La situazione di relativa tranquillità politica che era venuta a crearsi nell’Italia del Quattrocento ebbe il merito di favorire la diffusione del Rinascimento in diverse parti della penisola: la situazione politica vedeva la presenza, sul suolo italiano, di numerose corti che iniziarono a considerare una fonte di prestigio la presenza, nel proprio entourage, di artisti, scienziati e letterati che seppero lavorare armoniosamente creando un clima di fervore intellettuale unico. I signori quindi facevano a gara per garantirsi le prestazioni dei maggiori artisti e intelletuali del tempo, dando forma a un mecenatismo (termine che deriva da Gaio Cilnio Mecenate, protettore di letterati e artisti nella Roma dell’imperatore Augusto) che non conosceva precedenti nella storia occidentale.
Il mecenatismo rinascimentale trovava però le sue basi già nel Trecento, epoca in cui non mancarono corti che proteggevano gli artisti (come quella dei Carraresi a Padova o quella dei Visconti a Milano): tuttavia, il mecenatismo nel secolo successivo divenne un fenomeno diffuso. Intanto, perché molte città lasciarono una forma di governo comunale-repubblicana per trasformarsi in signorie (è per esempio il caso di Firenze), e poi perché la perdita di prestigio della chiesa nel Trecento aveva causato un allentamento di quellaausterità religiosa che aveva impedito ai signori del tempo di fare un eccessivo sfoggio della loro ricchezza e della loro potenza (cosa che invece accadde puntualmente nel Quattrocento, già in epoca tardo-gotica). Viceversa, nel Quattrocento il mecenatismo aveva tra i propri fini anche quello di accrescere il prestigio della corte. I signori infatti volevano rendere immortale il proprio nome, investendo le proprie ricchezze e accogliendo artisti, scienziati e letterati che potessero dare lustro al proprio casato e alla propria città. Gli Stati in cui questa spinta non si verificò, rimasero ai margini: è il caso, per esempio, di Siena, che da città-guida nelle tendenze artistiche del Trecento, fu relegata a un ruolo periferico.
Il mecenatismo ebbe anche l’effetto di abbellire e ammodernare le città (anche dal punto di vista dell’urbanistica), anche perché l’arte continuava ad avere lo stesso importante ruolo di comunicazione che aveva avuto in epoche precedenti. Tuttavia questi cambiamenti finirono per sconvolgere il ruolo sociale degli intellettuali, che da personalità che avevano ricoperto impegni pubblici nel Medioevo (si pensi, per esempio, a Dante Alighieri), diventavano professionisti il cui sostentamento era garantito dal mecenate (precursore di questo tipo di intellettuale disimpegnato da cariche pubbliche fu Francesco Petrarca).
La ripresa degli studi classici, benché avviata da importanti anticipatori come Dante e Petrarca, conobbe dalla fine del Trecento un notevole impulso che crebbe nel XV secolo: la civiltà classica diventava un modello a cui rifarsi, da cui attingere valori, primo tra tutti quello dell’uomo come centro dell’universo. E per riprendere gli studi classici e adattarli al contesto presente era necessaria la figura dei letterati che, dovevano rendere accessibile questo patrimonio antico, riadattarlo secondo lo spirito moderno e dialogare con gli artisti affinché anche l’arte figurativa potesse comunicare la volontà di rifarsi all’antico della società rinascimentale. È il fenomeno noto come umanesimo, termine che trae origine dalle humanae litterae, una formula con cui si indicava la letteratura greca e romana antica. Lo studio della classicità trovò un valido aiuto nella filologia, disciplina che si diffuse in modo capillare nelle corti rinascimentali. L’umanesimo contribuì anche all’evoluzione del ruolo dell’artista nella società: visto nel Medioevo come un artigiano, l’artista del Rinascimento diventò una figura completa contraddistinta da una ragguardevole attività intellettuale, che diventa indispensabile per la propria arte.
La città di Firenze ebbe un ruolo da guida anche in questo ambito. L’umanesimo fiorentino, già particolarmente evoluto per tutta la prima metà del Quattrocento, conobbe una notevole spinta con il terzo dei Medici saliti al potere nel 1434, Lorenzo il Magnifico, che, diventato signore di Firenze nel 1469 (era succeduto al padre Piero che governò per soli cinque anni, a partire dal 1464, dopo il trentennio di Cosimo il Vecchio), fece sua l’intuizione, comune al tempo, di come una corte che accogliesse artisti e letterati e che elaborasse delle linee-guida intellettuali, potesse essere una notevole fonte di prestigio. Non fu tuttavia un grande committente (ruolo che toccò principalmente ad altri esponenti della famiglia, oltre che agli altri casati cittadini, come gli Strozzi e i Tornabuoni), ma seppe favorire in modo magistrale la nascita di un clima culturalmente molto vivace. I principali studiosi attivi presso la corte del Magnifico, ovvero Marsilio Ficino, Pico della Mirandola, Giovanni Argiropulo e Cristoforo Landino, elaborarono un pensiero filosofico fondato sul neoplatonismo che influenzò profondamente l’arte contemporanea, e diedero il via a un recupero di schemi, modelli e iconografie tratti dal mondo antico.
