Il “padre” della scultura rinascimentale è considerato Donato de’ Bardi, meglio noto come Donatello (Firenze, 1386 - 1466): le sue qualità gli consentono di avere un ruolo di eccezionale rilievo nella storia dell’arte occidentale. Donatello infattì andò ben al di là degli esiti raggiunti dalla riscoperta del classico della scultura gotica: anche il Duecento e il Trecento avevano conosciuto pulsioni classiciste e non è pertanto corretto affermare che la riscoperta del classico sia esclusiva prerogativa del Rinascimento. Per Donatello però il rapporto con la statuaria antica era ben più profondo: il suo recupero fu totale in quanto riprese dall’arte antica tecniche, modi, simboli, iconologie e valori (come il senso etico della virtus repubblicana, ovvero il “valore” inteso in senso civile, che deve guidare la politica di uno Stato). E in più, per Donatello la statuaria antica costituì un notevole aiuto nello studio dell’anatomia umana, che raggiunse con lui livelli di realismo sconosciuti dall’arte antica in poi (come nel David, 1430, Firenze, Museo del Bargello). Il Rinascimento di Donatello quindi si fondò più sul naturalismo che sul calcolo e sulla razionalità (come accadeva invece per Brunelleschi).
L’ondata di novità portata da Donatello non lasciò insensibili gli scultori che si erano formati in ambito tardo-gotico e che vollero aggiornare il loro linguaggio. Il primo ad aprirsi alle nuove sensibilità fu Lorenzo Ghiberti (Firenze, 1380 circa - 1455): prese da Filippo Brunelleschi la prospettiva scientifica e da Donatello la tecnica dello stiacciato (in base alla quale veniva data la profondità a un rilievo attraverso un progressivo sbalzo delle figure dal fondo, a seconda della loro vicinanza al punto di vista dell’osservatore), oltre a un certo grado di naturalismo, e riuscì a innestare le novità rinascimentali su un substrato fatto di eleganza tardogotica (si veda per esempio il Santo Stefano, 1425-29, Firenze, Museo di Orsanmichele: la figura è rinascimentale, ma l’eleganza e la disposizione dei panneggi sono del tutto gotiche). Simile al percorso di Ghiberti, fu quello di Nanni di Banco (Firenze, 1380 circa - 1421): anche lui si formò in ambito tardogotico, ma la sua carica innovativa non fu, come per Ghiberti, data dalla capacità di fondere assieme eleganza gotica e novità rinascimentali, bensì dalla capacità di rileggere il classicismo rinascimentale di Donatello in un’ottica di maggior solidità e monumentalità, come si vede nel San Luca (1408-1413, Firenze, Museo del Duomo). Non a caso, nel naturalismo di Nanni di Banco connotato da un forte plasticismo, diversi storici dell’arte vedono un modello di riferimento per Masaccio.
Diverso invece fu il caso di Jacopo della Quercia (Siena, 1371 o 1374 - 1438), considerato più come un artista di transizione che come un artista rinascimentale, anche se pure l’etichetta di artista di transizione sta stretta allo scultore senese. Jacopo, artista orgogliosamente gotico e ancora volutamente legato a stilemi ormai superati, dette però prova di grande apertura alle novità rinascimentali che entrarono nella sua arte, pur senza seguire un percorso organico come avvenne per gli altri scultori suoi contemporanei. Fu quindi uno scultore capace di grandi brani di naturalismo e di modernissime letture della statuaria classica (è il caso della Fonte Gaia di Siena, per esempio: si veda il frammento con la statua di Rea Silvia), ma fu capace anche di clamorosi ritorni alla poetica del gotico internazionale, come in alcuni dei rilievi del portale di San Petronio a Bologna (per esempio la Natività), realizzati negli anni Trenta del Quattrocento. Per questo, alcuni studiosi definiscono Jacopo uno scultore protorinascimentale: vale a dire, uno scultore ancora essenzialmente gotico nell’animo, ma comunque capace di assimilare e di aprirsi alle novità rinascimentali.
Accanto a queste figure emerse, anche se leggermente in ritardo, quella di Luca della Robbia (Firenze, 1400 circa – Firenze, 1482), un artista che guardò al classicismo dei primi artisti rinascimentali e che rielaborandò in chiave di plasticismo, seguendo quindi la lezione di Nanni di Banco più che quella di Donatello. Luca della Robbia è passato alla storia dell’arte principalmente per aver creato la tecnica della terracotta invetriata, che fu poi ampiamente praticata in Toscana. Si trattava, sostanzialmente, di una terracotta rivestita di una sorta di vernice, detta vetrina, che, asciugando, conferiva una eccezionale robustezza alle sue opere. Durante il processo inoltre la terracotta invetriata veniva colorata consentendo quindi effetti di grande raffinatezza: Luca della Robbia prediligeva le terrecotte blu e bianche, come notiamo da questa Madonna col Bambino (1446-1449, Firenze, Spedale degli Innocenti).
