Giorgio Morandi (Bologna, 1890 – 1964) fu uno dei più grandi artisti italiani del primo Novecento. L’influenza che derivò dagli insegnamenti di Cézanne, André Derain, del cubismo e dei grandi maestri del Rinascimento italiano, gli permise di approdare ad un’originale sintesi pittorica che caratterizzò le sue opere. Il giovane artista dell’Accademia di Belle arti di Bologna si avvicinò in un primo momento al futurismo che però abbondò precocemente. Le tele dell’artista raffigurano principalmente paesaggi, soprattutto quello di Grizzana, paesino emiliano a cui fu molto affezionato, ma anche fiori e nature morte.
La scelta di Morandi di dedicarsi quasi esclusivamente a questi soggetti derivò dal fatto che il pittore orientò la propria arte verso uno studio analitico e meditativo degli elementi raffigurati tramite minime variazioni cromatiche e spaziali. L’artista all’inizio degli anni Venti del Novecento ebbe anche un breve avvicinamento al linguaggio artistico di Giorgio De Chirico e Carlo Carrà, periodo in cui nacquero tele dal sapore metafisico. Nonostante l’isolamento e il carattere un po’ introverso, Morandi coltivò rapporti d’amicizia con critici, artisti e direttori dei musei, che li consentirono di essere uno degli artisti più apprezzati all’esterno.
Giorgio Morandi |
Giorgio Morandi nacque a Bologna il 20 luglio 1890 da Andrea e Maria Maccaferri. Giorgio dimostrò una precoce predisposizione artistica come testimonia un elaborato reso noto dalla Galleria comunale d’arte moderna di Bologna che rappresenta una piccola composizione di Fiori, realizzato intorno ai quindici anni e che già presenta quell’impostazione compositiva che fu la cifra stilistica dell’artista. Nel 1907 Morandi si iscrisse all’Accademia di Belle Arti di Bologna dove ebbe modo di conoscere a fare amicizia con Osvaldo Licini e Severo Pozzati. Se i primi anni della sua formazione accademica furono eccellenti, gli ultimi anni passati in accademia furono caratterizzati da controversie con i professori: tale atteggiamento si deve al mutamento di interessi dell’artista che già individuò un proprio linguaggio autonomo e individuale. Le influenze giunsero da Parigi, città in cui nel 1915 si traferì l’amico Licini, e permisero a Morandi di tenersi sempre aggiornato sull’arte del momento. André Derain, Paul Cézanne, Henri Rousseau e Pablo Picasso furono per Morandi gli artisti contemporanei che più lo influenzarono: tuttavia, in questi anni l’artista sviluppò anche un forte interesse per l’arte italiana del passato (nel 1910 a Firenze vide le opere di Giotto, Massaccio e Paolo Uccello).
Con gli amici Osvaldo Licini, Severo Pozzati e Giacomo Vespignani, il giovane pittore bolognese si avvicinò alla poetica futurista dopo che l’artista Filippo Tommaso Marinetti infiammò gli animi degli studenti dell’Accademia bolognese. Partecipò a varie serate futuriste tra Modena e Bologna, inoltre visitò l’esposizione di Pittura Libera Futurista (1913-14) che venne organizzata a Firenze dalla rivista “Lacerba”. I “tre tortellini”, come vennero soprannominati i tre amici (Morandi, Licini e Vespignani) a causa dei cappelli che portavano, tennero una mostra all’Hotel Baglioni di Bologna, uno spazio non istituzionale e slegato dall’Accademia. Morandi presentò tredici tele, tra cui Ritratto della sorella (1912-1913), quattro Paesaggi e due Nature Morte. Sebbene Morandi fosse molto legato alla poetica futurista, mantenne comunque una certa indipendenza rispetto alla poetica marinettiana, volgendo lo sguardo oltralpe: in particolare verso le sperimentazioni cubiste e alle opere di Cézanne. Morandi ottenne dal Comune di Bologna l’incarico di insegnante di disegno della scuole elementari che manterrà fino al 1929. Nel 1915 venne chiamato alle armi ma dopo un mese, essendosi ammalato, venne congedato. In questi anni di guerra