Spirito libero e provocatorio, Piero Manzoni (Soncino, 1933 – Milano, 1963) fu artista di un’energia e creatività inesauribile che cercò sempre di spingere ai limiti del possibile le potenzialità dell’arte. Grazie al suo lavoro, l’artista cremonese seppe sempre far parlare di sé, impressionò visitatori, galleristi e collezionisti conquistando il posto di icona nella cultura occidentale.
Milano fu lo scenario della sua vita: qui l’artista si formò, studiò, lavorò ed ebbe contatti con le tendenze più innovative del momento, sebbene spesso si recasse ad Albissola, in Liguria, meta frequentata da molti artisti. Inizialmente frequentò artisti appartenenti al Gruppo Nucleare, tra cui Enrico Baj e Lucio Fontana, e poi il gruppo tedesco Zero. Con il pittore Enrico Castellani stabilì un grande sodalizio, che portò i due artisti a fondare la celebre rivista Azimuth e l’omonima galleria. La sua arte è l’espressione visiva di un’idea, è il gesto che testimonia una presenza, le sue radicali intuizioni e le profonde elaborazioni mentali consentirono all’artista di diventare celebre in tutto il mondo.
Piero Manzoni |
Piero Manzoni nacque il 13 luglio 1933 a Soncino, un paesino in provincia di Cremona. Figlio di Egisto Manzoni, Conte di Chiosca e Poggiolo e di Valeria Meroni, della famiglia della storica Filanda Meroni, Manzoni ricevette un’educazione aristocratica e cattolica, passando la sua infanzia e giovinezza tra Soncino e Milano. Dopo aver conseguito la maturità, nel 1951 Piero si iscrisse alla Facoltà di giurisprudenza dell’Università Cattolica del Sacro Cuore a Milano. Questi furono gli anni in cui sviluppò il suo interesse per la lettura, i concerti, il cinema e il teatro. Nel 1953 cominciò a dedicarsi più costantemente alla pittura, attratto e ispirato dal paesaggio ligure di Albissola, nei pressi di Savona, dove andava spesso in villeggiatura con la famiglia. Manzoni nel 1955 lasciò la facoltà di Giurisprudenza per passare a quella di Filosofia, così si trasferì a Roma, ma alla fine dell’anno tornò a Milano. Iniziò a frequentare l’ambiente artistico milanese visitando gli studi degli artisti Roberto Crippa e Giani Dova, esponenti del Movimento spaziale, promosso dal gallerista Carlo Cardazzo e avvito dall’artista Lucio Fontana, che tra l’altro Manzoni probabilmente conosceva perché i genitori erano amici di famiglia.
Nel 1956 Manzoni produsse opere con impronte di oggetti, con olio e materiali eterogenei su tela. Nello stesso anno partecipò alla “IV Fiera Mercato. Mostra d’arte contemporanea” al Castello Sforzesco di Soncino in cui il pittore espose Papillon Fox e Domani chi sa, che con le loro forti tonalità affascinarono e attirarono l’attenzione di tutti i visitatori. A Milano invece espose alla Galleria San Fedele partecipando al “Premio di pittura di San Fedele 1956”. Con Ettore Sordini, Camillo Corvi-Mora e Giuseppe Zecca pubblicò il suo primo manifesto: Per la scoperta di una zona di immagini, il primo di una lunga serie di manifesti. Le prime mostre collettive ebbero inizio nel 1957: Manzoni espose il 15 gennaio alla Galerie 17 di Monaco di Baviera, organizzata da Luca Scacchi Gracco con gli artisti Lucio Fontana, Enrico Baj, Bruno Munari, Arnaldo Pomodoro e alti. Qualche mese più tardi un’altra collettiva a Milano gli permise di conoscere l’artista Dadamaino, che collaborò alle attività di Azimuth, rivista fondata da Manzoni e Enrico Castellani. Il 29 maggio venne inaugurata la mostra Manzoni, Sordini, Verga presso la Galleria Pater di Milano, accompagnata da un testo introduttivo di Fontana. Manzoni iniziò ad esporre anche in contesti con artisti “storicizzati” come la Quinta mostra del mercato dell’arte alla Galleria Schettini di Milano.
Verso le fine del 1957 dipinse i suoi primi “quadri bianchi”, inizialmente con gesso e poi con caolino e tela. Nei mesi successivi l’artista intitolò Achrome tutti i quadri bianchi. Nel 1958 continuò la produzione dei suoi famosissimi Achorme ma eseguì anche il primo Alfabeto con inchiostro e caolino su tela. Alla mostra Fontana, Baj, Manzoni alla Galleria Bergamo di Bergamo e poi alla Galleria del Circolo di Cultura di Bologna, il pittore espose per la prima volta i suoi “quadri bianchi”.
