Parlare di impressionismo e di pittori e scultori impressionisti equivale a raccontare una delle più note vicende della storia dell’arte, nonché una delle più apprezzate: ancora oggi, le mostre degli impressionisti figurano tra le più amate e frequentate dal pubblico. Ma chi erano gli impressionisti e perché il loro apporto è stato così fondamentale per la storia dell’arte? Qual è stata la rivoluzione che hanno introdotto, tanto da aver creato una sorta di cesura tra il prima e il dopo? Chi sono stati i principali protagonisti di questa rivoluzione?
Il termine “impressionismo” deriva in realtà da una sola opera: si tratta di Impression. Soleil Levant di Claude Monet (Parigi, 1840 - Giverny, 1926), a cui su queste pagine abbiamo anche dedicato un lungo approfondimento. L’opera fu dipinta da Monet nel 1872, e il pittore la presentò nel 1874 alla prima mostra degli impressionisti, a cui parteciparono diversi altri artisti che radunarono le loro opere nello studio del fotografo parigino Nadar. La mostra fu però stroncata dal critico Louis Leroy, che sulla rivista Le Charivari scrisse: “Impressione, ne ero sicuro, Ci dev’essere dell’impressione, là dentro. E che libertà, che disinvoltura nell’esecuzione! La carta da parati allo stato embrionale è ancora più curata di questo dipinto”. Da questa recensione negativa nacque il termine “impressionisti”: inizialmente adoperato in forma spregiativa, passò poi a identificare quel gruppo di artisti che avevano fatto dell’impressione, della rappresentazione di un preciso momento, fugace e rapido, sulla tela una delle chiavi della loro arte.
Claude Monet, Impression: soleil levant (1872; olio su tela, 48 x 63 cm; Parigi, Musée Marmottan Monet) |
L’ascesa degli impressionisti non fu in alcun modo un fulmine a ciel sereno. Già in Francia, con le opere dei pittori realisti (come Gustave Courbet) e con quelle degli artisti della scuola di Barbizon (come Théodore Rousseau e Jean-François Daubigny), si erano creati i presupposti per un cambio di paradigma, sia dal punto di vista dei contenuti (non più soltanto pittura di storia o temi religiosi o mitologici: la realtà quotidiana entrava di nuovo in maniera dirompente nei soggetti più in voga tra gli artisti), sia da quello formale (i pittori di Barbizon furono i primi a “uscire” dall’atelier e a dipingere en plein air, ovvero all’aria aperta). Anche in Italia si erano creati i presupposti per una pittura di paesaggio creata all’aria aperta e per un’arte capace di far leva sull’interesse ottico degli artisti, ovvero l’arte dei macchiaioli, che precedono di circa dieci-quindici anni l’impressionismo (tanto che uno dei più grandi macchiaioli, Giovanni Fattori, nel valutare per la prima volta le opere degli impressionisti avrebbe affermato il primato degli italiani, che tuttavia rimanevano ancora legati al disegno, abbandonato invece dai francesi).
Uno dei grandi anticipatori dell’impressionismo fu Eugène Boudin (Honfleur, 1824 - Deauville, 1898), che fu peraltro maestro di Monet: con la sua arte diede dignità al “tempo libero” dipingendo vedute di spiagge, istantanee di scampagnate, vacanze nella natura. L’immediatezza della pittura di Boudin fu uno dei punti di partenza delle ricerche degli impressionisti, sia per l’attualità delle sue scelte tematiche, sia per il modo in cui venivano affrontate, con un linguaggio diretto, che riportava fedelmente sulla tela ciò che l’artista osservava durante le sue sedute all’aperto. Boudin non arrivò al grado di sperimentalismo degli impressionisti, ragion per cui non lo si può pienamente ascrivere al loro gruppo, ma è comunque uno dei massimi precursori del nuovo movimento.
