Con la figura di Arcimboldi, il Manierismo giunge alle sue conseguenze più estreme. L’artista, milanese, si era formato in un ambiente artistico particolarmente vitale come la Milano di metà Cinquecento, che aveva visto finire il dominio sforzesco e l’avvio del periodo spagnolo, che durò fino al Settecento: sotto il dominio spagnolo lo stato di Milano non conobbe particolari sconvolgimenti politici per diverso tempo, ma andò incontro a una decadenza progressiva che si fece sentire soprattutto intorno. La formazione di Giuseppe Arcimboldi prese però avvio in una Milano ancora vitale, una Milano dove l’interesse per le ricerche di Leonardo da Vinci era ancora vivo e dove avevano si erano da poco spenti i più grandi artisti del Rinascimento milanese, dal Bramantino a Bernardino Luini passando per Gaudenzio Ferrari, Marco d’Oggiono, il Bambaia, Cesare da Sesto e molti altri. A questa temperie culturale andò a sostituirsi progressivamente quella degli artisti della Controriforma, che a Milano fu particolarmente viva, ma prima ancora si registra a Milano la presenza degli artisti cremonesi, su tutti Bernardino Campi, presente a Milano a partire dal 1550, oltre ad altri artisti come Antonio Campi e Giulio Campi che gravitavano diciamo nell’orbita del manierismo emiliano che si rifaceva ad artisti come il Parmigianino e Giulio Romano, ed erano ancora attivi tra anni Trenta e anni Quaranta del Cinquecento. Fu però fuori dall’Italia che Arcimboldi conobbe i maggiori successi: in particolare, alla corte dell’imperatore Rodolfo II a Praga fu maestro di cerimonie e poté lavorare con costanza alle sue teste composite. L’estro di Arcimboldi, del resto, non poteva prosperare nella Milano della Controriforma e di Carlo Borromeo, divenuta più austera, meno aperta nei confronti delle stravaganze raffinate, e più incline a un’arte pregna di severa religiosità.
Giuseppe Arcimboldi nasce a Milano nel 1527 da Biagio, di professione pittore, e Chiara Parisi. La famiglia è nobile e il giovane Giuseppe ha modo di compiere la sua formazione in un ambiente colto. Sulla base dei documenti, sappiamo che nel 1549 Giuseppe inizia a lavorare nel cantiere del Duomo di Milano insieme al padre Biagio per alcune decorazioni ma soprattutto per la realizzazione di due vetrate, una con le storie del Vecchio Testamento e una con le storie di santa Caterina d’Alessandria. L’opera sarà terminata da Giuseppe nel 1556 (ma vi aveva lavorato da solo fin dal 1551). Nel 1556, l’artista lavora all’affresco con l’albero di Jesse nel Duomo di Monza assieme a Giuseppe Meda. I lavori saranno terminati nel 1559. L’anno prima, nel 1558, è a Como dove lavora ad alcuni modelli per le vetrate del Duomo.
Nel 1562 l’artista viene chiamato a Vienna dall’imperatore del Sacro Romano Impero, Ferdinando I, che evidentemente l’aveva notato per alcune sue realizzazioni a Milano (secondo un’ipotesi recente, per una sua primissima serie delle Stagioni). Appena arrivato, realizza i ritratti della famiglia regnante. Nel 1563, il futuro imperatore Massimiliano II (divenuto tale nel 1564) gli commissiona il ciclo delle Stagioni, terminato nel 1566. Del ciclo originale si conservano solo l’Estate, l’Inverno (Vienna, Kunsthistorisches Museum) e forse la Primavera (Madrid, Museo della Real Academia de San Fernando). L’Autunno invece è noto solo da repliche successive. Giuseppe diventa poi ufficialmente ritrattista di corte nel 1564, succedendo in tale carica all’anziano pittore Jacob Seisenegger. L’artista compie nel 1566 un breve soggiorno in Italia e nello stesso anno dipinge il famoso Bibliotecario, una cui copia molto fedele all’originale e a esso vicina cronologicamente, è oggi conservata in Svezia nel castello di Skokloster. Nel 1568 engono presentati i due cicli delle Stagioni e degli Elementi all’imperatore Massimiliano II (la presentazione è a cura del letterato Giovanni Battista Fontana, o Fonteo).
Risale invece al 1570 il disegno dell’antilope cervicapra conservato presso la Biblioteca Nazionale Austriaca di Vienna, uno degli studi naturalistici più famosi dell’artista. Nel 1571, Giuseppe Arcimboldi è incaricato di organizzare i festeggiamenti per le nozze tra Carlo d’Asburgo e Maria di Baviera, mentre risale al 1573 la serie delleStagioni oggi conservata al Louvre. Nel 1576 Rodolfo II diventa imperatore in seguito alla scomparsa di Massimiliano II e conferma Giuseppe nel suo incarico. Nel 1582, per conto dell’imperatore, Giuseppe si reca in Baviera dove è incaricato di valutare l’acquisto di antichità e opere d’arte provenienti dalle raccolte dei Fugger, per le collezioni imperiali. Al 1583 risale la collaborazione tra Giuseppe Arcimboldi e Ulisse Aldrovandi, con il primo che invia al secondo disegni per i suoi studi sulla natura. È invece del 1585 il carnetcon i disegni per costumi e apparati da feste oggi conservato agli Uffizi e dedicato a Rodolfo II. Attorno al 1590, il pittore realizza l’Ortolano, la sua più famosa “testa reversibile”, e sempre attorno allo stesso anno, Giuseppe Arcimboldi dipinge il ritratto di Rodolfo II come dio Vertumno (realizzato come una delle sue “teste composite”). Nel 1592 l’artista viene nominato conte palatino da Rodolfo II. Giuseppe Arcimboldi, tornato a Milano, si spegne nella sua città natale l’11 luglio.
