Uno degli obiettivi della politica del duca di Firenze (e dal 1569 granduca di Toscana) Cosimo I de’ Medici, era quello di riaffermare il primato di Firenze anche a livello culturale. Cosimo I ripartì dall’idea rinascimentale dell’arte come strumento per accrescere il prestigio di uno Stato: si spiegano secondo questi intenti i numerosi incarichi affidati agli artisti. Tra questi incarichi figurava anche la decorazione delle piazze e dei palazzi cittadini con la realizzazione di sculture. Furono impegnati in questo senso tutti i grandi scultori manieristi che operarono a Firenze nel Cinquecento e tra i quali, inevitabilmente, sorsero grandi rivalità.
La rivalità più accesa fu quella che si consumò tra Bartolomeo Brandini detto Baccio Bandinelli (Firenze, 1488 - 1560) e Benvenuto Cellini (Firenze, 1500 - 1571). Il primo artista visse pressoché tutta la sua esistenza nel tentativo di imitare Michelangelo, andando però incontro a numerosi e amari fallimenti in quanto il suo gigantismo era eccessivamente carico ed esasperato e mancava dei fondamenti filosofici alla base dell’arte michelangiolesca. La sua opera più nota, l’Ercole e Caco che terminò nel 1534 dopo ben nove anni di lavoro (gli era stato commissionato dai Medici per affiancare il David in piazza della Signoria), alla sua inaugurazione ricevette nient’altro che insulti e motteggi: famoso è quello dello stesso Benvenuto Cellini, che nella sua Vita definisce l’opera “un saccaccio di poponi” (cioè di meloni) proprio per l’esagerata accentuazione dei muscoli. E in più l’opera attirò anche lo scherno dei repubblicani: il David infatti era stato scolpito da Michelangelo, repubblicano convinto, e l’Ercole e Caco da Baccio Bandinelli (opera che ancora oggi si trova in Piazza della Signoria), filo-mediceo e tra i maggiori protetti dei Medici, per cui i repubblicani potevano dire che la superiorità del loro partito nel campo dell’arte era garantita.
Nonostante per tutta la sua carriera avesse ricevuto commissioni per opere di grandi dimensioni, paradossalmente Baccio Bandinelli risultava migliore nelle sculture di piccole dimensioni, tanto che spesso i committenti si rivolgevano a lui per opere colossali, in considerazione del fatto che i suoi bozzetti erano di altissima qualità. Tuttavia, la sua arte rimane limitata dal vano e continuo tentativo, che durò sempre, di imitare e cercare di superare gli esiti dell’arte michelangiolesca.
Anche Benvenuto Cellini partì da schemi michelangioleschi, a cui comunque seppe dare, rispetto al suo rivale, una notevolissima eleganza (come ci appare anche nella sua opera più celebre, il Perseo che si trova a Firenze nella Loggia dei Lanzi), che gli derivava dalla sua formazione di orafo e che mancò a molti degli altri scultori manieristi, troppo bloccati nel tentativo di rifarsi alla scultura michelangiolesca (un vincolo che invece Cellini dimostrò di saper superare senza problemi). Un mestiere, quello dell’orafo, che, accanto a quello dello scultore, Benvenuto Cellini non abbandonò mai per tutta la sua carriera. Di sicuro il più appassionato ed “eroico” degli scultori manieristi, anche perché ebbe un carattere particolarmente violento e portato allo scontro (si ricorda la famosa lite con Baccio Bandinelli davanti a Cosimo I), Benvenuto Cellini propose un’arte raffinata e libera, che si poneva a metà tra il classicismo rinascimentale e il virtuosismo estremo di altri artisti manieristi.