Altro artista che anticipò le ricerche degli impressionisti e che poi passò a ingrossare le loro fila fu Édouard Manet (Parigi, 1832 – 1883), che già dalla fine degli anni Cinquanta aveva cominciato a dipingere, in uno stile fortemente influenzato dalla pittura realista, brani della vita della Parigi di quegli anni: le notti nei caffè, gli spettacoli dei teatri, la modernità rappresentata dal passaggio delle prime locomotive e dei battelli a vapore che solcavano la Senna. Raccontare la modernità in tutti i suoi aspetti: anche questo fu uno degli obiettivi degli impressionisti.
Eugène Boudin, La spiaggia di Trouville (1865; olio su cartone, 26,5 x 40,5 cm; Parigi, Musée d’Orsay) |
La prima mostra degli impressionisti si tenne il 15 aprile del 1874 nello studio di Nadar, come anticipato: vi parteciparono molti artisti i cui nomi non sono molto noti al grande pubblico, e ci fu anche un grande artista italiano, ovvero Giuseppe De Nittis. Ecco quali furono gli artisti che presero parte alla mostra: Zacharie Astruc, Antoine-Ferdinand Attendu, Édouard Béliard, Eugène Boudin, Félix Braquemond, Édouard Brandon, Pierre-Isidore Bureau, Adolphe-Félix Cals, Paul Cézanne, Gustave Colin, Louis Debras, Edgar Degas, Jean-Baptiste Armand Guillaumin, Louis La Touche, Ludovic-Napoléon Lepic, Stanislas Lepine, Jean-Baptiste-Léopold Levert, Alfred Meyer, Auguste De Molins, Claude Monet, Berthe Morisot, Mulot-Durivage, Giuseppe De Nittis, Auguste-Louis-Marie Ottin, Léon-Auguste Ottin, Camille Pissarro, Pierre-Auguste Renoir, Stanislas-Henri Rouart, Léopold Robert, Alfred Sisley. Il più innovativo di tutti era sicuramente Claude Monet: la sua tecnica fatta di pennellate rapide date sulla tela per comunicare l’impressione del momento fu una delle novità che più attirarono la critica. In effetti, dato il rifiuto degli impressionisti per la pittura accademica e il loro desiderio di affrontare non temi aulici o solenni, ma contenuti che non erano ritenuti adatti per la pittura “ufficiale”, si può ben comprendere come la critica conservatrice fosse tutt’altro che dalla loro parte.
Quali furono le principali novità degli impressionisti? Uno dei motivi per cui gli impressionisti vengono inseriti ormai in tutti i “canoni ufficiali” della storia dell’arte sta nel loro approccio alla realtà: gli impressionisti, infatti, non rappresentano la realtà come avevano fatto tutti gli artisti prima di loro, cercando di restituire un’immagine fedele e quasi fotografica di una scena, ma semplicemente restituendo all’occhio dell’osservatore ciò che l’occhio dell’artista vede sulla tela. Ecco dunque perché i colori sono accostati e non mescolati, perché le figure si sfibrano, perché tutto ha quest’aria di grande immediatezza, perché le immagini degli impressionisti sono spesso sfocate: perché l’occhio umano, nel soffermarsi un istante su di una scena, non coglie con precisione tutti gli elementi di ciò che vede, nei singoli dettagli.
“Dipingo le cose che vedo nel modo più semplice”, aveva detto Manet. “Così la mia Olympia. Che c’è di più spontaneo?”. Ecco una delle parole chiave dell’impressionismo: spontaneità. Inoltre, per la prima volta, la vita quotidiana della borghesia entrava sistematicamente nei dipinti degli artisti. Nel loro approccio alla realtà, gli impressionisti però segnarono una differenza rispetto ai realisti: da parte loro non c’era la volontà di denuncia sociale che aveva caratterizzato la pittura realista. Per gli impressionisti si trattava soltanto di mostrare ciò che gli artisti vedevano, e niente più (anche se non mancarono poi certi dipinti che possono esser letti come animati dalla volontà di porre l’accento su alcune questioni sociali). Arte per l’arte, insomma: gli impressionisti affermano che lo scopo principale dell’attività dell’artista è il suo quadro o la sua scultura, e che un artista dev’essere giudicato esclusivamente per ciò che dipinge o che scolpisce.