Risale all’estate del 1958 il primo viaggio in Olanda, in cui Manzoni strinse amicizia con artisti, come Gust Romijn e galleresti come Hans Sonnenberg. Proprio in Olanda tenne la sua prima mostra personale all’esterno: Piero Manzoni Schilderijen, a Rotterdam (dal 10 al 29 settembre 1958). L’attività artistica di Manzoni divenne sempre più frenetica: tuttavia, tra intense ore di lavoro e studio, non mancarono i viaggi e le lunghe serate fatte di alcol e scambio di idee tra amici.
Nel 1959 iniziarono gli Achrome con tela cucita. A Roma conobbe artisti e galleresti della nuova avanguardia come Tano Festa, Mario Schifano e Franco Angeli e l’intellettuale, poeta e critico Emilio Villa, che scriverà un testo sul lavoro di Manzoni. La prima produzione delle Linee avviene nel 1959 e a settembre dello stesso anno venne pubblicato il primo numero della rivista Azimuth, fondata a curata da Manzoni e Castellani. Nella rivista comparvero scritti di intellettuali e critici, come Gillo Dorfles, vennero riprodotte opere di artisti come Fontana, Yves Klein, Jasper Johns e Robert Rauschenberg, ma anche poesie di Edoardo Sanguineti, Nanni Balestrini e altri. Dopo la rivista, Castellani e Manoni affittarono un seminterrato in via Clerici a Milano, luogo in cui fondarono la Galleria Azimuth, spazio autogestito come l’omonima rivista. Lo stile di Manzoni divenne più provocatorio: l’artista realizzò infatti Scultura nello spazio, ovvero una sfera pneumatica in sospensione si un getto d’acqua, ma anche Fiato d’artista, palloncini gonfiati da Manzoni, sigillati e fissati su una base di legno. Alla galleria Azimuth presentò una delle sue performance più celebri: La consumazione dell’arte dinamica in pubblico – divorare l’arte, in cui l’artista firmò con l’impronta del pollice alcune uova sode, che vennero poi distribuite al pubblico e mangiate. Dal 1961 iniziò a firmare Sculture viventi poi “certificate” dalle Carte di autenticità e maggio realizzò le celebri novanta scatole di Merde d’artista, esposte per la prima volta alla Galleria Pescetto ad Albissola. Tra le ultimi esposizioni ricordiamo la Mostra Monocroma alla Galleria Il Fiore di Firenze a gennaio del 1963 e qualche giorno dopo inaugurarono una mostra personale alla Galerie Smith di Bruxelles. Il 6 febbraio 1963 Piero Manzoni morì prematuramente nel suo studio a Milano, a soli ventinove anni, a causa di un infarto.
Piero Manzoni, Domani chi sa (1956; olio e cera su masonite, 89,5 x 69,5 cm; Collezione privata) |
Piero Manzoni, Achrome (1958; caolino su tela, 50 x 30 cm; Genova, Museo d’Arte Contemporanea di Villa Croce) |
Piero Manzoni, Alfabeto (1958; fotolitografia, 50 x 35 cm) |
Piero Manzoni, Linea di lunghezza infinita (1960; cilindro di legno ed etichetta di carta, 15 x 4,8 cm; New York, Metropolitan Museum) |
Le opere di Piero Manzoni impressionarono e suscitarono i commenti più vari fin dall’inizio della sua carriera. La natura provocatoria e dissacrante dell’artista, infatti, lo accompagnò per tutta la vita. Le due opere giovanili Papillon Fox (1956) e Domani chi sa (1956) che presentò alla “IV Fiera Mercato. Mostra d’arte contemporanea”, presentano delle tonalità ambigue che, tuttavia, attirarono molto l’interesse dei visitatori. In queste prime opere l’atteggiamento l’artista fu di stampo surrealista, dunque, principini psicoanalitici, automatismi espressivi e gestuali che furono in sintonia anche con il Movimento arte nucleare, a cui l’artista aderì nel 1957. Un anno particolarmente importante per l’artista fu il 1957 poiché si presentò come un anno di grande sperimentazione artistica ma anche rimessa in discussione di alcuni principi e metodo. Se infatti nei primissimi lavori l’aspetto figurativo fu lievemente presente, nel 1957 il pittore cremonese si avvicinò sempre di più a concezioni materiche, più “astratte”, per poi approdare alla fine dell’anno ai suoi celebri monocromi bianchi. I “quadri bianchi” del pittore verranno definiti Achrome solo nel 1959. I presupposti di Achrome furono “l’area di libertà” o la “zona autentica e vergine”, preannunciati nel testo del suo primo manifesto d’esordio Per la scoperta di una zona di immagini. Gli achrome vennero realizzati in modo sistematico dal pittore, che utilizzò materiali e tecniche eterogenee. I diversi materiali utilizzati gli permisero di approfondire ancora meglio il concetto di “genesi” dell’opera d’arte e più in generale del fare artistico. L’opera non illustra un soggetto specifico, né rimanda a qualcosa che sia oltre la cornice ma è autoreferenziale. Lo scopo dell’artista fu quello di privare l’opera di ogni contenuto narrativo ed eliminando il colore l’unico soggetto del quadro divenne la materia.
