Marina Abramović (Belgrado, 1946) e Ulay, pseudonimo di Frank Uwe Laysiepen (Solingen, 1943 – Lubiana, 2020) sono stati una coppia di artisti che si è concentrata sulla performance art, sia in sodalizio tra gli anni Settanta e gli anni Ottanta del Novecento che separatamente. La coppia è stata legata anche da un legame affettivo durato molti anni, e nelle loro collaborazioni insieme hanno esplorato alcuni aspetti delle relazioni tra le persone, a volte portandoli all’estremo. Si sono incontrati molti anni dopo la fine del loro legame durante una performance in solitaria di Abramović, dando vita ad un momento che ha riscosso molto consenso nell’epoca dei primi social network come Facebook.
Marina Abramović e Ulay hanno acquisito notorietà internazionale, oltre che successo di pubblico e di critica, fin dagli anni Settanta grazie a performance spesso sconcertanti, tutte centrate sul corpo, utilizzato come materiale, come mezzo artistico per condurre un’approfondita indagine su dinamiche sociali e relazionali. “Insieme”, ha scritto la critica d’arte Martina Corgnati, “i due mettono in scena molte posizioni limite ed esplorano sistematicamente diverse relazioni chiave: uomo-donna, maschio-femmina, corpo-corpo, persona-persona, in moltissime varianti, fra cui possibili simbiosi, osmosi, complicità, antagonismo, distanza, intrusione, violenza, tenerezza, passione e complementarietà. Spesso implicitamente si ’sfidano’, utilizzandosi come terreno di confronto e di scontro aperto, campo di prova”.
Marina Abramović è nata a Belgrado, in Serbia, il 30 novembre 1946 ed è nipote di un patriarca della chiesa ortodossa Serba, che in seguito è stato proclamato santo. I genitori, Vojin Abramović e Danica Rosić, furono entrambi partigiani della seconda guerra mondiale. Studia all’Accademia di belle arti di Belgrado dal 1965 al 1973. Successivamente, per qualche anno ha a sua volta insegnato all’Accademia di Novi Sad, e nel 1976 si trasferisce ad Amsterdam. Qui incontrerà l’artista tedesco Ulay.
Ulay (Frank Uwe Laysiepen) è nato a Solingen nel pieno della Seconda guerra mondiale, il 30 novembre del 1943. Si trasferisce ad Amsterdam alla fine degli anni Sessanta, lasciando moglie e figlio, attratto dal movimento artistico “Provo” di ispirazione anarchica. Inizia ad interessarsi alla fotografia sperimentando con le prime macchine fotografiche istantanee, fino a portare questa arte anche nella performance dal vivo. I due si incontrano nel corso del 1976 alla Galleria d’arte Appel di Amsterdam, dove Abramović era stata invitata per un programma televisivo dedicato alla performance art, ambito in cui si era già fatta notare per alcuni happening molto forti. Iniziano da subito un rapporto personale ed artistico molto intenso, accomunati dallo stesso interesse per le sperimentazioni riguardanti l’uomo e le sue relazioni. L’indagine su questi aspetti viene portata fino a livelli estremizzati, nel tentativo di suscitare riflessioni profonde nel pubblico. Degno di nota è il particolare per cui la coppia ha scelto per tre anni di portare le loro performance in giro per l’Europa vivendo in modo nomade ed essenziale su un vecchio furgone della polizia, riadattato all’uso e ridipinto di nero. Numerose fotografie documentano l’esperienza.
Resteranno insieme sia nella vita che nel campo artistico per 12 anni, fino al 1988, quando annunciarono al mondo la loro separazione tramite una celebre performance avvenuta sulla Grande muraglia cinese. Quando i due riprendono a lavorare in solitaria, Ulay torna a dedicarsi esclusivamente alla fotografia mentre Abramović prosegue nella performance art, raggiungendo grande popolarità. Negli anni Novanta si aprono tra i due alcune controversie legali riguardo i diritti d’autore dei lavori effettuati insieme. I dibattimenti si concludono con l’obbligo da parte di Abramović di versare all’ex compagno una somma in denaro come risarcimento per aver venduto opere di entrambi in autonomia. Abramović nel frattempo aveva preso a viaggiare moltissimo in tutto il mondo, per poi stabilirsi definitivamente a New York, dove ha creato un punto di incontro dedicato ad artisti performativi.
Mentre la carriera dei due artisti prosegue in parallelo, nel 2009 ad Ulay viene diagnosticato un cancro, poco tempo dopo essersi trasferito a Lubiana. Utilizza la diagnosi della malattia come fosse un altro progetto artistico, tramite il quale interrogarsi sui grandi temi della vita e dell’arte, visitando i luoghi più importanti della sua vita e andando a salutare tutti gli amici. Da questo progetto verrà poi tratto un documentario nel 2013.
