Lucio Fontana (Rosario di Santa Fé, 1899 - Comabbio, 1968) è un artista tra i più noti della storia dell’arte nonché tra i più discussi dal pubblico: spesso infatti si rimane perplessi davanti ai suoi Buchi e ai suoi Tagli, che causano talvolta sconcerto di fronte a chi se li trova esposti in un museo... o anche semplicemente postati su un account social. Eppure, poche opere sono state altrettanto rivoluzionarie: il loro valore, infatti, non sta tanto nella semplicità tecnica della loro realizzazione (che comunque è soltanto presunta: i tagli prendevano vita dopo un processo piuttosto elaborato, che abbiamo raccontato nei dettagli in un articolo dedicato), quanto nel percorso che l’artista ha compiuto per arrivare a questa intuizione, che crea una sorta di cesura nella storia dell’arte.
L’artista italo-argentino (Fontana teneva molto a sottolineare le sue origini, tanto che in diverse interviste si dichiara “argentino”) è stato uno dei grandi protagonisti del Novecento, è riconosciuto come il padre dello spazialismo, ed è arrivato piuttosto tardi alle sue opere più note, dato che i suoi celeberrimi Concetti spaziali risalgono alla fine degli anni Quaranta. Prima, Fontana aveva sperimentato molto, con diversi materiali, principalmente gesso, bronzo e soprattutto ceramica: l’artista perseguì sempre l’idea di una conquista dello spazio, partendo dalle riflessioni di Umberto Boccioni, il solo artista che, secondo Fontana, era riuscito a dare vita a questa nuova strada, alla scoperta della quarta dimensione, ovvero a un’arte che si slegasse tanto dalla bidimensionalità della pittura quanto dalla staticità della scultura, per espandersi nello spazio. Anche per questo Fontana non era in grado di dare una definizione precisa delle sue opere: né pittura, né scultura. Ma volendo trovare ulteriori antecedenti della “conquista dello spazio”, potremmo citare anche la libertà e il movimento dell’arte barocca, che secondo Fontana non avevano eguali, tanto che le sue prime ricerche con la ceramica possono essere avvicinate proprio alla scultura barocca, per il loro dinamismo, per l’arditezza del loro sviluppo (basti notare come in molte sue sculture i diversi piani riflettono la luce in tanti modi diversi dando esito a risultati sempre sorprendenti). Sono tutte esperienze che lo condussero poi all’intuizione dei buchi, dei tagli, degli ambienti.
Ricostruire il pensiero di Fontana non è difficile, perché è un artista che ha scritto molto e ha rilasciato numerose interviste. Possiamo pertanto considerarlo non soltanto come il primo e principale degli artisti spazialisti, ma anche come il loro teorico: lucido, schietto, spesso anche molto polemico (entrò ad esempio in collisione con Emilio Vedova), Fontana è stato un artista poliedrico, aggiornato, colto, conoscitore della storia dell’arte. E possiamo dire che sia profondamente ingiusto l’atteggiamento che parte del pubblico oggi gli riserva, continuando a dileggiare le sue opere a più di cinquant’anni dalla loro realizzazione. Un atteggiamento che comunque era ben diffuso anche quando l’artista esponeva i suoi lavori: “I critici mi hanno sempre malmenato”, ebbe a dire in un’intervista a Nerio Minuzzo per L’Europeo nel 1963. “Ma io non me ne sono mai preoccupato, sono andato avanti lo stesso e non ho mai tolto il saluto a nessuno. Per anni mi hanno chiamato ‘quello dei buchi’, con un po’ di commiserazione anche. Ma oggi vedo che i miei buchi e i miei tagli hanno creato un gusto, sono accettati e trovano perfino applicazioni pratiche. Nei bar e nei teatri si fanno soffitti a buchi. Perché oggi, vede, anche la gente della strada capisce le nuove forme. Sono gli artisti, purtroppo, che capiscono meno”.