Morandi ebbe modo di riflettere e molte sue tele furono distrutte dallo stesso artista. Nonostante questo periodo di spaesamento l’artista trovò, seppure brevemente, conforto nella pittura metafisica che è ben testimoniato da una decina di opere, tra queste Natura morta metafisica e Natura morta con palla, datate entrambe nel 1918. Gli anni 1918-1919 furono importanti per Morandi poiché incontrò artisti come Giorgio de Chirico, principale esponente della pittura metafisica, e Carlo Carrà. I due artisti gravitavano intorno alla rivista di Mario Broglio, pittore e collezionista, la celeberrima “Valori plastici”: la rivista teorizzò il recupero dei valori nazionali e il ritorno alla pittura figurativa di modello classico. Giorgio Morandi divenne uno dei protagonisti principali di questa tendenza. Mentre gli artisti si dedicavano alla sperimentazione plastica delle loro tele, Mario Broglio organizzò alcune rassegne di gruppo in Germania (tra cui Berlino) e poi a Firenze allestì nel 1922 la mostra Fiorentina primaverile. Nonostante l’adesione a “valori plastici”, Morandi partecipò anche ad altre rassegne: fu presente alle due mostre del Novecento Italiano presso la Permanente di Milano nel 1926 e 1929, e inoltre, grazie alla critica d’arte Margherita Sarfatti, alcune sue opere vennero esposte a Parigi (Galleria Bonaparte), a Basilea e a Buenos Aires. Morandi fu molto vicino anche all’ambiente intellettuale della rivista “Il Selvaggio” diretta da Mino Maccari a partire dal 1924. Alla rivista di Maccari fu legato il movimento di “Strapaese” il cui obiettivo fu la restaurazione di un paese rurale, fondato sulla tradizione e semplicità. Morandi espresse molto bene questo spirito, infatti Maccari dedicò un lungo articolo al pittore bolognese sulla rivista “Il Resto del Carlino” in cui mise in risalto “l’italianità” e la “genuinità” della sua arte.
L’originalità dell’artista venne celebrata anche in alcune mostre estere: nel 1929 venne invitato al Premio Carnegie di Pittsburgh, nel 1934 alcune sue opere furono esposte alla Mostra d’Arte Italiana organizzata dalla Biennale di Venezia negli Stati Uniti e nel 1937 partecipò all’Esposizione Universale di Parigi. Grazie alla stima ricevuta dagli ambienti intellettuali e ufficiali del periodo, nel 1930 ottenne la cattedra di incisione presso l’Accademia di Belle Arti di Bologna, dove insegnò fino al 1956. Furono molto importanti anche le sue partecipazioni alle Quadriennali di Roma: nella terza edizione, quella del 1939, Giorgio Morandi ebbe un’intera sala personale in cui espose quarantadue quadri, dodici acqueforti e due disegni. Sebbene le opere del pittore fossero molto apprezzate da importanti critici, come Roberto Longhi e Cesare Brandi, e dagli artisti più giovani, Morandi ottenne il secondo premio per la pittura, dopo il più giovane Bruno Saetti. Ciò nonostante ci furono varie polemiche riguardanti l’attribuzione del primo premio ma anche sul valore reale della sala di Morandi, nonostante il pittore bolognese fosse sostenuto dalla critica del tempo. Durante la Seconda guerra mondiale Morandi si ritirò a Grizzana, piccolo paese sugli Appennini emiliani e qui lavorò a quella stagione che il critico Francesco Arcangeli identificò come Paesaggi e Nature Morte del 1942-1943. Nella prima edizione della Biennale veneziana del dopo guerra, nel 1948, il padiglione italiano accolse un’antologica della pittura italiana (1919-1920), contente anche opere di Morandi che gli valsero il primo premio. La vittoria del primo premio alla Biennale di Venezia del 1948 consentì al maestro bolognese di distinguersi anche a livello internazionale. Negli anni seguenti alla Biennale, Morandi ebbe una vita piuttosto solitaria e immersa nella sua pittura. A seguito di una malattia che durò circa un anno il pittore morì l’8 giugno del 1964 a Bologna.