Abramović ed Ulay si incontrano nuovamente nel 2010, e l’incontro avviene sotto gli occhi di tutti. Ulay, infatti, decide di recarsi a New York e partecipare alla performance The Artist is Present della Abramović al Museum of Modern Art, che consisteva nella possibilità data al pubblico di sedersi di fronte all’artista e guardarla. L’artista avrebbe dovuto rispondere allo sguardo del partecipante fissandolo, senza interagire con lui o lei, per guardarne la reazione, ma quando Abramović si accorge che davanti a lei c’è proprio Ulay non può trattenere la commozione e prende le mani dell’ex compagno, anch’egli emozionato. La scena è stata ripresa in video e in poco tempo si è diffusa sui principali social network come Facebook e Youtube, condivisa da migliaia di persone anche a distanza di diversi anni.
La battaglia di Ulay contro il cancro dura per circa dieci anni, tra cure, remissive e infine un linfoma che gli risulterà fatale il 2 marzo del 2020. Marina Abramović continua tutt’oggi la sua ricerca artistica.
Sin dalle sue prime performance sul finire degli anni Settanta, Marina Abramović si è concentrata sul portare all’estremo i limiti riguardanti la resistenza fisica del corpo e l’emotività, indagando la reazione del pubblico davanti a situazioni potenzialmente molto pericolose. Spesso, infatti, è il pubblico il reale protagonista della performance, aspetto che ad una prima analisi sembra emergere meno rispetto all’attenzione verso le forti azioni compiute dall’artista. Abramović in quegli anni dunque dà vita a numerosi happening in cui arriva a perdere i sensi volutamente dopo aver appiccato un fuoco, si ferisce il corpo creando immagini specifiche (come una stella a cinque punte incisa sul ventre con un rasoio) e compie altri atti autolesionistici che costringono lo spettatore ad intervenire per salvare l’artista, creando un rapporto diretto con lei.
Anche durante il sodalizio artistico ed umano con Ulay, Abramović ha proseguito su questo versante, ampliando le sue sperimentazioni insieme al compagno. Ulay, del resto, aveva svolto in precedenza alcuni lavori innovativi sul tema dell’unione tra maschile e femminile (in una serie di fotografie istantanee dal titolo Auto Polaroid del 1974 si ritrae mentre si trucca per metà da donna) promulgando l’importanza di riconoscere la parte femminile degli uomini e invitando a valorizzarla per ritrovare se stessi e creare una connessione profonda con la persona amata. Inoltre, Ulay aveva utilizzato la fotografia anche per lanciare una provocazione, per cui le persone ritratte nelle foto sono in realtà un loro duplicato meccanico privo di identità. Nella sua performance Fototot (1976), Ulay fotografava con la Polaroid la silhouette di un partecipante chiamato tra il pubblico, ponendolo davanti ad un lenzuolo di lino reso fotosensibile. In seguito, proiettava la Polaroid sovrapponendosi egli stesso all’immagine, dimostrando quindi che davanti ad una fotografia non è più possibile stabilire l’identità specifica di una persona.
Tra il 1976 e il 1988, i due artisti danno vita a numerose performance insieme, raggruppate sotto il titolo Relation works. Nella prima performance insieme, nel contesto della Biennale di Venezia, Abramović ed Ulay sono chiusi in una stanza per un’ora (Relation space). Completamente nudi, vagano per la stanza sfiorandosi e scontrandosi, aumentando velocità e violenza con il passare dei minuti. In questo caso, obiettivo per la coppia era portare il pubblico a chiedersi chi fossero i protagonisti e quale rapporto avessero tra di loro, se di amore o di odio. La Abramović disse in seguito che fosse piuttosto semplice per il pubblico capire quanto la loro relazione amorosa fosse intensa. Sempre del 1976 è Relation in time: all’interno della Galleria - studio G7 di Bologna, i due artisti sono seduti schiena contro schiena per sedici ore, con i capelli stretti insieme in un’unica pettinatura. Solo nell’ultima ora viene fatto entrare il pubblico, che trova davanti a loro un essere creato dall’insieme di maschile e femminile come fosse una terza entità fatta di entrambi. Il sottotesto della performance riguardava il legame tra due innamorati, che pur se intimamente legati (i capelli intrecciati insieme) possono non necessariamente riuscire a comunicare (non si guardano mai in volto).
Risale al 1977 Breathing in/Breathing out (1977): realizzata a Belgrado, i due artisti vengono ripresi mentre si scambiano i respiri tramite le loro bocche per venti minuti. Alla fine della performance, i due artisti svengono per mancanza di ossigeno. Qui, la coppia di artisti intendeva suggerire come spesso la morte aleggia con la sua presenza nei giochi collaborativi. Nello stesso anno i due eseguono Imponderabilia : nella Galleria d’Arte Moderna di Bologna, Abramović ed Ulay sono nudi e si dispongono uno di fronte all’altra ai lati dell’ingresso della Galleria. A quel punto, il pubblico deve per forza passare attraverso i due corpi nudi, decidendo se rivolgersi verso il nudo femminile oppure il nudo maschile. Il significato intrinseco della performance riguarda il dover prendere delle decisioni alla svelta, spesso senza saperne il motivo. La performance venne interrotta dopo un’ora a causa dell’arrivo dei carabinieri, chiamati per oltraggio al pudore.
