Francis Bacon (Dublino, 1909 – Madrid, 1992), pittore irlandese tra i maggiori del secondo Novecento, è un esempio lampante di artista la cui vicenda personale è strettamente legata alla sua opera, in quanto utilizzava la pittura come fosse un mezzo per esprimere le sue inquietudini. Nonostante un temperamento estroverso e dedito a divertimenti ed amicizie, Bacon serbava dentro di sé sentimenti cupi e contrastanti, a causa delle difficoltà vissute nella sua infanzia ed adolescenza. I suoi dipinti sono, infatti, caratterizzati da immagini volutamente disturbanti ed inquietanti, in cui la figura umana è distorta oppure rappresentata come antropomorfa, spesso nell’atto di urlare, ed è collocata in stanze spoglie e solitarie.
Negli ultimi anni di vita, nonostante molti lutti dolorosi, Bacon prende coscienza della necessità di vivere con maggiore leggerezza ed introduce tinte più tenue nelle sue opere che continuò a realizzare fino a tarda età. Aveva un rapporto viscerale con l’arte, che lo portava a distruggere le sue stesse opere quando ritenute non meritevoli o ad impedirgli di vedere dal vivo opere di altri pittori che lui amava profondamente. Come il Ritratto di Papa Innocenzo X di Diego Velázquez, il dipinto su cui ha realizzato una rielaborazione che è una delle opere per cui è ancora maggiormente conosciuto e che non volle ammirare fino a quando non fu anziano.
Francis Bacon nacque a Dublino il 28 ottobre 1909. L’infanzia e la giovinezza di Bacon presso la sua famiglia non furono molto semplici. Sia il padre Anthony Edward Mortimer Bacon che la madre Christina Winifred Loxley Firth provenivano da famiglie piuttosto facoltose, probabilmente il padre aveva anche un legame di parentela con il filosofo secentesco Francis Bacon (oppure Francesco Bacone, come è conosciuto in Italia). Tuttavia il padre, veterano di guerra, aveva un carattere piuttosto iracondo ed entrò più volte in contrasto con il figlio. Da piccolo, Bacon soffriva di asma cronica (ereditata dal nonno materno) e spesso doveva restare a riposo, pertanto le sue attività sociali e scolastiche erano limitate e agli occhi del padre, che conduceva uno stile di vita molto attivo, questa limitazione lo faceva apparire come debole.
Dopo lo scoppio della prima guerra mondiale Bacon e la famiglia si trasferirono da Dublino a Londra, e il giovane artista iniziò a frequentare le lezioni nella Dean Close School di Cheltenham. Questi furono gli anni in cui prese consapevolezza sia di voler diventare un artista che di essere omosessuale. Entrambe le convinzioni diventarono altrettanti punti di contrasto con il padre, che esasperato dai continui litigi intimò infine al figlio di lasciare la loro casa, nel 1926. Bacon si rivolse allora ad alcuni parenti della madre per poter vivere, ed iniziò a svolgere diversi lavori. Una grande città come Londra gli offrì diverse possibilità di entrare in contatto con ambienti artistici e culturali molto aperti e variegati, tuttavia in Gran Bretagna era in vigore una legge che perseguiva l’omosessualità come reato, e Bacon viveva questa condizione in un eterno bilico tra l’emarginazione che subiva ogni giorno e l’orgoglio, che mostrava spesso con disinvoltura.
L’anno successivo, nel 1927, si trasferì a Parigi e vi rimase per un anno e mezzo. Prese a frequentare diversi musei e rimase colpito dal dipinto Strage degli innocenti di Nicolas Poussin, in particolare rimasero impresse nella sua mente le espressioni sofferenti delle figure rappresentate. Restò poi affascinato ancora di più da una mostra dedicata a Pablo Picasso alla Galleria Paul Rosenberg, che tornò a visitare molto spesso cimentandosi ogni volta in disegni ed acquerelli ispirati al Cubismo e maturando definitivamente l’idea di diventare pittore.
Una volta tornato a Londra nel 1928, iniziò a lavorare come interior designer e grazie al suo lavoro riuscì ad allargare la sua rete di contatti, incontrando, tra gli altri, Douglas Cooper, uno dei più rinomati collezionisti britannici di arte moderna ed Eric Hall, in seguito suo amante e protettore. Decise di allestire la sua prima mostra personale verso la fine del 1929, in cui espose dipinti ed opere fatte di stracci e mobili di vario genere riuscendo a vendere alcuni dei dipinti e ad ottenere alcune commissioni. Nell’agosto del 1930 venne, poi, pubblicato sul magazine The Studio un articolo di due pagine intitolato The 1930 Look in British Decoration in cui vennero mostrate alcune fotografie dei suoi lavori, tra cui uno specchio tondo, stracci e mobilia in acciaio tubolare e vetro.Trascorse un periodo in Germania e tornato nuovamente a Londra si stabilì insieme ad Eric Hall in quello che un tempo era stata la casa-studio di John Everett Millais, situata nei pressi del Victoria and Albert Museum. In questo museo, Bacon ammirò le opere di John Constable e le fotografie di Eadweard Muybridge.