Giorgio Morandi, Paesaggio (1911; olio su cartone telato, 37,5 x 52 cm; Milano, Pinacoteca di Brera) |
Giorgio Morandi, Ritratto della sorella (1912; olio su tela, 37 x 44,3 cm; Bologna, MAMbo) |
Giorgio Morandi, Natura morta (1920; olio su tela, 60,5 x 66,5 cm; Milano, Pinacoteca di Brera) |
Giorgio Morandi, Natura morta con cestino di pane (1921; acquaforte su rame, 325 x 463 mm) |
Giorgio Morandi fu molto influenzato dalle opere di Paul Cézanne, come dichiarano le prime opere giovanili, ad esempio Paesaggio (1911). L’opera mostra un linguaggio già abbastanza autonomo, sebbene la forte geometrizzazione delle architetture e la vertiginosa diagonale che attraversa la tela rievochino i paesaggi cézanniani. Tra gli artisti francesi, Morandi riservò un particolare interesse anche per André Derain, che probabilmente ebbe modo di conoscere attraverso delle riviste che circolavano a Bologna, come per esempio la celebre rivista “Emporium”. Nel Ritratto della sorella (1912) di Morandi la tavolozza dei colori è molto più scura e le pennellate certamente più dense rispetto all’Autoritratto (1913-1914) di Derain, che invece utilizzò toni più caldi e, diversamente dal pittore bolognese, la pennellata in questo caso è più asciutta. L’influenza del pittore francese su Morandi semmai è indicata dal modo in cui quest’ultimo trattò la parte anatomica della donna: il volto spigoloso è reso attraverso una forte ombreggiatura che rievoca il momento “gotico” di Andrè Derain, come sottolineò il critico Giuseppe Raimondi.
La Natura Morta del 1912 fu una della prime ricezioni italiane delle nature morte cubiste di Pablo Picasso e Georges Braque. Ciò che colpisce è la tavolozza di colori che caratterizza il cubismo, l’assenza di un asse compositivo evidente e la, seppure lieve, scomposizione del soggetto. Una Natura morta di stile totalmente diverso è quella del 1919 (la data è riportata in alto a sinistra). La composizione dei soggetti è già quella tipica di Morandi: a differenza però delle nature morte successive, qui manca quella “polvere” sugli oggetti, come sovente chiamano i critici. La resa pittorica della frutta, della bottiglia e del libro mirano ad accentuare le volumetrie, mentre il piano sui cui poggiano restituisce perfettamente la profondità in cui sono inseriti gli elementi.
Sul finire degli anni Venti, Morandi si avvicinò molto alla metafisica, sebbene non vi avesse mai realmente aderito. Un’opera, in particolare, documenta perfettamente il linguaggio pittorico di questo periodo e può essere messa in relazione con le opere di Giorgio de Chirico e Carlo Carrà. Si tratta di Natura morta con manichino (1918): all’interno di una scatola viene rappresentato un manichino, elemento che caratterizza le opere di De Chirico, che rappresenta l’inquietudine dell’essere umano. Il manichino restituisce all’osservatore l’alienazione e la solitudine, entrambi stati d’animo enfatizzati dallo scarno spazio pittorico che lo circonda.
Nel 1920 Morandi ebbe modo di vedere alla Biennale di Venezia alcune opere di Cézanne che lo portarono ad un pittura più disinvolta e naturale, come in Paesaggio (1929) in cui la materia si fa più densa e il colore testimonia la ritrovata sensibilità paesaggistica delle prime opere giovanili. Anche le nature morte, a partire dalla prima metà degli anni Venti vengono modulate da effetti chiaroscurali, i soggetti si dissolvono nell’ambiente, manca il contorno netto delle opere “metafisiche” e la gamma cromatica si fa più ricca, come nel caso di Natura morta (1920). In questa tavola l’artista pone la propria attenzione al dato naturale del soggetto, i colori più chiari e offuscati richiamano gli affreschi quattrocenteschi.
