Minimalismo, storia e artisti del movimento riduzionista


L’Arte Minimalista nacque nella seconda metà del Novecento e ridusse gli eccessi emotivi dell’arte espressionista con un atteggiamento rinnovato.

Il Minimalismo, o Minimal Art, è stata una delle più importanti esperienze maturate nel mondo dell’arte alla metà degli anni Sessanta. Si può considerare questa tendenza come la prima affermazione di una scultura americana che si compose di oggetti muti, presentandosi con una ideologia neutra. L’impersonalità dell’artista minimal fu identica a quella del pittore pop che sceglieva uno stereotipo qualsiasi della civiltà che lo circondava, esponendolo come oggetto della sua opera stessa. Insieme all’arte pop, infatti, il Minimalismo è stata la maggiore corrente artistica americana degli anni Sessanta, consacrata dalla mostra Primary Structures del 1966.

I principali protagonisti lavorarono nei primi anni del decennio: Donald Judd (Excelsior Springs, 1928 — Manhattan, 1994), Robert Morris (Kansas City, 1931 — Kingston, 2018), Carl Andre (Quincy, 1935 — Manhattan, 2024), Dan Flavin (Jamaica, 1933 — Riverhead, 1996) e Sol LeWitt (Hartford, 1928 — New York, 2007). In ambito pittorico si distinse Frank Stella (Malden, 1936 — New York, 2024) che dichiarò il significato delle sue operazioni pittoriche: “La mia pittura è basata sul fatto che solo quello che può essere visto là è là. È veramente un oggetto. […] Tutto ciò che voglio che gli altri tirino fuori dai miei quadri, e tutto ciò che io ho sempre preso da loro, è il fatto che tu puoi vedere tutta l’intera idea compositiva senza confusione […] Quello che vedi è quello che vedi.” (dall’intervista di Bruce Glaser, Questions to Stella and Judd, in “Art News”, settembre 1966).

Donald Judd, Untitled (1963; olio su tavola, 49,5 x 114,3 x 77,5 cm; New York, Judd Foundation)
Donald Judd, Untitled (1963; olio su tavola, 49,5 x 114,3 x 77,5 cm; New York, Judd Foundation)
Donald Judd, Untitled (Stack) (1968; acciaio e plexiglas, dieci unità da 15,2 x 68,6 x 61 cm; Chicago, The Art Institute)
Donald Judd, Untitled (Stack) (1968; acciaio e plexiglas, dieci unità da 15,2 x 68,6 x 61 cm; Chicago, The Art Institute)
Carl Andre, Hour Rose (1959; legno dipinto, 27,6 x 22,9 x 5,1 cm; New York, MoMA)
Carl Andre, Hour Rose (1959; legno dipinto, 27,6 x 22,9 x 5,1 cm; New York, MoMA)

Storia dell’Arte Minimalista

L’etichetta di Minimalismo definisce quelle tendenze artistiche caratterizzate da un’essenza riduzionista. Sono esperienze radicali, volte a individuare la pura fisicità primaria e la basilarità delle strutture, delle superfici, degli interventi cromatici. Il gruppo degli artisti minimal prese forma intorno agli anni Sessanta e venne riconosciuto in una mostra, Primary Structures, che fu allestita al Jewish Museum di New York, nel 1966. I caratteri comuni ai membri di questo sodalizio furono l’interesse per l’oggettualità, le strutture fondamentali, plastiche e tridimensionali. Questi artisti ricercarono una forte semplificazione delle forme, una solida e impersonale razionalità di un linguaggio artistico che aveva anche la funzione di impedire ogni incursione legata alla sfera emotiva dell’autore.

Opere minimaliste possono essere solidi geometrici, strutture metalliche realizzate con materiali industriali semilavorati o prefabbricati; sono lavori che si presentano con una forte connotazione spaziale, una relazione specifica con il luogo che li contiene. Spesso le forme si ripetono in serie o moduli, con colori propri degli stessi materiali o ridotti strettamente alla gamma dei bianchi e neri.