Lucio Fontana alla Biennale di Venezia del 1966 |
Lucio Fontana nasce il 19 febbraio del 1899 a Rosario di Santa Fé, in Argentina, da emigrati italiani dai quali avrebbe ereditato la passione per l’arte: il padre Luigi fa infatti lo scultore, specializzato in statuaria funebre, mentre la madre Lucia Bottino è attrice di teatro. L’artista frequenta la scuola in Italia, è alle elementari a Biumo, presso il collegio Tasso, e frequenta poi l’istituto tecnico del Collegio Arcivescovile di Seregno. Parallelamente porta avanti la sua passione per l’arte cominciando a fare pratica nello studio paterno, dato che anche Luigi era rientrato in Italia. Allo scoppio della prima guerra mondiale, Lucio Fontana, nel 1916, lascia la scuola e si arruola come volontario in fanteria, arrivando a diventare ufficiale, col grado di sottotenente. Nel 1918 viene però ferito sul Carso, è congedato con la medaglia d’argento al valor militare e riprende gli studi, diplomandosi come perito edile. Nel 1921 torna in Argentina, dove si dedica alla scultura lavorando nella bottega del padre. Inizialmente lavora assieme al padre nell’ambito della scultura cimiteriale, ma poi intraprende la strada della ricerca, che gli vale anche le prime commissioni nel paese natale. Nel 1927 è di nuovo in Italia, dove si iscrive all’Accademia di Belle Arti di Brera, dove diventa allievo di Adolfo Wildt: nelle interviste, Fontana dirà poi che Wildt lo considerava, oltre che uno dei suoi allievi più dotati, il suo continuatore, ma Lucio lo avrebbe deluso intraprendendo un percorso artistico lontano da quello del maestro. Si diploma all’Accademia nel 1929: le opere di questa fase sono sculture che risentono molto dell’influsso di Wildt.
L’artista inizia a cogliere i primi successi: nel 1930 partecipa alla XVII Biennale di Venezia (Wildt è il commissario della mostra internazionale), presentando due sculture, e tiene la prima personale alla Galleria del Milione di Milano, a cura di Edoardo Persico. Qui, Fontana presenta la scultura che causa la rottura con Wildt, Uomo nero: “appena uscito dall’Accademia”, racconta Fontana in un’intervista del 1963 con Bruno Rossi, “ho preso una massa di gesso, le ho dato la struttura approssimativamente figurativa di un uomo seduto e le ho gettato addosso del catrame. Così, per una reazione violenta. Wildt, naturalmente, ci è rimasto parecchio male”. L’artista continua su questa strada le sue ricerche, dapprima col gesso e poi con la ceramica: negli anni Trenta è ad Albissola Marina, dove collabora con il ceramista Giuseppe Mazzotti. L’artista lascia nuovamente l’Italia durante la seconda guerra mondiale e si trasferisce in Argentina, dove insegna decorazione all’Accademia di Belle Arti di Buenos Aires: qui l’artista firma, assieme ad alcuni suoi allievi e giovani artisti argentini, il Manifiesto Blanco (“Manifesto Bianco”), che può essere considerato il testo fondante dello spazialismo. Nello stesso anno realizza il primo Concetto spaziale e nel 1947 firma il Manifesto dello spazialismo assieme a Giorgio Kaisserlian, Beniamino Joppolo e Milena Milani. Prima di tornare in Italia, espone nel 1949 al MoMA di New York in una collettiva dell’arte italiana del XX secolo.
Tornato in Italia, Fontana espone i suoi primi Ambienti spaziali in neon alla Triennale di Milano nel 1951 (stesso anno a cui risale il Manifesto tecnico dello spazialismo) e comincia a sviluppare le ricerche per cui è oggi universalmente noto: risalgono infatti agli anni Cinquanta i primi “buchi”. I “tagli” invece risalgono al 1958: vengono presentati per la prima volta alla Galleria del Naviglio di Milano del 1959, quindi portati a Parigi, alla prestigiosa Documenta di Kassel, e poi ancora alla V Biennale di San Paolo e in diversi altri contesti importanti. Fontana non smette inoltre di far ricerca sulla scultura, anzi: in questi anni è sempre ad Albissola Marina, dove ha uno studio dal quale continuano a nascere splendide opere in ceramica. Risalgono invece agli anni Sessanta alcuni importanti cicli come gli Olii, i Metalli e soprattutto la Fine di Dio del 1963-1964 e i Teatrini del 1964-1966. L’artista si trasferisce a Comabbio nel 1968: qui scompare il 7 settembre.