Con il passare degli anni, Bacon assimilò tutte le novità che aveva avuto modo di vedere a Parigi e a Berlino, e oltre al cubismo iniziò a muoversi anche nel Surrealismo. Nel 1936 inviò alcuni dipinti alla Mostra internazionale del Surrealismo, tuttavia questi vennero rifiutati in quanto definiti troppo poco aderenti alla corrente. Questo episodio causò una forte delusione in Bacon, che smise di dipingere per un periodo e nel 1944 arrivò a distruggere tutti i suoi lavori precedenti, salvandone solo uno, il celebre Crucifixion. Solo un anno più tardi, nel 1945, una nuova partecipazione di Bacon alla Lefevre Gallery di Londra con il trittico Three Studies for Figures at the Base of Crucifixion cambiò le sorti del successo dell’artista, che iniziò ad essere molto richiesto da grandi gallerie e musei. Instaurò una collaborazione continuativa con la galleria Hanover Gallery a Londra, dove allestì numerose mostre personali.
La consacrazione arrivò anche a livello internazionale, rappresentando l’Inghilterra alla Biennale di Venezia e partecipando con le sue opere a diverse mostre in Europa e negli Stati Uniti. Il temperamento estroso di Bacon, ad ogni modo, lo pose in una situazione di debito nei confronti della Hanover Gallery, realizzando poche opere e spendendo molto al di sopra delle sue possibilità per mantenere il suo tenore di vita da sempre dedito a divertimenti (gioco d’azzardo ed alcolici, in particolare), che condivideva con numerosi amici. Nel 1958 si concretizzò fortunatamente per l’artista una nuova opportunità di collaborazione con la galleria Marlborough Fine Arts, che si offrì di sanare i debiti con la Hanover e di redigere un nuovo contratto con l’artista. La Marlborough organizzò molte mostre di successo lasciando il pittore piuttosto libero di esprimersi. Il primo catalogo ragionato delle opere dell’autore irlandese è stato redatto nel 1964, e comprendeva circa duecento opere realizzate a partire dal 1944, con una media dunque di meno di un dipinto al mese. Due episodi personali condizionarono profondamente Bacon come artista, ovvero le morti improvvise dell’amico Peter Lacy nel 1962 e poi quella dell’amante George Dyer, nel 1971. Entrambi gli eventi nefasti avvennero in corrispondenza di successi internazionali della sua carriera, e Bacon reagì intervenendo su alcuni modi della sua pittura, ad esempio utilizzando colori più tenui. Continuò a lavorare ininterrottamente fino all’ultimo. Morì il 28 aprile 1992, ad ottantadue anni, a Madrid, dove si era recato per un viaggio, a causa di una polmonite aggravata dalla sua asma cronica.
Bacon è stato un artista attentissimo alla qualità delle sue opere, in maniera anche maniacale. Analizzava severamente i risultati prodotti ed arrivò a distruggere i suoi lavori quando venivano rifiutati, oppure quando riteneva che non fossero all’altezza. Questa indole dimostrava un rapporto viscerale che si era creato tra l’artista e il mezzo artistico, che per lui era un modo per esprimere l’esistenzialismo che serbava dentro di sé a causa della vita non facile che ha vissuto e che nella vita di tutti i giorni celava dietro il suo carattere esuberante e un modo di vivere molto estroverso. Dipingeva riproponendo spesso alcuni dettagli e soluzioni, in quanto dichiarò di “vedere le immagini in serie”, per cui realizzandone una, ne visualizzava immediatamente un’altra a questa collegata. Da questa convinzione hanno origine dettagli ricorrenti della sua pittura come la figura umana, presentata con lineamenti deformati nell’atto di urlare disperatamente e per questo lontana equamente dal figurativismo e dal cubismo; le stanze vuote in cui sono posti i personaggi; la predilezione per colori cupi; il formato del dittico o del trittico; le serie di medesimi soggetti riproposti per lungo tempo.
Le opere che risalgono a prima degli anni Quaranta, come si è già anticipato, sono state distrutte dallo stesso autore, mentre la sua produzione successiva è limitata nella quantità, ma risulta costantemente elevata dal punto di vista qualitativo. L’unica opera della prima fase produttiva di Bacon a noi rimasta è Crucifixion (1933), un dipinto ad olio in bianco e nero. La figura principale è chiusa in una stanza, dettaglio riconoscibile da una linea posta in basso a sinistra che rappresenta il punto di incontro tra la parete e il pavimento, ed il suo corpo è decisamente stilizzato. Tutti i dettagli della scena vengono solo suggeriti, ovvero la figura è disegnata con le braccia aperte, simboleggiando la crocifissione, senza tuttavia vedere effettivamente rappresentata la croce, inoltre sembrerebbe che il petto sia aperto, ricordando la carne degli animali appesa per la macellazione così come veniva raffigurata in alcune nature morte del 1600. Il tono generale dell’opera è surreale, cupo e volutamente disturbante.