Édouard Manet, Olympia (1863; olio su tela, 130,5 x 190 cm; Parigi, Musée d’Orsay) |
Come si è visto, furono diversi gli artisti che parteciparono alle mostre degli impressionisti: ne furono organizzate otto in tutto (1874, 1876, 1877, 1879, 1880, 1881, 1882, 1886). Malgrado la comunanza di intenti e di linguaggio, gli impressionisti maturarono delle personalità artistiche ben differenti. Manet, che era più anziano di otto anni rispetto a Monet, non recise mai del tutto i legami col suo sostrato di stampo accademico: si era infatti formato nell’atelier di Thomas Couture, artista esperto in pittura storica. Monet fu invece il primo artista impressionista tout court: rispetto a Manet, Monet era più immediato e si preoccupava molto meno degli aspetti compositivi, per i quali invece Manet ebbe sempre una certa attenzione (data la sua formazione, le costruzioni di Manet furono sempre le più equilibrate e composte dei pittori impressionisti). Si potrebbe pertanto dire che, a differenza di Monet, Manet operò una sorta di combinazione tra nuovo linguaggio impressionista e bilanciamento compositivo tradizionale, mentre Monet fu decisamente più radicale.
Altro impressionista di spicco (anche se non gradiva il termine “impressionista”) fu Edgar Degas (Parigi, 1834 - 1917) che, al contrario dei colleghi, riteneva che l’artista non dovesse essere troppo passivo nei confronti del dato ottico, ma che potesse permettersi d’intervenire per “correggere” la visione aggiungendo o rimuovendo elementi ritenuti essenziali o, viceversa, superflui per comunicare con l’osservatore. Lo si vede soprattutto nei suoi dipinti che raffigurano le lezioni di danza: era molto difficile che Degas raffigurasse sempre lo stesso ambiente nello stesso modo. Pierre-Auguste Renoir (Limoges, 1841 – Cagnes-sur-Mer, 1919) appartiene invece alla corrente “piacevole” dell’impressionismo, tanto che fu probabilmente il più apprezzato dalla borghesia parigina del tempo e fu spesso chiamato a dipingere ritratti di famiglia. Come Manet, anche Renoir era infatti contrario a portare avanti istanze troppo radicali come invece stava facendo Monet (tanto che per un certo periodo, Renoir recuperò anche modelli settecenteschi), e subordinò quasi sempre le sue creazioni a criteri di equilibrio e gradevolezza.
Non dissimile dall’approccio di Renoir fu quello dell’impressionista donna più famosa, Berthe Morisot (Bourges, 1841 – Parigi, 1895): anche per lei si trattava soprattutto di un impressionismo piacevole, che nel suo caso affrontava soprattutto temi familiari (Morisot è stata probabilmente la più intima dei pittori impressionisti). All’estremo opposto, per radicalità delle scelte, si collocava uno degli impressionisti più innovativi ma forse anche meno noti, Gustave Caillebotte (Parigi, 1848 - Gennevilliers, 1894), il più giovane del gruppo ma anche il più defilato: proveniva da una famiglia ricchissima e dunque dipingeva solo per puro piacere, e non per vivere, ragion per cui spesso si astraeva dalle discussioni dei suoi colleghi (benché ne fosse partecipe). Caillebotte propose un impressionismo fatto di tagli arditi, istantanee di carattere pressoché fotografico (in alcuni suoi dipinti pare quasi faccia uso del grandangolo!), singolari vedute dall’alto (a questo link è possibile trovare un approfondimento). Poco nota è anche la vicenda del giovane Frédéric Bazille (Montpellier, 1841 – Beaune-la-Rolande, 1870), uno degli artisti più innovativi della Francia del suo tempo in quanto capace di anticipare diverse novità degli impressionisti (era molto amico di Monet e aveva cominciato a dipingere sulla falsariga del suo più anziano collega), ma scomparso a soli ventinove anni durante la guerra franco-prussiana: senza questa tragedia, oggi probabilmente Bazille sarebbe famoso come Monet.