L’artista ricercò anche segni universali, che lo condussero nel 1958 a realizzare il suo primo Alfabeto. L’opera venne realizzata con inchiostro su tela e ripete le lettere “abcd” su tre colonne parallele, dal valore impersonale, oggettivo e freddo. Il progetto di ricerca di segni universali prese una forma più organica quando nel 1962 elaborò 8 tavole di accertamento, in formato di “cartella” in cui comparvero sessanta esemplari numerati con otto fotolitografie edite da Vanni Scheiwiller e con la prefazione di Vincenzo Agnetti. Le linee furono considerate da Manzoni una delle sue scoperte più importanti. La prima Linea venne realizzata nella primavera del 1959 e consiste in un foglio scuro rettangolare su cui è tracciata una linea scura. Dall’estate del 1959 realizzò linee su rotoli di carta poi arrotolati e chiusi in cilindri su cui è posta un’etichetta che riporta la lunghezza, la data e la firma dell’artista. Queste furono le prime opere ad uscire dalla bidimensionalità del quadro. Nell’opera Linea di lunghezza infinita (1960), esposta alla Galleria Azimut, così come in quelle precedenti, l’etichetta sul cilindro riporta la lunghezza in centimetri della linea realizzata dall’artista, tuttavia, la linea non esiste in quanto è puro concetto. I visitatori che si trovarono di fronte alla mostra comprarono non la linea, ma l’idea. Come ebbe a dire lo stesso artista nel testo Libera dimensione: “composizione di forma, forme nello spazio […], tutti questi problemi ci sono estranei: una linea si può solo tracciarla, lunghissima, all’infinito […]. L’unica dimensione è il tempo”. La Linea lunga 7200 m venne realizzata nel 1960, poi sigillata in un contenitore cilindrico di zinco e piombo. Secondo le intenzioni dell’artista, questa era la prima di una lunga serie di linee che dovevano essere seppellite nelle città più grandi del mondo e la cui somma totale doveva essere quella della circonferenza terrestre. Questo fu l’estremo tentativo dell’artista di dare all’arte la possibilità di svincolarsi dalla tela, la possibilità di un’estensione totale.
Dopo le Linee, Manzoni elaborò altri lavori “tridimensionali” come Corpi d’aria (1959) da lui stesso definiti “sculture pneumatiche”. In una scatola di legno, insieme ad un foglio di istruzioni, furono riposti un palloncino bianco da gonfiare e un treppiede su cui poi vennero poggiate le sculture d’aria. Simile fu Fiato d’artista (1960), ovvero un palloncino gonfiato dall’artista stesso. Le opere vennero vendute a 30.000 lire ciascuna. I palloncini vennero gonfiati direttamente dall’artista in presenza del compratore, includendo nel prezzo anche l’esecuzione dell’opera e il valore variava in basa alla quantità di fiato immesso nel palloncino. La figura dell’artista diventa centrale: l’essenza, in questo caso il fiato, diventa essa stessa creazione, nel momento in cui si decide che deve essere Arte. Ciò che conta, dunque, è la firma dell’autore e non l’opera in sé. Questa fu l’idea che Manzoni criticò ironicamente e provocatoriamente in ogni sua opera.
