Subito dopo le esperienze di Masaccio e Beato Angelico e una volta superata, da parte dei committenti, la scarsa comprensione nei confronti delle novità rinascimentali, possiamo dire, semplificando, che la pittura del Rinascimento a Firenze imboccò due direzioni: una che guardava al plasticismo e alla prospettiva scientifica di Masaccio, e l’altra che invece si indirizzava verso il senso del colorismo del Beato Angelico (anche se la situazione fu più complessa e non mancarono artisti che furono partecipi di entrambe le direzioni impresse dai due “iniziatori” del Rinascimento). Queste due “linee” riflettevano gli orientamenti dei committenti: chi prediligeva l’ordine e l’armonia (e si trattava perlopiù di committenze provenienti dagli ambienti religiosi, oppure di opere pubbliche della città), chi invece aveva apprezzato la sontuosità del gotico internazionale e cercava uno stile che potesse continuarne la brillantezza e in certi casi il lusso (e in questo caso si trattava soprattutto di ricchi committenti privati). Era quella che possiamo definire la seconda generazione dei pittori rinascimentali, il più delle volte più giovani di Masaccio e Beato Angelico, ma talvolta anche più anziani: si trattava perlopiù di pittori formatisi nel solco dell’arte tardogotica, che venuti a contatto con le novità rinascimentali vollero imprimere una svolta alla propria arte.
È il caso, per esempio, di Paolo di Dono, soprannominato Paolo Uccello (Firenze, 1397 - 1475): si formò assieme al pittore tardogotico Gherardo Starnina ma entrò presto a contatto con artisti come Lorenzo Ghiberti e lo stesso Masaccio. Sopra un substrato che era ancora caratterizzato dalle atmosfere fiabesche del gotico internazionale, Paolo Uccello, interessato alle ricerche sulla prospettiva (quella scientifica aveva trovato per la prima volta applicazione in pittura nell’opera di Masaccio), si dedicò alla prospettiva in modo quasi ossessivo. Tuttavia, l’artista rifiutò la prospettiva artificialis (quella di Brunelleschi e Masaccio) per sperimentare invece a fondo la perspectiva naturalis (prospettiva naturale), di origine medievale, quella che ovvero risponde non alle leggi della geometria, bensì a quelle dell’ottica. Paolo Uccello è noto per essere stato il pittore probabilmente più affascinato dalla prospettiva al punto tale da far nascere aneddoti sul suo conto (famosissimo quello secondo cui avrebbe trascurato la moglie per dedicarsi ai suoi studi prospettici), e per aver creato le composizioni prospetticamente più ardite della prima metà del Quattrocento che spesso sembrano quasi sfociare nell’irrazionale. È per esempio il caso del Diluvio universale, 1447-1448 circa, Firenze, Santa Maria Novella, Chiostro Verde.
Simile all’esperienza di Paolo Uccello è quella di Andrea del Castagno (Castagno, 1420 circa - 1457), che però rifiutò le punte estreme dell’arte di Paolo Uccello e indirizzò le sue ricerche verso un espressionismo che applicò allo studio delle psicologie dei sui personaggi (come nel ciclo degli uomini illustri, per esempio Farinata degli Uberti, 1449-1451, Firenze, Uffizi): uno studio che derivò ad Andrea del Castagno dalla lettura dell’arte di Donatello e che suggestionò non pochi artisti della generazione successiva.
Sul fronte opposto rispetto a quello di Paolo Uccello e Andrea del Castagno troviamo invece Domenico Veneziano (Venezia, 1410 – Firenze, 1461): pittore estremamente elegante, propose un’arte quasi aristocratica che sapeva rivolgersi a una committenza che non aveva smesso di apprezzare le raffinatezze tardogotiche ma che cercava anche di aggiornarsi sulle novità rinascimentali. Non è un caso che lo stesso Domenico Veneziano fosse un allievo di Gentile da Fabriano al suo arrivo, giovanissimo, a Firenze, e che da Gentile da Fabriano riprendesse la grande passione per il lusso. Domenico Veneziano fu anche autore di uno dei più grandi capolavori del primo Rinascimento, la Pala dei Magnoli (1445, Firenze, Uffizi), una tavola caratterizzata da colori brillanti ma delicati, dalla rigorosa applicazione della prospettiva scientifica, e dalla persistenza di alcuni elementi tratti dal lessico del gotico internazionale.
Nel mezzo di queste due tendenze assunte dalla seconda generazione dei pittori rinascimentali, si pose la figura di Filippo Lippi (Firenze, 1406 - Spoleto, 1469), frate-pittore che probabilmente imparò a dipingere quasi da autodidatta, osservando Masaccio e Masolino da Panicale all’opera nella cappella Brancacci, che si trovava nella chiesa del Carmine, ovvero la chiesa del convento in cui Filippo Lippi era entrato. Filippo Lippi seppe coniugare il plasticismo masaccesco alla delicatezza dei colori del Beato Angelico, producendo ora capolavori con figure forti e vigorose (come la Madonna Trivulzio, 1431 circa, Milano, Castello Sforzesco), ora delicatissime opere dal sapore quasi intimista (come la cosiddetta Lippina, 1455-1465 circa, Firenze, Uffizi). Fu però il suo lirismo la più importante delle caratteristiche della sua arte, un lirismo che fu di esempio per molti pittori che arrivarono dopo di lui, su tutti Sandro Botticelli, che di Filippo Lippi fu un allievo.
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