La definizione di Minimal Art fu quella delineato in primo luogo dal critico britannico Richard Wolheim (Minimal Art, “Art Magazine”, gennaio 1965), che parlò di riduzione minimale del contenuto artistico in riferimento alle opere del XX secolo, caratterizzate da un allontanamento sempre più deciso del tradizionale lavoro manuale, come ad esempio nel caso dei ready-made duchampiani. Dato che il minimalismo fu soprattutto un’esperienza americana, il filosofo chiamò in causa le opere di Andy Warhol e Roy Lichtenstein, ma arrivò anche alla pagina bianca del poeta simbolista francese Stephane Mallarmé. Tra i modelli e i maestri che è possibile individuare figura sicuramente la lezione dell’artista Marcel Duchamp, ma anche quella di Ad Reinhardt che, con i suoi invisibili lavori neri-blu, fu uno degli ispiratori degli artisti della ricerca minimalista. Un precursore fondamentale è stato il lavoro di Kazimir Malevic, il suo Quadrato nero su fondo bianco con la sua estrema semplificazione, già nel 1915.

Tra le fonti pertinenti all’ambito scultoreo, risulta incisivo l’apporto del Costruttivismo russo: i lavori costruttivisti si composero di materiali scelti per le loro specifiche qualità e vennero posti nello spazio della realtà quotidiana, come accadde con i Rilievi di Vladimir Tatlin, cui poi l’artista minimal Dan Flavin rese omaggio. Si considerò iniziatore della tendenza minimalista il pittore statunitense Frank Stella con i suoi Balck Paintings, i dipinti totalmente neri la cui fisicità è incisa da linee sottilissime che ne animano la superficie, secondo movimenti geometrici che azzerano ogni palpito emotivo.

Negli anni Sessanta il Minimalismo si oppose alla soggettività dell’Espressionismo astratto, di cui sostituisce l’impeto con un atteggiamento di fredda vibrazione e rigorosa essenzialità. L’atto creativo, che l’artista espressionista intendeva come libero sfogo delle proprie pulsioni ed emozioni, fu allora votato all’impersonalità e alla secca fisicità immanente dell’opera. Ciononostante, i minimalisti considerarono il valore delle opere e novità introdotte da Jackson Pollock e colleghi. L’opera di grandi dimensioni, concepita come un insieme di grande impatto visivo, rimase un elemento riconosciuto e fondante di quella che fu la visione artistica specificamente americana, da contrapporre a quella più tradizionale europea, ancora legata all’aura dell’opera da contemplare, cercando di avvicinarne il più possibile il significato seguendo un moto di profondità.

Dan Flavin, Pink out of a corner (1963; luce fluorescente e metallo, 243,8 x 15,2 x 13,6 cm; New York, MoMA)
Dan Flavin, Pink out of a corner (1963; luce fluorescente e metallo, 243,8 x 15,2 x 13,6 cm; New York, MoMA)
Dan Flavin, Monument for Tatlin V (1964; luce fluorescente, altezza 305 cm; Collezione Pinault)
Dan Flavin, Monument for Tatlin V (1964; luce fluorescente, altezza 305 cm; Collezione Pinault)
Robert Morris, L-Beams (1965 [1970]; acciaion inossidabile; New York, Whitney Museum)
Robert Morris, L-Beams (1965 [1970]; acciaion inossidabile; New York, Whitney Museum)
Robert Ryman, Senza titolo (1962 circa; olio su tela, 48,3 x 48,3 cm; New York, Dia Art Foundation)
Robert Ryman, Senza titolo (1962 circa; olio su tela, 48,3 x 48,3 cm; New York, Dia Art Foundation)

Artisti principali della Minimal Art

Gli artisti minimalisti agirono muovendosi in modo compatto intorno alla metà degli anni Sessanta. Essi avviarono un’indagine tra 1963 e 1964 seguendo elementi comuni e ben riconoscibili in ogni artista. In generale, tutti i minimalisti insistettero sui volumi geometrici, unitamente a forme elementari primarie, cercando di ridurre il più possibile — a un minimo essenziale — il valore dato all’intervento manuale. Molto spesso è il momento della scelta del materiale ad essere di cruciale importanza, sia per l’organizzazione della composizione dell’opera, sia per il suo svolgimento. Il colore, nelle opere di scultura, è quello naturale, originale del materiale impiegato. L’oggetto vale come elemento proposto all’interazione con lo spazio circostante. Alcuni oggetti ed installazioni dovevano essere montate in un determinato luogo: quando l’opera è realizzata per un determinato spazio si usa una formula che è tutt’ora valida, ovverosia quella di site specific. Con questa modalità, le opere dialogano più con l’ambiente che in quanto opere di per sé.

