Il secondo decennio dell’Ottocento vide la nascita del romanticismo, un movimento, di carattere europeo, sorto in contrapposizione al neoclassicismo. All’astrazione e alla razionalità di quest’ultimo, i romantici opponevano la forza delle passioni e del sentimento. Ma le caratteristiche comuni agli artisti del romanticismo sono molte di più: si trattò infatti di un movimento internazionale che conobbe però diversi sviluppi regionali (proprio per il fatto che i romantici rivalutarono le tradizioni popolari e folkloristiche), ma con una base condivisa, i cui tratti principali sono individuabili nel ritorno dell’uomo alla natura (contro al neoclassicismo che invece anteponeva allo studio della natura quello dei maestri antichi), una profonda religiosità, la centralità delle passioni, la libertà personale dell’artista contro i vincoli delle accademie, la riscoperta dell’irrazionalità e l’importanza data alla fantasia creativa dell’artista, la rivalutazione del Medioevo, visto non solo come un periodo di profondo spiritualismo religioso, ma soprattutto come il periodo in cui si erano formate le identità dei popoli e le diversità delle nazioni europee. Anche per tale motivo l’epoca medievale veniva contrapposta a quella del regime di Napoleone che, nel suo intento di costituire un impero, era visto come un sistema che voleva schiacciare tali diversità.
Il romanticismo, per tutte queste caratteristiche, conobbe quindi diverse declinazioni, spesso molto diverse tra di loro, tanto che non è possibile parlare di stile romantico, ma piuttosto ci si riferisce al romanticismo come a un movimento. In Italia si è soliti parlare di romanticismo storico: lo sviluppo del romanticismo nel nostro paese coincise infatti con il periodo del Risorgimento, per cui una delle tendenze degli artisti romantici italiani era quella di andare a “ripescare” episodi della storia d’Italia (il ricorso alla storia è un tratto tipico di molte tendenze del romanticismo) che potevano servire a paragoni con la situazione italiana del tempo. L’arte così si caratterizzava per un notevole impegno politico e civile: fu soprattutto questa l’accezione che caratterizzò il romanticismo italiano.
Artista chiave del romanticismo in Italia è considerato Francesco Hayez (Venezia, 1791 - Milano, 1882), che si formò su schemi neoclassici (che si manifestano anche in parte della sua produzione giovanile), ma che ben prestò seppe dar vita a una forte poetica romantica che trovava il suo massimo impegno civico soprattutto nei dipinti a soggetto storico, con episodi tratti sia dalla storia recente che da quella antica (principalmente quella medievale). Con tali dipinti, Hayez si poneva l’obiettivo di diffondere quegli ideali di libertà e di reazione all’oppressione che erano particolarmente attuali in un momento storico in cui gran parte del Nord dell’Italia era sotto il dominio dell’Austria. Il primo di questi dipinti a soggetto storico fu il Pietro Rossi a Pontremoli, esposto a Milano nel 1820: l’opera suscitò un grande scalpore perché per la prima volta in Italia venivano abbandonati soggetti tratti dall’antichità classica in favore di soggetti tratti dalla storia medievale. Tuttavia, Hayez non si impegnò in “prima linea”, anzi molte sue opere furono gradite dall’Impero Austriaco, tanto che ricevette anche un invito a Vienna e la cosa gli attirò non poche critiche. Tuttavia, se non è possibile definire Hayez un artista rivoluzionario, è indubbio che i suoi dipinti si fecero portatori dei profondi ideali patriottici, in cui l’artista credeva. L’impegno di Hayez è da leggersi quindi in chiave di un tentativo di diffusione della consapevolezza dello stato di oppressione che l’Italia al tempo viveva, più che un impegno di azione “in prima linea”.
Hayez diventò ben presto il più importante artista romantico in Italia: questa poetica romantica raggiunse poi risultati profondamente toccanti nelle sue opere più pregne di sentimento (come le varie versioni del dipinto noto come Il bacio, per esempio quella del 1859, Milano, Pinacoteca di Brera: leggi qui un approfondimento sulle versioni dell’opera). Sul finire della carriera, in coincidenza con la crisi degli ideali del Risorgimento, il pittore produsse intensi ritratti allegorici femmili, dal sapore spesso mistico e religioso. Francesco Hayez fu anche un fine ritrattista, capace di realizzare intense raffigurazioni dei personaggi ritratti, ma seppe anche declinare con toni particolarmente sensuali il genere del nudo femminile, con un velato erotismo che rimandava indietro di due secoli alle soluzioni di Guido Cagnacci (Ruth, 1835, Bologna, Collezioni Comunali). Tutte capacità che fanno di Francesco Hayez uno degli artisti più completi del panorama romantico italiano.