Figlio di un pittore, Biagio Arcimboldi, che era amico di Bernardino Luini, il giovanissimo Giuseppe fu dunque subito a contatto con gli ambienti leonardeschi (l’arte di Leonardo da Vinci sarebbe stata per lui fondamentale in quanto ispirò molti dei suoi studi maturi) e fu nella bottega paterna che cominciò a lavorare. La sua prima opera documentata sono due vetrate per il Duomo di Milano (sono del 1549: Arcimboldi tuttavia non realizzò da solo i cartoni da cui sarebbero state tratte queste vetrate bensì in collaborazione con il padre Biagio, e i cartoni poi sarebbero stati tradotti in vetro da un vetraio tedesco, Corrado Mochis, a lungo attivo nel cantiere del duomo di Milano). Si tratta di opere dalle quali si può evincere come Giuseppe Arcimboldi fosse aggiornato rispetto alle novità del manierismo, di cui l’artista riprende la grande vivacità innestandola però su di una base monumentale. Il primo manierismo di Arcimboldi si ritrova ancora in un’altra delle sue realizzazioni giovanili, un affresco nel duomo di Monza realizzato in collaborazione con Giuseppe Meda tra il 1556 e il 1559 circa (L’albero di Jesse: affresco monumentale e imponente, con figure cariche e una gamma cromatica fredda e tenue). Chiamato a Vienna nel 1562 da Ferdinando I d’Asburgo, Arcimboldi fu subito impegnato come ritrattista, tanto da venire nominato ritrattista di corte nel 1564 da Massimiliano II, che nutriva una grande predilezione nei confronti di Giuseppe Arcimboldi. Diversi suoi sono conservati al Kunsthistorisches Museum di Vienna: per esempio, il ritratto dell’arciduca Massimiliano (futuro imperatore Massimiliano II) assieme alla moglie Maria di Spagna e a tre figli, opera del 1563 dai toni “istituzionali”, distaccati e austeri.
La ritrattistica ufficiale era però un genere che stava stretto a Giuseppe Arcimboldi, che a partire dal 1563 inizia per la prima volta a lavorare alle sue teste composite, che gli garantiscono successo e fama di artista estroso ed ingegnoso. Il primo ciclo di teste composite è quello delle Quattro stagioni, realizzato tra il 1563 e il 1566 per Massimiliano II: degli originali rimangono soltanto l’Estate e l’Inverno, conservati al Kunsthistorisches Museum di Vienna, e una Primavera al Museo della Real Academia de San Fernando di Madrid che potrebbe essere il terzo originale ma non ci sono certezze in merito (l’Autunno invece è considerato perduto ed è noto solo da repliche successive, per esempio quella del ciclo del 1573 conservato al Louvre, quasi identico a quello originale). Le “teste composite” sono così definite in quanto composte da diversi elementi, tutti attinenti a un tema, che formano un ritratto: la testa della primavera, per esempio, è composta da fiori e foglie (gli studiosi di botanica hanno contato circa ottanta specie diverse di piante e di fiori, segno dell’elevato interesse di Giuseppe Arcimboldi per il mondo della natura), l’estate ha la testa composta da frutta tipicamente estiva (la guancia è una pesca, il mento una pera, il naso è un cetriolo mentre i capelli sono formati da susine, ciliegie, lamponi e un grappolo d’uva ancora acerbo, l’orecchio è una pannocchia di granturco e il busto è formato da spighe di grano tutte intrecciate). In occasione della mostra sul pittore che si è tenuta a Milano nel 2011, alcuni studiosi hanno messo in dubbio che il ciclo viennese sia il primo sul tema realizzato da Giuseppe Arcimboldi, avanzando anche l’ipotesi che la corte imperiale abbia notato il giovane artista milanese in virtù del fatto che forse già a Milano avesse iniziato a realizzare dipinti di questo tipo, che avrebbero così stimolato l’interesse e la curiosità di Ferdinando I d’Asburgo che decise di chiamarlo a Vienna.