L’opera successiva di Bacon è datata a dieci anni dopo, quando riprende a dipingere. Si tratta di un trittico dal titolo Three Studies for Figures at the Base of a Crucifixion (1944), in cui sono dipinte tre figure antropomorfe su sfondi colorati di un arancione acceso. Le figure ricordano molto le Furie, o Erinni, personaggi tratti dalla tragedia greca di Eschilo Orestea. Queste erano le personificazioni della vendetta, in forma di tre sorelle alate sempre rappresentate nell’atto di urlare terribilmente, recanti in mano torce o tizzoni ardenti per colpire le proprie vittime e con serpenti al posto dei capelli. In ognuna delle tele che compongono il trittico è protagonista una figura antropomorfa: a sinistra è ritratta seduta su una sedia, con vestiti, spalle e testa che ricordano una donna, mentre tutto è il resto è più simile ad un rapace; la figura al centro invece è effettivamente un volatile dal collo lungo appoggiato su uno sgabello, che si protende verso il basso con il becco aperto; mentre l’ultima figura è presentata in una posa all’indietro decisamente innaturale, mentre sta urlando. Nella tragedia greca, le Erinni sono direttamente connesse alle vicende di Agamennone e Clitemnestra, ma Bacon non intende rappresentare episodi particolari della narrazione. Allo stesso tempo, il reale significato dell’opera non è stato rivelato. Potrebbe sia essere una rielaborazione del Cristo e i tre ladroni, così come essere tre figure che dovevano essere alla base di un crocifisso, come lo stesso titolo suggerirebbe. Il trittico venne accolto trionfalmente e contribuì ad accrescere la fama di Bacon come uno dei più importanti artisti contemporanei dell’epoca. Bacon stesso lo riconobbe come uno dei suoi lavori più maturi.
Il tema della crocifissione ricorre frequentemente in Bacon, infatti nel 1962 in occasione di una retrospettiva su di lui organizzata dalla Tate Gallery di Londra realizza un altro trittico con un titolo simile, Three Studies for a Crucifixion, ma con figure di diverso tipo, più umane. Rielabora poi l’opera nel 1988 in una seconda versione grande il doppio, e con uno sfondo che diventa rosso, simile al colore del sangue. Poco dopo, Bacon dipinge Painting (1946), un’opera in cui i riferimenti alle opere del passato diventano evidenti. Si possono individuare alcuni elementi ripresi da L’adorazione del vitello d’oro di Nicolas Poussin, che Bacon doveva aver visto in una mostra l’anno precedente. Due in particolare gli elementi in comune, ovvero il vitello che nell’opera di Bacon compare macellato invece che vivo, e l’ombrello che sembra ricordare la struttura circolare simile ad una tenda che è presente nell’opera di Poussin.
Alla fine degli anni Quaranta è datata la prima serie di opere dal titolo Head I (1948). In questo, che è il primo di sei dipinti, è presente una testa scomposta, a formare un agglomerato informe in cui si riconoscono solo alcuni dettagli, come la mascella, la bocca aperta scomposta in un grido, i denti e un orecchio. La testa è adagiata su un letto di cui è riconoscibile solo la testiera, all’interno di una stanza rappresentata come di consueto da due linee incrociate in alto a rappresentare l’angolo formato da due pareti. Per la prima volta compare il colore dorato, che sarà poi caratteristico dei lavori degli anni Cinquanta. Le sei Heads vennero tutte realizzate in un anno, in vista della mostra in programma nel 1949 alla Hanover Gallery di Londra.
Un’altra serie molto famosa che è tuttora tra le produzioni più celebri del pittore, è quella dedicata ai papi. Nella scelta del tema non vi era nessun intento di giudizio nei confronti del papato o della chiesa cattolica, bensì Bacon provava un’ammirazione sconfinata per il dipinto di Diego Velázquez Ritratto di papa Innocenzo X e si cimentò in una sua rielaborazione personale, arrivando a realizzarne 25 versioni tra il 1949 e il 1956. L’artista riteneva quest’opera un capolavoro talmente inarrivabile da non riuscire nemmeno ad entrare nella Galleria Doria Pamphilj di Roma per vederlo dal vivo durante un soggiorno nella capitale. Ci riuscì solo in tarda età, in occasione di una mostra dedicata a Velázquez a Madrid. Ne ammirava in particolare il realismo e la resa psicologica. La prima opera su questo tema era datata al 1950, ma rimase nascosta fino al 1990. Bacon aveva iniziato a lavorarci in vista di una mostra, sempre alla Hanover Gallery, ma non rimase soddisfatto dei risultati. La versione immediatamente successiva è datata 1953, Study after Velázquez’s Portrait of Pope Innocent X. La scena ha le caratteristiche di un incubo, in cui l’immagine che lo ha ispirato, ovvero il papa seduto su una sedia e vestito di porpora, viene distorta e il protagonista, da calmo e riflessivo quale era, urla in maniera scomposta mentre delle linee dorate sinili a sbarre di una prigione lo sovrastano e sembrano soffocarne le grida. Si tratta, inoltre, della prima opera in cui avviene un cambiamento nella gamma dei colori di Bacon, che si fa sempre più cupa.