I due grandi maestri del paesaggio impressionista furono invece l’anglo-francese Alfred Sisley (Parigi, 1839 - Moret-sur-Loing, 1899) e il franco-creolo Camille Pissarro (Charlotte Amalie, 1830 - Parigi, 1903). Sisley sperimentò un linguaggio simile a quello di Monet ammantando però le sue visioni di note malinconiche e sentimentali, che risentono delle sue origini inglesi e del suo studio dei capolavori dei romantici come Turner e Constable. Inoltre, Sisley fu anche tra i meno inclini a innovare: una volta trovato il suo linguaggio, lo mantenne per tutta la durata della sua carriera. Le vedute di Pissarro sono invece più ariose, solari e vivaci, e in un certo senso anche più originali: il suo modo di disporre le masse, con pennellate larghe che costruiscono quasi delle macchie di colore giustapposte, anticipa alcune delle conquiste del post-impressionismo. Una curiosità: Pissarro fu il primo impressionista in assoluto a esser conosciuto in Italia. Era il 1878 quando due suoi paesaggi arrivarono a Firenze, causando peraltro scetticismo negli ambienti italiani (furono in pochi a comprendere e ad apprezzare le novità da loro introdotte: ne abbiamo parlato anche su queste pagine).
Anche l’Italia ebbe i suoi impressionisti: il più innovativo fu sicuramente il pugliese Giuseppe De Nittis (Barletta, 1846 - Saint-Germain-en-Laye, 1884), non a caso l’unico italiano a partecipare alla mostra del 1874 (a questo link un approfondimento sulla sua arte). Fu tra gli impressionisti più sperimentatori: in lui si trovano sia l’interesse per l’arte giapponese (che non tutti gli impressionisti condivisero, e che sarebbe stata rielaborata maggiormente in seguito, dai post-impressionisti come Van Gogh), sia le sperimentazioni fotografiche à la Caillebotte, sia la passione per la vita moderna. Tra gli altri impressionisti italiani sono da citare Giovanni Boldini (Ferrara, 1842 - Parigi, 1931), uno dei maggiori interpreti del gusto borghese, e Federico Zandomeneghi (Venezia, 1841 - Parigi, 1917), fautore di un’arte piacevole che si può inserire nel solco di quella di Renoir. Infine, per quanto riguarda la scultura impressionista, i principi elaborati in pittura furono applicati in “versione” plastica da Degas e Renoir, ma parte delle ricerche degli impressionisti sarebbero state colte con spirito fortemente innovativo (benché non si possa considerare un impressionista a tutti gli effetti) dall’italiano Medardo Rosso (Torino, 1858 - Milano, 1928), che operò come “ponte” tra le novità impressioniste e le nuove istanze post-impressioniste.