Donald Judd, laureato in filosofia, cominciò a fare il pittore verso la metà del Novecento e poi collaborò con alcune riviste come critico d’arte, “Art News” e “Arts Magazine”, dal 1959 al 1965. Realizzò opere che si componevano di strutture geometriche “impilate”. Sono oggetti regolari e taglienti, esposti in rapporto rigoroso con lo spazio che può essere di una galleria o di un museo. Rispetto agli altri minimalisti, Judd fu il più freddo e rigoroso. Utilizzò materiali di tipo industriale come l’acciaio inossidabile, alluminio anodizzato, plexiglas. La sua scelta ricadde su strutture tridimensionali ed elementari, materiali connessi alla specifica identità dell’opera: colore, forme e superficie furono pensati per concentrare tutto il focus sull’oggettualità.

In ragione del concetto minimalista secondo cui la manualità dev’essere eliminata, Judd procedette con tecniche e macchinari industriali, al fine di garantire massima precisione ed impersonalità nell’esecuzione.

Per la mostra alla Green Gallery di New York del 1963 espose una serie di rilievi e strutture in legno o altri materiali, tutti colorati in rosso cadmio. In Untitled (1963) la pittura a olio rosso cadmio chiaro riveste un parallelepipedo di legno, che venne lavorato a macchina, misurato secondo il progetto dell’artista. Una faccia è attraversata da un’apertura tubolare, che costituisce una sorta di canale che crea un passaggio; prima ancora di essere una scultura, in Judd vale come oggetto. La manualità è assolutamente negata: dalla stesura del colore ai tagli netti del legno, l’oggetto garantisce di non essere stato in contatto fisico con l’artista.

Negli anni successivi, l’artista iniziò a lavorare coi metalli, producendo le scatole in ferro o alluminio, ponendole o come elementi unici o nelle sue forme impilate, serie che si sviluppano come un tutt’uno. Untitled (Stack) del 1968 è uno di questi lavori dalla fredda esecuzione tecnica, di scansione rigorosa e articolata di pieni e vuoti ma costituente un insieme unitario. Judd accantonò l’idea per sublimare il carattere oggettuale, fisico e concreto: questo rimase la vera essenza estetica ed unico contenuto delle sue opere.

Nel solco di un pieno materialismo si mosse anche Carl Andre: l’identità formale delle sue opere coincise con quella degli elementi industriali e prefabbricati utilizzati, materiali comuni. Andre combinò queste forme in senso elementare, in modo da annullare ogni distanza fra operatività artistica e intervento comune. L’obiettivo delle sue creazioni fu quella di creare le condizioni per consentire una percezione rinnovata degli elementi costruttivi primari, giocando sulla loro presenza fisica e collocazione ambientale. Così facendo, ridefinì il senso della scultura, riflettendo sui fondamenti di verticalità e orizzontalità, peso e spazio. Hour Rose è un legno dipinto, dalla forma molto rigorosa e lavorata attraverso un macchinario che allontana l’idea dell’intervento umano, la spontaneità artigianale. Andre iniziò a sperimentare la massima essenzialità della forma con le sue “sculture-pavimenti” dal 1968. All’anno successivo si data 144 Lead Square, opera site-specific. Utilizzando lastre squadrate, la scultura si caratterizza per la sua floorness (pavimentalità), come un puro spazio-luogo dove cui lo spettatore può camminare e fruirne un’esperienza sensoriale diretta e inedita.

