Girolamo Francesco Maria Mazzola, meglio noto come il Parmigianino (Parma, 1503 - Casalmaggiore, 1540) è una delle personalità più importanti e influenti del Cinquecento, nonché uno dei maggiori artisti emersi dopo la scomparsa di Raffaello. Esponente di spicco della maniera emiliana, fu un talento precocissimo, fu per un breve periodo a Roma appena prima del sacco del 1527, tornato in patria fu protagonista di alcuni degli episodi più significativi dell’arte del tempo: la sua carriera tuttavia fu molto breve, perché il Parmigianino scomparve quando aveva soltanto trentasette anni. Ciò nonostante, la sua pittura riuscì a sopravvivergli, sia nelle creazioni degli artisti emiliani del XVI secolo che non poterono non misurarsi con lui, sia in ambito veneto attraverso Andrea Schiavone, sia in Francia, dove spunti parmigianineschi arrivarono con l’arte del Primaticcio. Elementi parmigianineschi si trovano poi nell’opera di una vasta schiera di artisti successivi, dal Veronese a Ludovico Carracci, da Niccolò dell’Abate a Pellegrino Tibaldi, da Giulio Cesare Procaccini fino ad arrivare alla pittura veronese del secondo Cinquecento.
Uno dei principali meriti del Parmigianino sta nell’aver ridefinito i canoni della bellezza del tempo, secondo un’immagine elegante e artificiale, arrivando fino a vette di stravaganza, ambiguità e iperbole che però mai perdevano il loro grande carico di raffinatezza. Le sue idee ebbero una notevole diffusione nell’Italia e nell’Europa del tempo, non soltanto attraverso gli artisti che si recavano a Parma e dintorni per vedere dal vivo le sue opere (scopri qui alcuni luoghi nel territorio parmense dove vedere le opere del Parmigianino), ma anche mediante i disegni e le stampe che conobbero una vasta circolazione.
Fu un artista colto e raffinato, che conobbe fin da subito una notevole fortuna critica, anche in virtù della sua vita tormentata, alla cui leggenda contribuì molto il racconto di Giorgio Vasari: secondo l’artista e storiografo aretino, infatti, il Parmigianino, preso dai suoi esperimenti alchemici, avrebbe abbandonato l’arte, assorbito dall’alchimia al punto tale da autodistruggersi. Sebbene è noto che Francesco Mazzola nutrisse interessi per questa materia, non sappiamo in realtà se il suo attaccamento fosse così morboso come la lettura delle Vite vasariane sembrerebbe suggerire. Quel che conta davvero è che Vasari lodò e apprezzò il Parmigianino, garantendogli la fortuna di cui sempre godette: “Fra molti che sono stati dotati in Lombardia della graziosa virtù del disegno e d’una certa vivezza di spirito nell’invenzioni, e d’una particolar maniera di far in pittura bellissimi paesi, non è da posporre a nessuno, anzi da preporre a tutti gl’altri, Francesco Mazzuoli parmigiano, il quale fu dal cielo largamente dotato di tutte quelle parti che a un eccellente pittore sono richieste, poiché diede alle sue figure, oltre quello che si è detto di molti altri, una certa venustà, dolcezza e leggiadria nell’attitudini, che fu sua propria e particolare. Nelle teste parimente si vede che egli ebbe tutte quelle avvertenze che si dee, intanto che la sua maniera è stata da infiniti pittori immitata et osservata, per aver’egli dato all’arte un lume di grazia tanto piacevole, che saranno sempre le sue cose tenute in pregio, et egli da tutti gli studiosi del disegno onorato”.
Parmigianino, Autoritratto allo specchio (1524 circa; olio su tavola convessa, 24,4 x 24,4 cm; Vienna, Kunsthistorisches Museum) |
Girolamo Francesco Maria Mazzola nasce a Parma l’11 gennaio, ottavo di nove figli, da Filippo, di professione pittore, proveniente da una famiglia di commercianti e artigiani originari di Pontremoli in Lunigiana e trasferitisi a Parma fin dal Trecento. Non sappiamo bene chi sia la madre, forse una certa Donatella Abbati. La famiglia viveva a Parma nel vicolo delle Asse, che oggi è ntoo come “Borgo del Parmigianino”. Il padre muore già nel 1505 e il piccolo Francesco viene affidato alle cure degli zii Michele e Pietro Ilario Mazzola, anch’essi pittori, con cui il giovane compirà il suo apprendistato artistico. Nel 1519, a soli sedici anni, l’artista esegue la sua prima opera nota, il Battesimo di Cristo destinato alla chiesa dell’Annunziata di Parma e oggi conservato allo Staatliche Museen di Berlino. Attorno al 1520, insieme agli zii e ad altri artisti inizia a lavorare agli affreschi della chiesa di San Giovanni Evangelista a Parma in qualità di collaboratore del Correggio, mettendosi in particolare luce e dimostrando il suo precocissimo talento. L’anno successivo, nel 1521, il Parmigianino si trasferisce a Viadana per sfuggire alla guerra tra Carlo V e Francesco I che stava per toccare Parma: per la locale chiesa dei francescani il pittore esegue il Matrimonio mistico di santa Caterina oggi conservato nella chiesa di Santa Maria Addolorata a Bardi in provincia di Parma. È invece del 1523 una delle sue opere più famosa, l’Autoritratto allo specchio oggi al Kunsthistorisches Museum di Vienna.
