Gli inizi del XIII secolo coincisero con profondi rinnovamenti che interessarono la scultura italiana. Due fenomeni in particolare contribuirono ad accelerare il processo di rinnovamento: la riscoperta dell’arte classica da una parte e l’influenza della scultura francese contemporanea dall’altra. Il primo fenomeno caratterizzò soprattutto l’arte del meridione italiano, in coincidenza con la presenza di Federico II di Svevia, che governò il regno di Sicilia per tutta la prima metà del Duecento.
Infatti Federico II, che fu un sovrano capace e attento alle arti alla letteratura (egli stesso fu un poeta appartenente alla cosiddetta scuola siciliana che si formò attorno alla sua corte a Palermo), promosse il recupero dell’arte della Roma antica, anche con chiari intenti celebrativi, per una sorta di paragone tra l’Impero da lui governato e l’antico Impero romano e per la volontà di continuare in qualche modo il mito dell’Impero della Roma antica. L’arte quindi aveva il compito di rispondere a queste esigenze, e per rispondere in maniera adeguata era necessario il confronto con l’arte antica. E inevitabilmente, il recupero di simboli del repertorio antico significò anche un avvicinamento ai modi dell’arte romana.
Il primo e principale artefice del recupero dell’arte romana nel Duecento fu lo scultore Nicola de Apulia, meglio noto come Nicola Pisano (Puglia?, 1210 circa - Siena?, 1278/84): dalla Puglia, regione che ricoprì per l’arte il ruolo che la Sicilia aveva ricoperto per la letteratura, Nicola si trasferì a Pisa dove il suo studio dell’arte antica poteva compiersi e perfezionarsi in quanto in area pisana da diversi anni (ci troviamo alla metà del secolo, subito dopo gli anni Cinquanta) si assisteva al recupero di reperti dell’antichità (sarcofaghi, rilievi... ), pertanto Pisa rappresentava il luogo ideale dove poter mettere a frutto la ricerca iniziata nell’Italia del Sud. E il riferimento ai modelli antichi non poteva che guardare proprio alla scultura, perché dall’antichità classica non erano pervenuti dipinti, ma solo opere scolpite: è anche per questo motivo che nel Duecento la scultura conobbe un’evoluzione più rapida rispetto a quella della pittura.
Grazie a questo studio attento, la scultura di Nicola Pisano raggiunse risultati di naturalismo e plasticismo che erano ancora sconosciuti all’arte occidentale. A questo si aggiunse poi, come anticipato, il secondo fenomeno che connotò l’arte del Duecento, ovvero l’arrivo delle suggestioni derivanti dalla scultura francese: con la drammaticità di quest’ultima, l’arte di Nicola Pisano riuscì a raggiungere una forza espressiva non indifferente. Lo dimostra pienamente il pulpito del Battistero di Pisa, del 1255-1260 circa.
L’opera di Nicola Pisano fu continuata dai suoi due principali allievi: il figlio Giovanni Pisano (Pisa?, 1248 circa - Siena, dopo il 1314), che sviluppò la componente “drammatica” dell’arte del padre arrivando a vette elevate di espressionismo (si veda la Strage degli innocenti dal pulpito di Sant’Andrea a Pistoia, realizzato tra il 1297 e il 1301), e Arnolfo di Cambio (Colle di Val d’Elsa, 1240 circa - Firenze tra il 1302 e il 1310), che, al contrario, sviluppò la componente “classicista” prediligendo solide volumetrie e plasticità (statua di Carlo d’Angiò, 1277, Roma, Musei Capitolini). L’opera di Giovanni Pisano e di Arnolfo di Cambio fu importante anche per gli sviluppi della pittura della seconda metà del Duecento. Infatti, quando la pittura volle iniziare a svincolarsi dalla dipendenza dai modelli bizantini, mancando figure di riferimento valide in pittura, i principali artisti a cui ispirarsi erano proprio Giovanni Pisano e Arnolfo di Cambio. Quest’ultimo fu, peraltro, artefice di una interessante contaminazione tra scultura e architettura (evidente soprattutto nei suoi cibori, come quello di San Paolo fuori le Mura, a Roma) destinata a suggestionare gli artisti di tutto il Trecento.
Durante il secolo successivo non mancarono poi le personalità che seppero diffondere le conquiste raggiunte in Toscana (sia Giovanni Pisano che Arnolfo di Cambio lavorarono infatti principalmente nelle maggiori città toscane, come Firenze, Pisa e Siena): le figure chiave del secolo, per ciò che riguardava la scultura, furono Giovanni di Balduccio (Pisa, 1300 circa - 1349 circa), che diffuse il linguaggio toscano nel nord Italia, e Tino di Camaino (Siena 1280 circa - Napoli 1337), che oltre a essere uno scultore dotato di una grande originalità e una forte carica innovativa (inventò infatti modelli, soprattutto nell’ambito dei monumenti funebri, che fecero scuola: per esempio quello del cardinale Riccardo Petroni, 1317-18, Siena, Duomo), con il suo trasferimento a Napoli nel terzo decennio del XIV secolo, diffuse i modi toscani nel meridione della penisola imponendo il suo linguaggio fatto di composta, equilibrata e severa plasticità.
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