Gli scultori della generazione successiva rispetto a Donatello e Ghiberti elaborarono i risultati raggiunti dai due precursori, ma senza voler replicare gli esiti di estremo realismo raggiunti da alcune realizzazioni di Donatello e rivisitando l’eleganza di Ghiberti in chiave di una raffinatezza intellettuale particolarmente gradita dai committenti (ci troviamo infatti dopo il 1434, anno in cui Firenze diventa una signoria di fatto dopo la presa di potere da parte di Cosimo de’ Medici detto Cosimo il Vecchio). È la linea del classicismo quella che ha più successo. Il primo ad applicarla fu Mino da Fiesole (Poppi, 1429 - Firenze, 1484), che praticò molto il genere del busto-ritratto: riscoperto per la prima volta dopo l’arte classica da Donatello. Fu questo un genere molto amato dai potenti signori rinascimentali che fecero scolpire così molti dei loro ritratti, riecheggiando quindi la statuaria antica (uno di questi fu Astorre Manfredi, signore di Imola che si fece ritrarre in un busto del 1455 oggi a Washington, National Gallery of Art). Il ritratto conobbe un notevole sviluppo proprio durante il Rinascimento grazie anche all’allentarsi della presa della morale religiosa, secondo cui i ritratti erano simbolo di vanità terrena (ed è per questo che scarseggiavano nel Medioevo caratterizzato dall’assoluto primato della Chiesa nella morale pubblica). E inoltre il ritratto era visto dai signori come uno strumento per accrescere il proprio prestigio e per rendere immortale la propria effigie.
Accanto alla scultura ufficiale, solenne e quasi austera di Mino da Fiesole (che peraltro introdusse la novità, nell’ambito del busto ritratto, del soggetto che volge lo sguardo di lato) si pose l’opera di Antonio Rossellino (Settignano, 1427 – Firenze, 1479), che si allontanò dalla poetica di Mino da Fiesole per cercare un tipo di ritratto più naturalistico e più veritiero, estremamente moderno, capace di cogliere tutti i dettagli del volto, compresi quelli meno belli (si veda il volto scavato del ritratto di Giovanni Chellini, 1456, Londra, Victoria and Albert Museum). Diversa ancora fu la direzione imboccata dall’arte di Desiderio da Settignano (Settignano, 1430 circa - Firenze, 1464): scultore dalla brevissima parabola (scomparve infatti a poco più di trent’anni), contrappose alla scultura ufficiale, solenne e quasi austera di Mino da Fiesole, una poetica fatta di estrema dolcezza e grande lirismo, tanto che Desiderio da Settignano può essere considerato come il più delicato degli scultori rinascimentali. Non è un caso se i soggetti preferiti da Desiderio erano bambini e ragazzine (Ritratto di Marietta Strozzi, 1460 circa, Berlino, Staatliche Museen). Tutti gli artisti di questa generazione furono inoltre attivi nella realizzazione di monumenti funebri ad arcosolio (ovvero realizzati in nicchie sormontate da arcate): per esempio il monumento funebre di Carlo Marsuppini realizzato da Desiderio da Settignano (1453-1455 o 1459, Firenze, Santa Croce). Praticato ampiamente in epoca gotica, il monumento ad arcosolio, fu aggiornato durante il Rinascimento, secondo le novità del tempo (soprattutto in termini di maggior classicismo). Ogni artista interpretò questo tipo di opera secondo il proprio gusto personale, anche se probabilmente i risultati di maggior interesse furono raggiunti da Desiderio da Settignano, che riuscì a infondere al suo unico monumento noto, quello di Carlo Marsuppini, una leggerezza mai raggiunta dagli altri scultori suoi contemporanei.
Qualche anno più tardi, furono le tendenze naturaliste a prevalere, e gli artisti iniziarono nelle loro sculture a interessarsi alla rappresentazione del dinamismo e della tensione. In questo ambito, i due nomi esemplari sono quelli di Antonio del Pollaiolo (Firenze, 1431 circa - 1498) e del Verrocchio (Firenze, 1435 ca. - Venezia, 1488). I due artisti rivaleggiarono nella Firenze medicea, anche a livello di botteghe (il Verrocchio in particolare condusse quella che probabilmente fu, assieme a quella del Perugino, la bottega più attiva e frequentata dell’epoca): Antonio del Pollaiolo fu essenzialmente lo scultore del movimento, che esaltò in diverse sue opere, tra cui il celebre Ercole e Anteo (1475 circa, Firenze, Museo del Bargello), una delle più famose. Fu in effetti lui il primo artista a porsi il problema della rappresentazione del movimento in scultura, riuscendo a risolvere con composizioni che peraltro denotano un notevole interesse per il classicismo: un classicismo che lo affascinò al punto da spingerlo a compiere attentissimi studi delle anatomie, che ricordavano molto da vicino quelle della statuaria classica.
Anche il Verrocchio fu animato dalla stessa volontà di Antonio del Pollaiolo di rappresentare il dinamismo in scultura, ma questa sua volontà raggiunse esiti differenti. Quanto infatti era drammatica e tesa l’arte del Pollaiolo, tanto era distesa e gradevole l’arte del Verrocchio, che donò ai suoi soggetti una serenità sconosciuta al rivale (Putto con delfino, 1470-1475 circa, Firenze, Palazzo Vecchio). E in più, Verrocchio aggiunse alla sua arte anche un naturalismo che andava oltre i risultati ottenuti da Antonio del Pollaiolo, rimasto invece ancorato a un maggior classicismo. È anche emblematico sottolineare come sia Antonio del Pollaiolo che il Verrocchio furono anche pittori oltre che scultori: andava infatti affermandosi quel concetto dell’artista completo, anche a livello intellettuale, che trovò la sua massima espressione nel più grande genio uscito dalla bottega del Verrocchio, ovvero Leonardo da Vinci.
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