Nel 1524 l’artista inizia ad attendere a una delle sue più grandi imprese: è infatti alla Rocca di Fontanellato, chiamato dal signore locale, Galeazzo Sanvitale. Qui l’artista esegue capolavori importanti come le Storie di Diana e Atteone (il ciclo di affreschi che decora la “Stufetta” della Rocca), e il ritratto di Sanvitale attualmente conservato al Museo Nazionale di Capodimonte di Napoli. Sempre nel 1524 soggiorna, insieme a Pietro Ilario, a Roma, dove ha modo di entrare in contatto con l’arte di Raffaello e di Michelangelo Buonarroti, e di conoscere alcuni dei più grandi artisti del tempo come Sebastiano del Piombo, Perin del Vaga, Polidoro da Caravaggio, Baldassarre Peruzzi. Secondo la tradizione riesce, data la giovane età (appena ventun anni) a stupire papa Clemente VII mostrandogli alcune sue opere. E sempre a Roma, stringe amicizia con Pietro Aretino. Nel 1526, a Roma, gli viene commissionata la Visione di san Girolamo oggi conservata alla National Gallery di Londra.
Nel 1527, per evitare il sacco di Roma, come molti altri artisti lascia la città: si trasferisce dunque a Bologna e nella città felsinea esegue, tra gli altri lavori, il San Rocco con un donatore della basilica di San Petronio. Il 1529 è l’anno della visita di papa Clemente VII a Bologna: Francesco Mazzola gli regala la Madonna della Rosa oggi conservata a Dresda. L’anno successivo l’artista viene incaricato della decorazione ad affresco della chiesa di Santa Maria della Steccata a Parma: si tratta di una delle sue imprese più note e importanti, ma anche di quella più sofferta. I lavori inizieranno solo infatti cinque anni più tardi e proseguiranno in maniera molto tribolata: la lentezza dell’artista gli procurerà molte grane con i committenti, anche di natura legale (ad esempio, la fabbriceria della Steccata, nel 1538, gli avrebbe intimato la restituzione di una forte somma, 225 scudi, per inadempienza contrattuale, e addirittura nel 1539 i fabbricieri riescono a far incarcerare l’artista, che passa due mesi in galera). È del 1531 il ritorno dell’artista nella città natale. Nel 1534 comincia a dipingere il suo capolavoro forse più famoso, la celeberrima Madonna dal collo lungo, opera rimasta incompiuta, e oggi conservata alla Galleria degli Uffizi. Nel 1539, dopo essere stato scarcerato a seguito delle vicende di cui si è appena detto (il provvedimento di incarcerazione viene tramutato nell’ordine di non interferire più con i lavori, e al suo posto verrà scelto Giulio Romano, che tuttavia declinerà l’invito dopo aver inizialmente accettato), decide di lasciare la città natale per trasferirsi a Casalmaggiore, appena fuori dai confini del ducato di Parma (probabilmente l’artista aveva in animo di rientrare il prima possibile, magari proprio per terminare l’incarico della Steccata, come si potrebbe supporre leggendo il suo carteggio con Giulio Romano). A Casalmaggiore il Parmigianino muore però il 24 agosto del 1540, forse di malaria, contratta il 5 agosto.
