Rosso Fiorentino che ci rimangono. Un buon numero di opere di Giovanni Battista di Jacopo si trova a Firenze: nel capoluogo toscano si possono ammirare l’Assunzione nel Chiostrino dei Voti della Santissima Annunziata, diverse opere agli Uffizi (la Pala dello Spedalingo, l’Angiolino musicante, il Ritratto di Giovani in nero, il San Giovannino, il Mosè che difende le figlie di Ietro). La Galleria Palatina di Palazzo Pitti conserva invece la Pala Dei, mentre alla Basilica di San Lorenzo si ammira lo Sposalizio della Vergine. Per conoscere l’arte del Rosso Fiorentino è tuttavia imprescindibile recarsi a Volterra, per ammirare la Pala di Villamagna e soprattutto la Deposizione, il suo più grande capolavoro. Ancora in regione, è possibile ammirare il Compianto sul Cristo morto nella chiesa di San Lorenzo a Sansepolcro.
Fuori dalla Toscana sono pochi i luoghi che accolgono opere del Rosso Fiorentino. A Città di Castello si trova il Cristo risorto, mentre il Museo Nazionale di Capodimonte di Napoli conserva un Ritratto di giovane seduto con tappeto. I capolavori tardi si trovano tutti fuori dall’Italia: si possono ammirare gli affreschi della Galleria di Francesco I a Fontainebleau, il Bacco, Venere e Amore al Musée National d’Histoire et d’Art del Lussemburgo, e l’ultimo capolavoro, la Pietà, realizzata in Francia e conservata al Louvre. Tra le altre opere conservate fuori dall’Italia si annoverano la Madonna in gloria del 1517 (all’Hermitage di San Pietroburgo), l’Allegoria della Salvezza (al Los Angeles County Museum of Art), la Sacra Famiglia con san Giovannino del Walters Art Museum di Baltimora, il Ritratto di giovane della National Gallery of Art di Washington, il Cristo morto compianto da quattro angeli al Boston Museum of Fine Arts e la Morte di Cleopatra all’Herzog Anton Ulrich Museum di Braunschweig in Germania.
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