Ben presto, la pittura civilmente impegnata si diffuse in tutta Italia. Tra gli artisti romantici, un ruolo di primo piano fu svolto da Pelagio Palagi (Bologna, 1775 - Torino, 1860), un autore di scene storiche in cui i protagonisti erano soprattutto importanti personaggi della storia italiana (Federico II, Gian Galeazzo Sforza, Cristoforo Colombo) e che denotavano un gusto per la descrizione delle architetture da leggersi in chiave neogotica (Palagi fu infatti, oltre che pittore, anche architetto). Riassume queste caratteristiche la Scoperta della rifrazione della luce da parte di Isaac Newton (1827, Brescia, Brescia, Pinacoteca Tosio Martinengo). Il cosiddetto revival gotico fu una precisa tendenza dell’arte romantica (soprattutto dell’architettura), che si diffuse in particolare in Inghilterra ma trovò esponenti anche altrove: data l’importanza che gli artisti romantici conferivano alla civiltà medievale, anche le loro ambientazioni e le loro scene dovevano ispirarsi all’arte gotica vista come l’espressione artistica più alta e interessante prodotta durante il Medioevo.
Una notevole declinazione del romanticismo in Italia fu quella della cosiddetta veduta romantica, portata ai suoi massimi gradi dalla Scuola di Posillipo. Nel Seicento, la pittura di paesaggi e vedute aveva trovato a Napoli il suo massimo esponente in Salvator Rosa e da allora questa tradizione si era radicata nella città partenopea. Nel corso dell’Ottocento soggiornarono a Napoli alcuni artisti stranieri, come Joseph Mallord William Turner e Anton van Pitloo (quest’ultimo stabilitosi definitivamente a Napoli), che rinnovarono la pittura di paesaggio locale in senso romantico, con una poetica fondata sull’immediata adesione al vero (grazie a una pittura più rapida rispetto a quella tradizionale, fatta di pennellate veloci che rendevano in modo immediato gli effetti della luce e del colore) e sulla resa evocativa (i colori con i quali erano dipinte le atmosfere erano volti a suscitare sentimenti negli osservatori). Il nome “Scuola di Posillipo” fu affibbiato a questo gruppo di artisti partenopei dai loro detrattori, principalmente artisti delle Accademie: i pittori di paesaggio contrari ai vincoli della pittura accademica, infatti, erano soliti riunirsi nel quartiere napoletano di Posillipo.
A seguito della scomparsa di Pitloo, che fu una delle personalità che diede il maggior impulso alla scuola, il massimo rappresentante di questo gruppo di artisti fu Giacinto Gigante (Napoli, 1806 – 1876), che seppe realizzare paesaggi caratterizzati da un forte lirismo evocato attraverso il sapiente uso del colore (Marina di Posillipo, 1845 circa, Roma, Galleria Nazionale d’Arte Moderna). Inoltre, Gigante fece propria la tendenza tipicamente romantica a dipingere alcuni degli aspetti più inquietanti della natura, che rispondevano pienamente alla poetica del sublime: con questo termine si indica un qualcosa che suscita negli spettatori, appunto, inquietudine e persino orrore e paura. Il concetto di sublime, teorizzato dallo scrittore inglese Edmund Burke, si contrapponeva al bello: per Burke, il sublime era rappresentato, per esempio, dalle idee del vuoto, del silenzio, dell’infinito, della solitudine. Nella pittura paesaggistica di Giacinto Gigante, il gusto del sublime è evocato da una natura selvaggia, da rupi minacciose, dal cielo in tempesta, dalla vastità del mare che si perde nell’orizzonte. Tuttavia, il pittore napoletano non arrivò al grado di “terribilità” raggiunto dalla pittura paesaggista di molti altri artisti romantici, soprattutto provenienti dal nord Europa: spesso l’arte di Giacinto Gigante offriva piuttosto paesaggi rassicuranti ma connotati sempre da un acceso lirismo.
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