Dan Flavin operò nell’ambito del Minimalismo a partire dagli anni Sessanta. La sua opera si distinse per il suo interessamento alla luce e la forte importanza attribuitagli in ambito minimal: inizialmente con l’opera Pink out of a corner del 1963, dove un oggetto semplice, un tubo al neon rosa venne posto nell’angolo di una stanza, divenendo il modulo base di tutti i suoi lavori fluorescenti. Con l’accensione dei tubi luminosi, Flavin conferì un nuovo significato allo spazio, vedendo inizialmente una dimensione spirituale nell’irraggiamento luminoso dei suoi lavori. Poco a poco, Flavin entrò in contatto con l’opera di artisti come Vladimir Tatlin, Jasper Johns e Frank Stella, arrivando a concepirne e condividerne il valore dato agli oggetti, ovverosia come veri fenomeni fisici. Proprio a Tatlin, e al suo Progetto di Monumento alla Terza Internazionale, Flavin dedicò un ciclo di opere, Monument for Tatlin (1964-1982), composto di installazioni di combinazioni scalari di neon di varie misure, espandendo nello spazio una luminosità bianca fredda, gialla e rossa.

Un capofila assoluto della scultura minimalista fu Robert Morris. L’artista ragionò sulla problematica minimalista focalizzata sul rapporto tra oggetto, spazio e spettatore, ma in lui fu anche importante la componente concettuale duchampiana e l’influenza di Jasper Johns. Alla mostra Primary Structures espose L-Beams (1965), grandi strutture in compensato a forma di L, tutte uguali ma collocate in posizioni diverse, concedendone una fruizione diversificata; pertanto, ogni elemento si impose al pubblico come un’opera differente.

Fra i minimalisti, Sol LeWitt fu l’artista che privilegiò l’idea rispetto al materialismo. È infatti noto il suo contributo nell’ambito della teorizzazione dell’Arte Concettuale. L’opera di LeWitt naviga allo stesso tempo tra l’ambito minimalista e quello concettuale, in quanto l’autore fu capace di esprimersi sia attraverso strutture mentali che attraverso concrete strutture visive. Pur riconoscendo l’importanza del momento della realizzazione, LeWitt trovò nell’atto concettuale un momento creativo superiore. Nel 1966 realizzò Tre quadrati, elementi posti perfettamente a distanza dalle linee dello spigolo tra pareti e pavimento. Il risultato ottenuto è stato l’annullamento della tridimensionalità in favore di un effetto di espansione. Con la sua opera, LeWitt esaltò l’elemento concettuale lavorando in concreto sul dato spaziale, sull’azione avvenuta che modifica lo spazio.

In ambito pittorico minimalista troviamo Frank Stella. Il pittore statunitense si assunse il compito di elaborare una pittura radicale e opposta all’Espressionismo astratto. Egli cercò di azzerare il significato dell’atto pittorico, di annullare ogni istinto relazionale e preziosismo della pittura, affermando il valore tautologico dell’oggetto artistico: “Quello che vedi è quello che vedi”, disse parlando in riferimento ai suoi quadri a strisce nere, prodotti fra 1959 e 1960. La configurazione modulare e ripetitiva è volta a rinforzare la fisicità dell’oggetto-quadro.

Il pittore Robert Ryman (Nashville, 1930 — New York, 2019), portò all’estremo il processo di riduzione minimale del fare artistico. Egli propose la tela come supporto concreto e la pittura nella sua incisiva fisicità. Tuttavia, a differenza di Frank Stella, non utilizzò configurazioni geometriche, ma si concentrò sull’essenza materica della pittura, dando infinita importanza sul processo del dipingere, sulla stesura della materia pittorica. In Senza titolo, 1962: su tutta la superficie guizzano corpose pennellate bianche, che per la natura del colore vanno annullandosi l’una con l’altra, divenendo minimamente riconoscibili nelle curve delle pennellate, che assumono un piccolo rilievo. Per Ryman, l’agire del pittore dev’essere potenziato mentalmente e l’espressività, il coinvolgimento fisico ridotto al minimo, idea di riduzione e concentrazione.


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