Nel 1978 è la volta di AAA-AAA (1978). Avvenne in uno studio di registrazione senza pubblico a Liegi. I due artisti urlano l’uno contro l’altro, dapprima emettendo suoni monotoni, poi iniziando a gareggiare su chi avrebbe urlato più forte e più a lungo. Ulay è il primo ad arrendersi. Il significato di questa performance è il voler rappresentare due amanti che all’inizio si trovano allo stesso livello, ma con il passare del tempo cercano di prevaricare l’uno sull’altra. Si tratta del proseguimento di una precedente performance di Abramović, Freeing the voice, in cui l’artista urla per molto tempo fino a perdere la voce. È invece del 1980 Rest energy : si tratta di una performance registrata su video. Marina Abramović e Ulay assumono una posizione tale che il bilanciamento del peso dei propri corpi mantenga in tensione un arco con una freccia. Lui tiene la corda tirata, con la freccia che punta al cuore della Abramović, la quale con il braccio si aggrappa all’arco. Un movimento errato potrebbe risultarle fatale, per questo deve affidarsi completamente all’altra persona, indagando quindi il tema della fiducia nell’altro. La coppia resta in questa posizione per quattro minuti mentre un microfono amplifica i battiti dei loro cuori e la respirazione, accelerati e irregolari all’inizio e poi sempre più distesi con il passare dei minuti. Il video si interrompe proprio quando la tensione sta scemando. Abramović dirà che questa fu la performance più difficile da affrontare.
La performance Nightsea crossing conjunction (1981 - 1987) è stata realizzata numerose volte in diverse ambientazioni, sia all’aperto che in musei o altri ambienti al chiuso. I due artisti digiunano e restano in silenzio sia prima che durante la performance. Si siedono ad un tavolo per sette ore e si guardano, completamente immobili ed in silenzio. Il messaggio di fondo riguarda il prendere coscienza del fatto che la mente continua a lavorare anche mentre il corpo è immobile, e lo stesso sforzo di non muoversi per tutto quel tempo è, a tutti gli effetti, un lavoro che il cervello compie incessantemente. Nel 1985 giunge Modus vivendi : la coppia assume le tre posizioni in cui solitamente si trovano gli esseri umani, ovvero in piedi, sdraiati o seduti, per poi includerne una quarta ovvero muoversi o camminare. Vuole essere, questa, una metafora delle fasi della vita che ognuno di noi attraversa. Infine, l’ultima performance della coppia è Lovers: The Great Wall Walk (1988). Anche la fine della storia d’amore tra Abramović e Ulay diventa una performance. I due artisti percorrono a piedi la Grande muraglia cinese, partendo ognuno dai due estremi diversi del percorso. Dopo novanta giorni si incontrano a metà strada, e si dicono addio. A quel punto si incamminano nuovamente allontanandosi ognuno per la propria strada.
Trattandosi, chiaramente, di performance art, è possibile visionare video o fotografie tratte da queste. Alcune sono conservate nelle videoteche di alcuni musei, come un video tratto da Relation in Time (1976) che risulta presente nell’archivio video della Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea di Torino.
Opere di Ulay sono custodite nei Paesi Bassi, dove ha vissuto molti anni: ad Amsterdam (Stedelijk Museum), Eindhoven (Van Abbemuseum), Groninga (Groninger Museum). Altre opere sono presenti a Parigi (Centre Pompidou), Berna (Kunstmuseum Bern), Stoccolma (Moderna Museet).
Negli Stati Uniti, è possibile vedere alcune opere a New York (MoMA - Museum of Modern Art) e a San Francisco (Museum of Modern Art).
In Italia, dove i due hanno dato vita ad alcune celebri performance negli anni Settanta, sono state organizzate alcune mostre, tra cui una dedicata ad Abramović (in cui erano presenti anche le performance con Ulay) nel 2018 al Palazzo Strozzi di Firenze. La mostra in questione era stata anticipata dall’esposizione del furgone in cui la coppia aveva vissuto per tre anni, parcheggiato nel cortile del palazzo. Una partecipazione della Abramović in Italia è stata organizzata molto di recente, nel luglio 2021 al MAXXI di Roma, nell’ambito della mostra Più grande di me. Voci eroiche dalla ex-Jugoslavia. In questo caso l’artista era presente attraverso le immagini della performance Rhythm 0, in più ha partecipato ad alcuni focus attraverso un’intervista in streaming.
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