Tra gli artisti, il principale responsabile di questa linea intellettuale fu Alessandro Filipepi, noto a tutti come Sandro Botticelli (Firenze, 1445 - 1510), uno dei più illustri pittori della cerchia laurenziana: lavorò a lungo per i Medici, rivisitò il repertorio mitologico antico connotandolo, grazie anche alla collaborazione con i letterati della corte medicea, di un significato attuale e anche pedagogico, perché spesso gli intellettuali alla corte avevano il ruolo di precettori. Botticelli fu il massimo interprete del neoplatonismo in pittura: fu lui il pittore che meglio seppe rendere sulla tela quel concetto di bellezza ideale che costituiva uno dei punti-chiave della filosofia neoplatonica (la celeberrima Nascita di Venere, 1484 circa, Firenze, Uffizi, incarna proprio questi ideali).
Ma anche altre corti rivestirono un ruolo di primissimo piano. Tra le corti culturalmente più avanzate del tempo, è doveroso citare la Urbino di Federico da Montefeltro: questi, un condottiero che aveva accumulato grandi ricchezze attraverso le sue campagne militari, diventò signore di una cittadina completamente ai margini della vita politica del tempo, ma che grazie a un’accorta politica di mecenatismo durante quasi quarant’anni (Federico da Montefeltro governò Urbino dal 1444 al 1482, riuscendo anche a ottenere, nel 1474, il titolo di duca), seppe far diventare uno Stato tra i più evoluti sul piano della cultura. Al contrario di Firenze però, a Urbino mancò una scuola artistica locale: si posero comunque le basi per creare un ambiente artistico capace di far nascere due dei più grandi geni che operarono nel secolo successivo (Donato Bramante e Raffaello provenivano infatti entrambi dai territori del Ducato di Urbino, e lì si formarono).
L’attività mecenatistica di Federico da Montefeltro investì tutti i campi del sapere: la corte di Urbino era frequentata da artisti, architetti, scienziati e matematici, studiosi e letterati. Nel campo delle lettere, Federico da Montefeltro chiamò al suo servizio un umanista come Vespasiano da Bisticci, grazie al quale riuscì a creare a Urbino una Biblioteca tra le più ricche dell’epoca. Il suo patrimonio è oggi in gran parte confluito nella Biblioteca Vaticana a seguito delle vicende che, nel Seicento, videro i domini urbinati passare sotto lo Stato Pontificio. Urbino si rinnovò nell’impianto urbanistico (fu edificato il notevole Palazzo Ducale, capolavoro dell’architettura rinascimentale, grazie all’opera di Maso di Bartolomeo, Luciano Laurana e Francesco di Giorgio Martini) e divenne una città faro nelle arti anche perché qui si sperimentarono diverse delle tendenze dell’arte rinascimentale: fu a Urbino infatti che Piero della Francesca (Borgo Sansepolcro, 1412 circa - 1492) trovò terreno fertile per le sue ricerche che cercavano di coniugare arte e matematica, anche perché proprio a Urbino poté contare sull’aiuto di matematici (come Luca Pacioli). Federico da Montefeltro fu particolarmente attratto dalle scienze come la matematica e la geometria, e diede questo indirizzo anche all’umanesimo urbinate. A Urbino fu anche attivo Melozzo da Forlì (Forlì, 1438 - 1494) e trovarono ospitalità artisti fiamminghi (come Giusto di Gand) che fornirono non poche suggestioni ai pittori rinascimentali italiani. Anche lo stesso Sandro Botticelli eseguì alcuni lavori per la corte urbinate.
A seguito della firma della pace di Lodi del 1459, che pose fine alle contese nell’Italia del nord, anche Mantova ebbe un ruolo di prestigio nell’ambito delle corti rinascimentali. Trovata stabilità sociale oltre che una posizione molto rilevante nelle logiche politiche del tempo, Mantova conobbe la signoria del marchese Ludovico Gonzaga, che governò dal 1444 al 1478: il marchese volle dare un volto nuovo alla città chiamando a Mantova due dei principali architetti del tempo, Luca Fancelli e Leon Battista Alberti (di quest’ultimo si ricorda in particolare la Basilica di Sant’Andrea) e volle celebrare la propria corte commissionando ad Andrea Mantegna (Isola di Carturo, 1431 - Mantova, 1506), chiamato in città appena un anno dopo Alberti (nel 1460), diverse opere tra cui la celeberrima Camera Picta, meglio conosciuta come Camera degli sposi. Lo stesso Mantegna fu autore del ciclo che meglio rappresenta la riscoperta del classico a Mantova e la tendenza della corte dei Gonzaga di voler instaurare un paragone con i fasti della Roma antica: i Trionfi di Cesare commissionati nel 1485 dal marchese Francesco Gonzaga. Il fervore intellettuale della corte mantovana non conobbe soste e perdurò anche per tutto il XVI secolo.
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