Quale il significato di questi dipinti? Forse non sarebbero altro che una celebrazione della corte asburgica: così pensava il letterato Giovanni Battista Fontana, attivo presso la corte asburgica negli anni Sessanta del Cinquecento. In un suo scritto, Fontana suggerisce di vedere elementi e stagioni come allegoria dell’impero: in particolare i dipinti sarebbero da leggersi in chiave aristotelica (secondo Aristotele, l’universo era assimilabile a un macrocosmo composto dai quattro elementi, e si trattava di una concezione che poggiava le sue basi su filosofie ancora più antiche, e sempre secondo questo modo di vedere la realtà, a ogni elemento corrispondeva una stagione diversa, che simboleggiano lo scorrere del tempo dell’univers). E dal momento che le teste sono assimilate a ritratti di cesari, la composizione di Giuseppe Arcimboldi sarebbe da intendersi come l’impero che regna e domina sia sul macrocosmo sia sul microcosmo, dal momento che l’imperatore assume le sembianze di componenti del macrocosmo e del microcosmo (altro ciclo famoso è quello dei Quattro Elementi, aria, acqua, terra e fuoco, che secondo alcuni studiosi sarebbe legato a quello delle Quattro Stagioni).
Tra le altre opere interessanti di Giuseppe Arcimboldi è possibile menzionare il Bibliotecario del 1566 (che probabilmente rappresenta un personaggio della corte di Massimiliano II che effettivamente faceva il bibliotecario: denota dunque l’interesse dell’artista nei confronti delle caricature di Leonardo, comune a tutto l’ambiente artistico milanese della prima metà del Cinquecento), e le teste reversibili, ovvero dipinti che da un lato sembrano nature morte, ma capovolgendoli diventano teste composite: e l’esempio più famoso è il celeberrimo Ortolano del 1590 circa, conservato al Museo Civico Ala Ponzone di Cremona. Sembra una natura morta, una scodella ripiena di ortaggi, con cipolle, patate, funghi e quant’altro, ma capovolgendo il dipinto appare la raffigurazione caricaturale di un ortolano (il naso è la patata, la cipolla è la guancia, i funghi dànno forma alle labbra e la scodella diventa il cappello del personaggio). Come anticipato, infine, Giuseppe Arcimboldi nutrì forti interessi nei confronti del mondo naturale. Contemporaneo e anzi quasi coetaneo di Ulisse Aldrovandi, il grande scienziato bolognese, fu dagli studi di quest’ultimo fortemente ispirato, e viceversa Aldrovandi gradiva molto le opere e i disegni del pittore milanese, tanto che in qualche occasione i due collaborarono, con Arcimboldi che fornì ad Aldrovandi illustrazioni per i suoi studi. Si conserva una corrispondenza tra Aldrovandi e Francesco de Paduanis, studioso attivo alla corte di Praga, in cui De Paduanis fa sapere allo studioso bolognese di aver ottenuto da Arcimboldi alcune rappresentazioni di animali per gli studi di Aldrovandi e che glieli avrebbe inviati. Una delle illustrazioni più famose è l’antilope cervicapra conservata alla Biblioteca dell’Università di Bologna, che fu utilizzata per gli studi di Ulisse Aldrovandi. Esiste poi un codice conservato presso la Biblioteca Nazionale Austriaca di Vienna, conosciuto come il “bestiario di Rodolfo II”, in cui si conservano numerose rappresentazioni naturali di Arcimboldi (principalmente di animali: cervi, fagiani, lucertole, cinghiali, gru, e iin generale animali che Arcimboldi probabilmente vedeva nei giardini e nelle riserve di caccia imperiali). Giuseppe Arcimboldi dunque non fu solo un grande artista, ma era anche inserito molto bene negli ambienti scientifici dell’epoca.
Artista che fece carriera tra le corti d’Europa e dunque presente in molti musei, Giuseppe Arcimboldi è poco rappresentato in Italia: le sue opere più famose, le “teste composite”, furono infatti realizzate per le corti di Vienna e Praga e si trovano dunque all’estero. In Italia, l’itinerario alla scoperta dell’Arcimboldo parte dal Duomo di Milano, dove si ammirano le sue due vetrate. Sempre in Lombardia si trova l’opera più famosa di Arcimboldi presente in Italia, ovvero l’Ortolano del Museo Ala Ponzone di Cremona. A Monza si osserva l’Albero di Jesse, affresco nel Duomo, e diversi suoi disegni si trovano nei Gabinetti delle Stampe degli Uffizi di Firenze e dei Musei di Strada Nuova di Genova, nonché alla Biblioteca Universitaria di Bologna, ma vengono esposti raramente data la loro delicatezza.
I cicli di teste composte più famosi si trovano all’estero, al Kunsthistorisches Museum di Vienna, presso la Bayerische Staatsgemäldesammlungen di Monaco di Baviera (quello di Monaco è completo, anche se l’Autunno, in condizioni precarie, è conservato in deposito), e al Denver Art Museum. In Svezia, il Castello di Skokloster conserva una fedele copia del Bibliotecario (l’autografo non ci è noto). Altre opere si trovano al Nationalmuseum di Stoccolma, presso le collezioni dei principi del Liechtenstein a Vienna, al Musées Royaux des Beaux-Arts di Bruxelles, al Museo de la Real Academia de San Fernando di Madrid.
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