Nel 1922 la rivista “valori plastici” chiuse, aumentò il disinteresse da parte di Broglio (direttore della rivista) per le opere di Morandi e nel 1924 alla Biennale di Venezia tirava un vento classicista volto ad un “ritorno all’ordine”. Tutti questi elementi portarono Morandi a capire quanto fosse isolato dal mondo artistico italiano. In questi anni di abbandono il pittore bolognese si dedicò all’incisione, che praticava, in realtà, da quando frequentava l’Accademia di Belle arti di Bologna. Il calarsi quasi completamente nell’arte incisoria permise a Morandi di rivoluzionare la tradizione a stampa italiana. La tecnica che predilesse fu l’acquaforte ovvero una tecnica basata sull’incisione di lastra di rame dopo che questa viene immersa nell’acido nitrico. L’esempio più importante per il pittore bolognese fu Rembrandt, soprattutto per quanto riguarda la resa dei valori tonali come si evince in Natura morta con cestino di pane (1921) in cui gli oggetti sono modellati grazie agli effetti chiaroscurali del bulino (strumento incisorio). La Strada bianca del 1933 è una delle tante variazioni del paesino di Grizzana in cui la sovrapposizione dei segni definisce la strada. In generale si può affermare che il legame che unisce pittura e incisione è dato dalla ricerca tonale che in pittura viene risolta con le variazioni del colore mentre nell’incisione con la sovrapposizione di segni. L’incisione diventò, spesso, per Morandi come un momento che precede la pittura, di cui fu debitrice in modo particolare verso la fine degli anni Venti. Del 1934 è l’opera Paesaggio di Roffeno, località di villeggiatura dell’artista. La tela presenta una casa al centro circondata dalla vegetazione circostante e all’orizzonte vediamo alcune montagne. La vegetazione è realizzata con una campitura uniforme e ben stesa mentre la grande casa si presenta in tutta la sua volumetria. La tela è dominata dal verde degli alberi che incornicia il bianco e rosso dell’edificio. Paesaggi e nature morte divennero la cifra stilistica dell’artista: molte infatti sono le tele che le rappresentano e questo è dovuto al fatto che Morandi non voleva “distrarsi”. In altre parole, raffigurando i soliti soggetti il pittore poté sviluppare una ricerca artistica volta alla loro rappresentazione così come l’occhio le percepisce. Depurando i soggetti da ogni futile decorazione li analizzò in ogni minima variazione di colore o spazio. Nella Natura morta del 1960 il colore non è più compatto, ed è sempre la variazione di colore a mostrarci che dietro il soggetto ci sono un tavolo e un muro. Una delle ultime opere di Morandi fu Cortile di via Fondazza (1956) la casa di Bologna, oggi divenuta Casa Morandi, che il pittore adibì a casa-studio. La veduta è realizzata con colori chiarissimi e caldi sovrapposti da pennellate pastose e ben amalgamate. La facciata della casa sinistra diventa quasi un piano astratto, mentre la parte destra è dominata dai volumi della case definiti da un leggero chiaroscuro. La meditazione espressa nelle sue opere, il gesto analitico, la ricerca dell’equilibrio quasi perfetto furono tutti elementi che resero Giorgio Morandi uno degli artisti più originali ed indipendenti del suo periodo.
Giorgio Morandi, Cortile di via Fondazza (1956; olio su tela, 43 x 48 cm; Milano, Galleria d’Arte Moderna) |
Il Museo Morandi a Bologna è la più importante collezione pubblica dedicata al pittore. Il museo nacque in seguito ad una generosa donazione da parte della sorella Teresa Maria Morandi. Fino al 2012 la sede del museo era a Palazzo d’Accursio, poi venne traferita al MAMbo di Bologna, in cui è possibile vedere anche alcune sue incisioni oltre alle nature morte e paesaggi.
Alla Galleria Nazionale d’arte moderna e contemporanea di Roma sono conservati alcuni paesaggi, tra cui Paese (1936), e una Natura morta (1946). Una parte della collezione Vitali (tre paesaggi e due nature morte) è conservata alla Pinacoteca di Brera a Milano. Sempre nella città lombarda, ma al Museo dei Novecento, che ha anche dedicato un’intera sala alle opere del pittore bolognese, si può ammirare la sua opera più emblematica del periodo “metafisico”: Natura morta con manichino (1919). Altre opere sono conservate alla Galleria civica d’arte moderna e contemporanea di Torino e a Museo del Novecento di Firenze, dove Paesaggio (1936) e Natura morta (1932-35) fanno parte della raccolta Alberto della Ragione. Anche a Venezia presso la Galleria Internazionale d’arte moderna Ca’ Pesaro sono conservate alcune opere di Giorgio Morandi.
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