Altro artista che replicò il plasticismo di Michelangelo, ma rielaborandolo secondo un punto di vista originale, fu Bartolomeo Ammannati (Settignano, 1511 - Firenze, 1592), che fu un allievo di Baccio Bandinelli. In Bartolomeo Ammannati inizia a vedersi una spiccata libertà di inventiva che trova compimento nelle pose, originali, di certe sue realizzazioni, oltre a una sottile sensualità che pervade molte delle opere a soggetto femminile (in particolare dee dell’antichità classica, come la Cerere, 1556-1561, Firenze, Museo del Bargello). Tuttavia anche Bartolomeo Ammannati non mancò di attirarsi critiche per alcune sue opere, come la Fontana del Nettuno che, in cambio del tentativo di imitare Michelangelo (sebbene non temerario ed esasperato come quello di Baccio Bandinelli), ottenne solo versi di scherno. Per cui, la grandezza di Bartolomeo Ammannati è da ricercarsi soprattutto nell’originalità di certe sue invenzioni oltre che nella sua capacità di creare composizioni ad effetto spettacolare (come la Fontana di sala Grande, che è stata ricomposta per qualche mese nel 2011 in occasione di una mostra sullo scultore al Museo del Bargello).
Della stessa generazione di Bartolomeo Ammannati fu Giovanni Angelo Montorsoli (Firenze, 1507 - 1563), collaboratore di Michelangelo di cui, come tutti gli scultori manieristi, riprese il vigore plastico, che seppe interpretare spesso in forme eroiche e soprattutto connotate da un’elevatissima carica drammatica (Fontana di Orione, 1547-1551, Messina, Piazza Duomo).
L’artista in cui l’estro bizzarro e virtuoso del Manierismo in scultura trovò il suo apice, fu probabilmente Giambologna, nome italianizzato dello scultore fiammingo Jean de Boulogne (Douai, 1529 - Firenze, 1608). In seguito di un suo soggiorno a Roma attorno al 1550, divenne italiano d’adozione e si stabilì a Firenze a partire dal 1562, diventando anch’egli un protetto della famiglia Medici. Artista di una generazione successiva rispetto ai precedenti, fu lo scultore che probabilmente concluse l’esperienza manierista anticipando le tendenze della scultura barocca.
Anche Giambologna partì dal gigantismo michelangiolesco, ma lo reinterpretò in forme eccezionalmente libere caratterizzate da virtuosismo e dall’andamento irregolare, spingendosi quindi al di là di quanto Benvenuto Cellini era riuscito a fare pur non avendo il suo stesso grado di raffinatezza. Certe sue opere non sarebbero tuttavia esistite senza precedenti celliniani, un esempio su tutti è il celeberrimo Mercurio, 1580, Firenze, Museo del Bargello. È a Giambologna che si attribuisce il merito di aver realizzato la figura serpentinata (ovvero la figura che assume un movimento a forma di S) attraverso un dinamismo più sciolto di quello dei suoi contemporanei: un modo di procedere che ottenne notevoli riscontri anche nel periodo dell’arte barocca.
A Firenze fu attivo anche un altro artista appartenente alla stessa generazione di Giambologna, ovvero Vincenzo Danti (Perugia, 1530 - 1576). Artista capace di realizzare figure tortuose come quelle del Giambologna, ma capace anche di monumenti solennemente celebrativi e dal gusto classicista, fu uno dei pochi scultori manieristi a riflettere sul Michelangelo romano e quindi sulle opere più potenti a livello emotivo dell’artista di Caprese. Esempio di questo studio appassionato è uno dei capolavori di Vincenzo Danti, la Decollazione del Battista (1571, Firenze, Museo del Duomo) eseguita negli ultimi anni della sua carriera per il Battistero di Firenze.
Tra i più ingegnosi scultori del manierismo è inoltre possibile annoverare anche Niccolò Pericoli detto il Tribolo (Firenze, 1500 circa - 1550): autore contraddistinto da un elevato senso del decorativismo. Nelle sue sculture stemperò il gigantismo michelangiolesco in forme più lievi, ma è ricordato soprattutto come architetto di giardini. Curò infatti la sistemazione di numerosi giardini delle ville medicee (a lui si deve la risistemazione dei giardini di Boboli) decorandoli con fontante che rivelavano anche la sua abilità nelle opere idrauliche (Fontana di Ercole, dopo il 1536, Firenze, Villa Medicea di Castello).
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