Lucio Fontana, Pescatore (1933-34; gesso colorato, 183 x 82 x 76 cm; Fondazione Lucio Fontana) |
Lucio Fontana, Deposizione di Cristo (1954; bozzetto in gesso, seconda versione; Milano, Museo Diocesano “Carlo Maria Martini”) |
Lucio Fontana, I quattro pannelli del “Conte Grande” al MuDA di Albissola Marina. Ph. Credit Finestre sull’Arte. |
Lucio Fontana, Struttura per la IX Triennale di Milano (1951; tubo di cristallo con neon bianco; © Fondazione Lucio Fontana) |
Contrariamente a quello che potrebbero pensare molti osservando i suoi buchi e i suoi tagli, Lucio Fontana possedeva una grande tecnica, maturata sin da ragazzino a contatto col padre e poi affinata con la frequentazione dell’accademia braidense. Le sue prime realizzazioni sono simili a quelle del suo maestro Adolfo Wildt: si veda, per esempio, la Madonna col Bambino del 1928, dove l’artista segue lo stile classicheggiante, sinuoso e levigato di Wildt, pur dimostrando i limiti della sua poca esperienza. Fontana fu però anche in grado di creare opere d’ispirazione realista (per esempio il Pescatore del 1933-1934), alle quali tuttavia non mancava quel grado di astrazione che avrebbero raggiunto in seguito. Sono della fine degli anni Quaranta le sculture più innovative: sono ceramiche molto movimentate, dinamiche, d’ispirazione barocca, in grado di riflettere la luce creando effetti che conferiscono ulteriore movimento alle opere. In un certo senso, dunque, sono già opere che interagiscono con lo spazio: tra gli esempi più interessanti in questo senso si possono citare le ceramiche del Conte Grande realizzate nel 1949 e oggi conservate al MuDA di Albissola Marina.
Risale al 1951 il Manifesto tecnico dello spazialismo: qui l’artista definisce con estrema precisione i suoi propositi. “Concepiamo l’arte come una somma di elementi fisici, colore, suono, movimento, tempo, spazio, concependo un’unità fisico-psichica, colore l’elemento dello spazio, suono l’elemento del tempo, e il movimento che si sviluppa nel tempo e nello spazio. Sono le forme fondamentali dell’arte nuova che contiene le quattro dimensioni dell’esistenza. Questi sarebbero i concetti teorici dell’arte spaziale”. Si trattava di concetti che l’artista aveva già espresso nel Manifiesto Blanco. Quali sono dunque i presupposti che portano ai buchi e ai tagli? Il primo: l’eternità dell’arte e la sua impossibilità di essere immortale. Vale a dire che l’arte è destinata a morire come materia fisica (prima o poi, nei millenni, un quadro o una scultura andranno distrutti), ma in quanto bisogno innato dell’essere umano, l’arte rimane eterna nella sua dimensione di gesto. E un gesto non può essere distrutto. I buchi e i tagli sono quindi un’uscita dalla materia, un modo per superarla. Secondo: la conquista dello spazio è una conseguenza della storia dell’umanità, che negli anni dei “buchi” e dei “tagli” stava, appunto, conquistando lo spazio con le spedizioni lunari (argomento cui Fontana fu sempre interessato). “La scoperta del cosmo”, avrebbe detto Fontana a Carla Lonzi nell’intervista poi pubblicata in Autoritratto, “è un dimensione nuova, è l’infinito, allora buco questa tela, che era alla base di tutte le arti e ho creato una dimensione infinita, una x che per me è la base di tutta l’arte contemporanea. Sennò continua a dire che l’è un büs, e ciao”. Terzo: lo spazialismo rappresenta l’esigenza di creare un’arte del futuro, un’arte “trasmissibile nello spazio”, un’arte che viva nel suo tempo. Un’arte che ci faccia comprendere anche la scienza, se vogliamo.
Ecco dunque perché l’artista chiamava Concetti spaziali i buchi e i tagli. Per questi ultimi, peraltro, Fontana neppure adoperava il termine “tagli”, ma parlava di Attese. Perché il taglio aperto ci proietta dinnanzi a una nuova dimensione, in attesa che succeda qualcosa di nuovo: è come se al di là della tela ci sia qualcosa che si espande nello spazio, e che aspetta soltanto che lo cogliamo. Tra i critici che meglio compresero il portato della rivoluzione di Fontana possiamo annoverare Gillo Dorfles (a questo link è possibile leggere una sua spiegazione dei buchi e dei tagli di Fontana).