Parmigianino, Pala di Bardi (1521; tempera su tavola, 203 x 130 cm; Bardi, Santa Maria Addolorata) |
Basilica di Santa Maria della Steccata, il sottarco con le Tre vergini sagge e tre vergini stolte |
Affreschi del Parmigianino nella Rocca Sanvitale di Fontanellato |
I primi maestri del Parmigianino furono gli zii Pietro Ilario e Michele Mazzola, ma l’artista si era formato soprattutto ammirando le opere del Correggio, di Dosso Dossi, del Pordenone (e probabilmente vide anche l’Estasi di santa Cecilia di Raffaello). Ipotizzando un suo soggiorno a Cremona, si può supporre che Francesco Mazzola abbia conosciuto anche le opere del Romanino e di Altobello Melone. I suoi artisti di riferimento si notano sin dalla prima opera a lui attribuibile, il Battesimo di Cristo conservato allo Staatliche Museen di Berlino, un’opera molto interessante anche perché fu realizzata dall’artista all’età di sedici anni. Dal dipinto si ha quasi la la percezione di trovarsi davanti a un enfant prodige: gli angeli lasciano immaginare la sua conoscenza dell’arte raffaellesca, mentre la testa del Cristo è di chiara derivazione correggesca, mentre il paesaggio richiama Dosso Dossi e la pittura veneta. L’artista si distingue già per la finezza delle decorazioni del piatto con il quale il Battista sta battezzando Gesù, e la raffinatezza è uno dei tratti distintivi della sua pittura. Il più noto capolavoro giovanile, capace di trasmettere al riguardante il gusto per il bizzarro del Parmigianino, è tuttavia l’Autoritratto del Kunsthistorisches Museum di Vienna, risalente al 1523. Il Parmigianino, in questo dipinto, intende stupire l’osservatore: il pittore ha voluto infatti ritrarsi dando l’illusione di un’immagine distorta da uno specchio convesso. Per accorgersene basta osservare la mano e lo sfondo, perché uno specchio convesso riflette i margini della figura in modo alterato e lascia invece “intatto” il centro della figura, che nel caso dell’autoritratto coincide proprio con il volto del pittore, che si raffigura con lineamenti molto delicati (quelli che gli sono valsi l’appellativo di “Parmigianino”: le fonti ce lo descrivono infatti come un giovane di aspetto avvenente e dai tratti gentili). Inoltre, con questo autoritratto, l’artista ha inteso dimostrare la propria abilità nel raffigurare la realtà, anche quando viene distorta tramite giochi ottici, tanto da ottenere l’ammirazione di Vasari.
Subito dopo il Parmigianino realizzò una delle opere che meglio ci offrono la dimensione della sua arte: il ciclo di affreschi che fu commissionato da Galeazzo Sanvitale per la “Stufetta” della Rocca di Fontanellato. Gli affreschi, realizzati attorno al 1524, raccontano le Storie di Diana e Atteone e decorano la volta dell’ambiente. Il mito di Diana e Atteone (il cacciatore trasformato in cervo da Diana come punizione per averla vista nuda al bagno con le sue ninfe, e poi sbranato dai suoi stessi cani) viene narrato con una maniera in cui sono evidenti i richiami al Correggio, in particolare alla Camera di San Paolo, che il Parmigianino riprende anche se con variazioni e rielaborando in modo del tutto personale il motivo del finto pergolato che si apre al di sopra delle lunette che contengono la raffigurazione degli episodi. Sono molti gli aspetti insoliti di questo ciclo di affreschi: si trattava di una stanza buia, perché in origine non aveva finestre, ha dimensioni molto ridotte, le fonti contemporanee non ce ne dànno notizia, e infine non sappiamo esattamente a che cosa servisse e quindi sono state fatte le ipotesi più disparate sull’uso a cui era destinata la stanza. Non mancano poi diversi elementi dai quali s’evince il gusto per il bizzarro che permea l’arte del Parmigianino, seppur declinato con grande raffinatezza: per esempio, alcuni studiosi notano come il corpo di Atteone con la testa di cervo sembri quasi un corpo femminile, o ancora la scena in cui il cacciatore viene sbranato dai suoi cani non mostra alcun tipo di violenza (sembra quasi una danza più che una corsa disperata). Meritano un cenno particolare gli affreschi della Madonna della Steccata: l’incarico di dipingerli era stato affidato all’artista nel 1531. L’opera però andò avanti molto lentamente fino agli ultimi anni di vita dell’artista, che scomparve nel 1540, e questa sua lentezza gli causò diverse grane con i committenti, perché il lavoro doveva essere finito nel giro di un anno e mezzo (addirittura il Parmigianino nel 1539 fu incarcerato per inadempienza contrattuale, anche se poi riuscì a uscirne dopo un paio di mesi, e la continuazione degli affreschi, inizialmente affidata a Giulio Romano che dapprima accettò e poi declinò l’invito, fu assicurata a Michelangelo Anselmi). I ritardi erano probabilmente dovuti agli... eccessi di zelo del Parmigianino, che progettò gli affreschi con grande lentezza (ci rimangono numerosissimi disegni relativi alla progettazione di questo ciclo). Gli unici affreschi che il Parmigianino riuscì a completare sono quelli del sottarco dell’altare maggiore, decorato con le Vergini sagge e le vergini stolte tra il 1535 e il 1539. Tra due file di rosoni dorati notiamo decorazioni con motivi vegetali e animali e, sul fondo, da una parte le vergini sagge e dall’altra, in corrispondenza, le vergini stolte, con pose del tutto simili: cambiano solo i colori degli abiti e le lampade, accese per le vergini sagge e spente per quelle stolte. Le giovani raggiungono una spiccata monumentalità, memore degli affreschi della volta della Cappella Sistina, il capolavoro di Michelangelo che il Parmigianino vide sicuramente durante la sua permanenza a Roma, ma denotano anche l’interesse di Francesco Mazzola per l’arte di Raffaello (sono stati riscontrati punti di contatto con gli affreschi delle Stanze Vaticane).