Alla Galleria Azimut nel 1960 Manzoni presentò una delle due “performance” più famose, ovvero Consumazione dell’arte dinamica del pubblico, divorare l’arte, dove offrì ai visitatori uova sode da mangiare, “firmate” dall’artista con l’impronta digitale del suo pollice. L’opera sembra essere un atto rituale di comunione e consumazione tra artista, opera e pubblico. Le interpretazioni della performance sono diverse. La prima si basa sulla lettura mistico-religiosa e pone l’attenzione sulla natura simbolica dell’alimento, oltre che sull’aspetto ritualistico e sacramentale dell’evento. La seconda interpretazione è basata sulla consumazione dell’uovo inteso come una potenziale negazione della mercificazione dell’opera d’arte. Quest’ultima lettura consente di collocare la performance dell’artista come una particolare forma di contestazione del sistema ufficiale dell’arte. Una variante è Uovo scultura (1960), uova con guscio e impronta digitale dell’artista, conservata in una piccola scatola di legno, numerata e riempita di ovatta, come se fosse una reliquia. Manzoni, tuttavia, non fu ancora ancora soddisfatto, per lui l’arte doveva essere totale, non gli era bastato “uscire” dalla tela, adesso l’arte doveva vivere, così dal gennaio 1961 l’artista firmò le persone come opere d’arte. Della performance Sculture viventi ci sono molte foto che documentato l’evento, in questi preziosi documenti Manzoni firma delle persone, munite poi di bollini che certificano la loro artisticità. Il bollino rosso significa che la persona sarà una scultura vivente fino alla morte, il bollino viola è simile a quello rosso ma a pagamento, il giallo indica che solo una parte del corpo è una scultura vivente, mentre il verde significa che la persona sarà scultura solo in determinate posizioni e atteggiamenti. L’ultima persona firmata fu Umberto Eco.
Nel 1961 realizzò Basi magiche: un piedistallo in legno che consente di diventare opera d’arte finché l’oggetto o persona sta sopra la struttura. Nel 1961 Manzoni arrivò ad un’intuizione radicale, spingendo ai limiti il concetto di arte. Si tratta di un parallelepipedo di un metro per ottanta centimetri dove, nell’iscrizione capovolta, si legge Socle du monde, - socle magique no.3 de Piero Manzoni – 1961 – Hommage à Galileo. Questa è la base che, con il piedistallo rivolto al suolo e la scritta capovolta, sorregge il globo terrestre, le persone, la cultura e la natura che divengono un’opera d’arte. Infine, una delle opere più provocatorie e sconcertanti opere di Manzoni sono le celebri Merda d’artista (1961), che seguono quasi un naturale processo biologico, dopo il Fiato d’artista e la Consumazione delle uova: il pittore “digerisce” il tutto. L’opera fu inscatolata nel maggio 1961, in novanta esemplari numerati. Questa è l’opera che più di tutte ha condizionato la notorietà di Manzoni come artista provocatore e dissacrante. Sopra la scatola un’etichetta riporta la scritta «merda d’artista. Contenuto netto 30 gr. Conservata al naturale. Made in Italy». Sulla parte superiore del barattolo è apposto il numero e la firma dell’artista. Il passaggio concettuale importante è la vendita-certificazione, per cui il valore dell’opera deve corrispondere al valore quotidiano dell’oro al grammo. La serie è dunque riflessione critica sul consumo e la commercializzazione dell’arte e più in generale della società capitalistica dei consumi. Piero Manzoni mise in discussione il significato stesso della ricerca artistica, il ruolo dell’artista ma anche quello del pubblico così con la sua arte sempre estremamente provocatoria contribuì al rinnovamento del panorama artistico italiano.
Piero Manzoni, Corpi d’aria (1959; tecnica mista, varie dimensioni; Barcellona, MABCA) |
Piero Manzoni, Fiato d’artista (1960; palloncino, fune, bronzo e base di legno, 35 x 180 x 185 mm; Londra, Tate Modern) |
Piero Manzoni, Uovo scultura n. 29 (1960; inchiostro su uovo, scatola di legno, 5,7 x 8,2 x 6,7 cm; Collezione privata) |
Piero Manzoni, Merda d’artista n. 3 (1961; scatola in metallo, 4,8 x 6,5 cm; Collezione Privata) |
A Milano è stata istituita nel 2008 la Fondazione Piero Manzoni: qui è possibile vedere molte opere del pittore, e l’istituto promuove anche ricerche storico-critiche sull’artista poiché conserva cataloghi, fotografie, inviti e documenti preziosi. Inoltre, la Fondazione collabora con la Gagosian Gallery.
Alla Galleria Nazionale d’arte Moderna di Roma è possibile vedere gli Achrome degli anni Sessanta. A Milano presso la Fondazione Prada e il Museo del Novecento, sono conservate rispettivamente Achrome (1958-1959), e Uovo scultura n.34 (1960). Al Museo del Novecento di Milano è conservato anche un esemplare della Merda d’artista (1961). HEART: Herning Museum of Contemporary Art, in Danimarca vanta di una cospicua collezione delle opere di Piero Manzoni, tra cui vari Achrome, Linea lunga 7200 m (1960) e Socle du monde (1961) e Merda d’artista (1961). Al MoMa (Museum of Modern Art di New York) si può vedere la celebre scatoletta Merda d’artista (1961) che può essere vista anche alla Tate Modern di Londra, al Centre Georges Pompidou di Parigi e in diversi altri musei che ne detengono gli esemplari.
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