Lucio Fontana, Concetto spaziale. Attese (1959; idropittura su tela, 100 x 81 cm; Rovereto, MART - Museo di Arte Moderna e Contemporanea di Trento e Rovereto, in deposito da collezione privata; © Fondazione Lucio Fontana) |
Lucio Fontana, Concetto spaziale. 62 O 32 (1962; olio, squarci e graffiti su tela, 146 x 114 cm; Milano, Fondazione Lucio Fontana; © Fondazione Lucio Fontana) |
Lucio Fontana, Concetto spaziale. Attese (1964; cementite su tela, 190,3 x 115,5 cm; Torino, Galleria d’Arte Moderna). © Fondazione Lucio Fontana |
“Uno scienziato”, disse Fontana nel 1965, “è rinchiuso nel suo laboratorio e lavora per le masse, per l’umanità. Io nella mia professione di pittore, facendo un quadro con un taglio, non voglio fare un quadro: apro uno spazio, una dimensione nuova nell’orientamento delle arti contemporanee: la fine della scultura o di una tradizione della pittura nel senso di cavalletto; però è anche una dimensione nuova del cosmo. Io, nella mia piccola scoperta, il buco, non ho voluto decorare una tela: ho rotto questa dimensione; al di là di questo foro c’è una nuova libertà di interpretazione dell’arte, la fine di un’arte tradizionale, di questa tri-dimensione, per una dimensione che è l’infinito: è andare verso il futuro”. Anche se è l’artista stesso a pronunciare queste parole, è da qui che si può partire per comprendere la grandezza e l’importanza dei tagli di Lucio Fontana. L’artista è stato tra i primi, assieme ad altri grandi come Alberto Burri, Afro Basaldella, Giuseppe Capogrossi, a fondare un’arte basata sul gesto. Inoltre, con i buchi e i tagli Fontana ha posto le basi per il superamento della tridimensionalità. Ancora, le opere di Fontana possono quasi essere considerate le prime, nella storia dell’arte, a rappresentare l’infinito, e avrebbero aperto a importanti ricerche successive (come quelle di Enrico Castellani).
E ancora, i tagli sono un modo per superare la finzione dell’arte: è come se Fontana ci dicesse che il mondo vero non è quello che sta sul dipinto o dentro la scultura, ma è quello che si apre oltre lo squarcio. Una scoperta cui Fontana arrivò con grande lucidità. Si può inoltre dire che Fontana abbia definitivamente superato la terza dimensione, grazie a un’arte capace di occupare lo spazio (evidente soprattutto nei suoi Ambienti spaziali). Considerando inoltre le opere come “concetti”, Fontana può anche essere considerato uno dei precursori dell’arte concettuale, posto lungo la strada che porta da Duchamp all’arte che si sarebbe sviluppata a partire dalla metà degli anni Sessanta. Lucio Fontana è, in definitiva, uno dei grandi della storia dell’arte del Novecento.
Le opere di Lucio Fontana sono conservate in diversi musei in tutto il mondo. In Italia si possono trovare opere di Fontana alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma, al Museo del Novecento di Milano (dove una sala gli è interamente dedicata), al Museo Diocesano di Milano, al MART di Rovereto, al MADRE di Napoli, alla GAM di Torino, al Museo Novecento di Firenze, presso la Collezione Casamonti di Firenze, al Museo Revoltella di Trieste, al MAGI ’900 di Pieve di Cento. Opere di Fontana sono conservate anche ai Musei Vaticani. Il MuDA di Albissola Marina (città dove l’artista aveva lo studio dal quale nascevano le sue ceramiche) conserva un buon nucleo di ceramiche di Fontana. Sul finire della sua carriera, l’artista fu molto prolifico, perché per sua stessa ammissione gli venivano richiesti “buchi” e “tagli” in continuazione: di conseguenza, l’artista ne produsse moltissimi, anche se non si arricchì come si potrebbe pensare dalle quotazioni milionarie che oggi certe sue opere raggiungono oggigiorno nelle aste. Diverse gallerie commerciali hanno opere di Fontana che vengono regolarmente esposte nelle principali mostre-mercato in Italia e all’estero.
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