L’estetica parmigianinesca traspare in modo forse ancor più evidente dalla sua Madonna dal collo lungo, il capolavoro incompiuto conservato agli Uffizi. Questo dipinto fu realizzato tra il 1534 e il 1540, è conservato agli Uffizi e fu commissionato da una gentildonna di Parma, Elena Baiardi, per la cappella funeraria del marito, Francesco Tagliaferri, all’interno della chiesa di Santa Maria dei Servi a Parma. È uno dei capolavori del manierismo: stravagante, inconsueto, colmo di rimandi allegorici. La distribuzione dei personaggi è fortemente asimmetrica: sulla parte sinistra del dipinto si accalca una schiera di angeli mentre la parte destra è vuota (l’unica presenza è quella di san Girolamo, che si vede in lontananza). La colonna d’avorio che vediamo sulla destra è forse da vedere in relazione al collo della Madonna (e in particolare col verso “collum tuum sicut turris eburnea” del Cantico dei Cantici). Lo stesso collo che dà il nome al dipinto è allungato, sproporzionato rispetto al corpo (volutamente: l’allungamento delle proporzioni del corpo umano è un tratto distintivo del linguaggio manierista che rifiuta l’armonia rinascimentale). Non soltanto il collo è lontano dalle proporzioni naturali: anche la mano è molto allungata, il Gesù Bambino è molto molto più grande di come dovrebbe essere un neonato (e lo stesso Gesù Bambino sembra quasi che possa cadere da un momento all’altro), la gamba dell’angelo che vediamo a sinistra è molto allungata. Alle tante bizzarrie si aggiunge però una spiccata eleganza, che notiamo dalla delicatezza dei lineamenti dei volti dei protagonisti: se ne ottiene un effetto di straniamento, tipico dell’arte manierista.
Parmigianino (attr.), Battesimo di Cristo (1519 circa; olio su tavola, 197 x 137 cm; Berlino, Staatliche Museen, Gemäldegalerie) |
Parmigianino, Madonna dal collo lungo (1534-1540; olio su tavola, 216 x 132 cm; Firenze, Galleria degli Uffizi) |
Punto di partenza per scoprire le opere del Parmigianino è un tour nel territorio di Parma: sue opere si conservano alla Galleria Nazionale nel Complesso della Pilotta, ci sono poi gli affreschi di Santa Maria della Steccata (nella chiesa peraltro si conservano anche i due sportelli d’organo dipinti per il vecchio oratorio della steccata attorno al 1523, prima del rifacimento della chiesa), quelli della chiesa di San Giovanni Evangelista dove l’artista lavorò come collabortore del Correggio, e appena fuori è possibile ammirare gli affreschi della Rocca Sanvitale a Fontanellato, o un dipinto fondamentale come la Pala di Bardi nella chiesa di Santa Maria Addolorata a Bardi, nell’Appennino Parmense (scopri qui i luoghi del Parmigianino a Parma). A Roma, la Galleria Doria Pamphilj conserva due capolavori del periodo romano: la Natività con angeli e la Madonna Doria. Un’altra opera del periodo romano è agli Uffizi: si tratta della Madonna col Bambino del 1525. Sempre agli Uffizi si ammirano la Madonna dal collo lungo e un’altra opera importante, la Pala di San Zaccaria. A Napoli, il Museo Nazionale di Capodimonte conserva la famosissima Antea, il Ritratto di Galeazzo Sanvitale, la Lucrezia Romana e la Sacra Famiglia con san Giovannino. Ancora, nella chiesa di San Domenico di Taggia (Imperia) si può vedere una Adorazione dei Magi, mentre un piccolo tour parmigianinesco si può fare a Bologna, dove in San Petronio si ammira il San Rocco e un donatore, e alla Pinacoteca Nazionale di Bologna la Madonna di santa Margherita.
All’estero, s’incontrano capolavori del Parmigianino alla Courtauld Gallery di Londra (la Natività e la Madonna Vasari), al Prado (la Santa Barbara, la Sacra Famiglia con Angeli, il Ritratto di Pier Maria Rossi di San Secondo, il Ritratto di Camilla Gonzaga), allo Statens Museum for Kunst di Copenaghen (il Ritratto di Lorenzo Cybo), al Kunsthistorisches Museum di Vienna (la Conversione di san Paolo e l’Autoritratto, il Ritratto di Costanza Rangoni), alla Gemäldegalerie di Dresda (la Madonna della Rosa, la Pala di Casalmaggiore).
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