Édouard Manet, Il bar delle Folies-Bergère (1881-1882; olio su tela, 96 x 130 cm; Londra, Courtauld Institute of Art) |
Bethe Morisot, Donna e bambina sul balcone (1872, olio su tela, 60 x 50 cm; collezione privata) |
Edgar Degas, Piccola ballerina di quattordici anni (1878-81; cera colorata, metallo, capelli umani, nastro di seta e lino, corpetto in pizzo, tutù di cotone e seta, scarpette di seta, su base di legno, 98,9 x 34,7 x 35,2 cm senza base; Washington, National Gallery of Art, Collezione Paul Mellon) |
Pierre Auguste Renoir, Donna in poltrona (1874; olio su tela, 61 x 50,5 cm; Detroit, Detroit Institute of Arts) |
Gustave Caillebotte, Giorno di pioggia a Parigi (1877; olio su tela, 212 cm x 276 cm; Chicago, Art Institute) |
Camille Pissarro, Paesaggio - L’approssimarsi della bufera (1878; olio su tela; Firenze, Galleria d’Arte Moderna di Palazzo Pitti) |
Alfred Sisley, Sulla riva del fiume a Veneux (1881; olio su tela, 59 x 79 cm; Johannesburg, Johannesburg Art Gallery) |
Giuseppe De Nittis, La National Gallery e la chiesa di Saint Martin a Londra (1877; olio su tela, 71 x 105,5 cm; Parigi, Petit Palais, Musée des Beaux Arts de la Ville de Paris) |
Giovanni Boldini, Gertrude Elizabeth (nata Blood), Lady Colin Campbell (1894; olio su tela; Londra, National Portrait Gallery) |
Federico Zandomeneghi, Au Théâtre (1895 circa; olio su tela, 71 x 88 cm; Collezione Fondazione Piceni) |
Già con l’ultima mostra, quella del 1886, nuove realtà si affacciarono alla ribaltà dell’arte francese ed europea, e il fatto che alla mostra di quell’anno espose, tra gli altri, anche il giovanissimo Georges Seurat, indicava che l’impressionismo aveva già trovato un suo erede: le novità introdotte dagli impressionisti, soprattutto quelle che riguardano l’interesse per i fenomeni ottici, sarebbero poi state pienamente accolte dai pittori pointilliste. Ritroviamo poi l’eredità degli impressionisti nelle opere di tutti i più grandi del finire del secolo, da Van Gogh a Gauguin, per arrivare a Matisse e Cézanne. Esperienze che nacquero sulla strada tracciata dagli impressionisti.
Ovviamente molti degli impressionisti continuarono a lavorare a lungo, per esempio Boldini continuò addirittura fino a dopo la prima guerra mondiale a produrre opere che non si discostavano dal suo stile degli anni Ottanta dell’Ottocento: ma l’arte ormai era avviata su strade totalmente nuove.
Quando le loro opere non sono in giro per mostre, è possibile vedere i capolavori dell’impressionismo in alcuni musei che possiamo considerare un po’ come i loro “templi”: si può cominciare dunque da Parigi con il Musée d’Orsay dove si trova la raccolta forse più importante al mondo di arte impressionista. Sempre nella capitale francese, per approfondire l’impressionismo è d’obbligo una visita al Musée Marmottan, che custodisce Impression. Soleil levant di Monet e alcune opere del suo ciclo delle Ninfee. Il “trittico” dei musei dedicati all’impressionismo si conclude con il Musée de l’Orangerie, dove si trova un’altra copiosa collezione di opere dei principali artisti del movimento. Sempre in Francia, volendo continuare il tour fuori da Parigi, ci si può segnare il Musée d’Art Moderne di Le Havre, il Musée des Impressionnismes di Giverny (dove si trova il celeberrimo giardino di Monet), il Musée des Beaux-Arts di Caen: tutti siti che si trovano in Normandia, terra di grande importanza per l’impressionismo perché qui Monet sperimentò le sue prime innovazioni sotto la guida di Boudin, e tornò diverse volte durante la sua carriera.
In Italia non sono invece moltissimi i musei che accolgono opere degli impressionisti: per vederli e conoscerli in modo approfondito occorre attendere una delle tante mostre che vengono organizzate nel nostro paese, ma in loro assenza si può comunque ovviare. L’unico dipinto di Manet in Italia si trova alla GAM di Milano (è il Ritratto del signor Arnaud a cavallo), mentre per Monet ci si trasferisce alla Galleria Nazionale d’Arte Antica e Contemporanea di Roma, che ospita una delle Ninfee di Monet. Alla Galleria d’Arte Moderna di Palazzo Pitti a Firenze sono invece conservati i paesaggi di Pissarro che giunsero in città nel 1878: sono le prime opere impressioniste arrivate in Italia. Molto più facile trovare invece le opere degli impressionisti italiani: in questo caso, ci si può segnare in agenda una visita al Museo Boldini di Ferrara.
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