Nelle opere datate agli anni Sessanta appare in maniera esplicita un interesse amoroso di Bacon. In generale, in questo periodo l’artista realizza diversi ritratti di amici e persone della sua cerchia di frequentazioni, e uno di questi è appunto il compagno George Dyer. L’opera più rilevante che lo rappresenta è Portrait of George Dyer Talking (1966), in cui l’uomo è ritratto in una stanza con pareti viola e pavimento rosso, seduto su una sedia girevole davanti ad una porta, o una finestra, che ne incornicia la testa. Sotto la sedia sono raffigurati diversi fogli di carta gettati in terra e al di sopra vi è una lampadina nuda, senza lampadario, ad accentuare il senso di disagio e solitudine. Il ritratto si avvicina di molto al cubismo, soprattutto nel volto del protagonista che sembra essere colto nell’atto di voltarsi rappresentandone i diversi momenti. Dyer sarà poi protagonista di due trittici che Bacon gli dedicò dopo la sua morte, Triptych–August 1972 e Triptych, May–June 1973 che insieme ad alcuni ritratti del volto dell’amato costituiscono la serie dei cosiddetti Black Triptych, i Trittici neri, per via degli sfondi molto scuri che accomunano la serie.
A metà degli anni Ottanta Bacon dipinge un altro trittico, in cui questa volta il protagonista è lui stesso. Study for a Self-Portrait—Triptych (1985-1986) è una delle ultime opere di Bacon, che dichiara di aver deciso di realizzare un autoritratto in quanto rimasto senza altri soggetti, essendo venuti a mancare molti amici e persone care. Il trittico riprende molti elementi caratteristici della pittura di Bacon, come la figura deformata al centro di una stanza spoglia, ma i colori diventano molto più tenui e chiari. Questo particolare si abbina ad un ragionamento profondo di Bacon in merito allo scorrere del tempo e la vecchiaia, che egli compie in un momento in cui riconosce l’esigenza di vivere una vita più semplice rispetto alla giovinezza.
Le opere di Bacon sono conservate in diversi musei internazionali, la maggior parte dei quali si trovano a Londra e negli Stati Uniti. Un dipinto importnte è presente anche in Irlanda del Nord: si tratta di Head II (1948), la seconda opera della serie Heads, custodito nell’Ulster Museum di Belfast.
A Londra è possibile visitare nella Tate Gallery Three Studies for Figures at the Base of a Crucifixion (1944), Figure in a landscape (1945), Triptych–August (1972), Second Version of Triptych 1944 (1988) e molti altri. Inoltre, nella galleria Marlborough Fine Art, è presente Study for a Self-Portrait—Triptych (1985-86). Anche nel Centre Pompidou di Parigi è presente un’opera di Bacon, ovvero Three Figures in a Room (1964).
Negli Stati Uniti, le opere di Bacon sono conservate nel MoMA - Museum of Modern Art di New York, nello specifico Painting (1946), Head I (1948), Three Studies for the Portrait of Henrietta Moraes (1963), Triptych 1991 e molti altri. Il celebre Study after Velázquez’s Portrait of Pope Innocent X (1953) è invece conservato nel Des Moines Art Center, Des Moines, nello stato dell’Iowa.
Diverse opere sono presenti nelle collezioni private, in quanto sono state oggetto di numerose vendite all’asta, e spesso vengono concesse in prestito per mostre dedicate all’artista. Tra le più famose si ricordano Crucifixion (1933) che fa parte della Murderme Collection dell’artista e collezionista Damien Hirst. La collezione in questione è stata oggetto di una mostra allestita in Italia presso la Pinacoteca Giovanni e Marella Agnelli di Torino nel 2013, occasione dunque per vedere molte opere di Bacon nel nostro paese.
In Italia sono comunque presenti due dipinti di Bacon, Man Eating a Leg of Chicken (1952) nella Collezione Maramotti di Reggio Emilia e Study for Chimpanzee (1958) nella Collezione Peggy Guggenheim di Venezia.
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