L’Espressionismo è una delle principali correnti artistiche dell’inizio del XX secolo ed ebbe come centro d’irradiazione la Germania negli anni precedenti la prima guerra mondiale, per concretizzarsi in diversi orientamenti e gruppi di artisti, anche austriaci, francesi e russi, accomunati da un uso libero e soggettivo del mezzo artistico. Già nell’ultimo decennio dell’Ottocento personalità come il francese Paul Gauguin, l’olandese Vincent van Gogh, il belga James Ensor, il norvegese Edvard Munch avevano trasformato in senso espressionistico i principi accademici e dell’Impressionismo, rivoluzionando la composizione canonica del quadro e impiegando il colore, non più solo in funzione della resa di fenomeni luminosi e atmosferici ma come strumento privilegiato per esprimere un’intensa carica emotiva personale.
La corrente espressionista si afferma verso il 1905-1911, contemporaneamente al Fauvismo e al Cubismo analitico francesi, condotta da gruppi di artisti come Die Brücke (“Il ponte”) e Der Blaue Reiter (“Il cavaliere azzurro”) nell’atmosfera di disagio e di turbamento che precedette la guerra. Gli epicentri del movimento furono alcune città tedesche quali Dresda, Monaco e Berlino, per diffondersi poi in Europa. Gli espressionisti tedeschi del gruppo Die Brücke, guidati da Ernst Ludwig Kirchner (Aschaffenburg, 1880 – Davos, 1938), Fritz Bleyl (Zwickau, 1880 – Bad Iburg, 1966), Erich Heckel (Döbeln, 1883 – Radolfzell am Bodensee, 1970) e Karl Schmidt-Rottluff (Rottluff, 1884 – Berlino, 1976), impiegarono un uso intenso del colore e delle linee in scene urbane e ritratti spesso grotteschi, mostrando sentimenti di alienazione dal mondo moderno. Mentre il Futurismo in Italia, negli stessi anni, guardava con fiducia alle conquiste tecniche della civiltà occidentale, gli espressionisti tedeschi si rivolsero soprattutto all’interiorità, alle angosce e alle speranze riguardo alla società del loro tempo.
L’Espressionismo dimostrò la necessita di indagare il lato interno e oscuro della coscienza ed espressività umana e di recuperare sentimenti che sembravano perduti di autenticità e spiritualità. Si affermerà infatti con i membri del Der Blaue Reiter, Vasilij Kandinskij (Mosca, 1866 – Neuilly-sur-Seine, 1944), Franz Marc (Monaco di Baviera, 1880 – Verdun, 1916), Gabriele Münter (Berlino, 1877 – Murnau am Staffelsee, 1962) e altri, una ricerca più misteriosa e spirituale che cercò di comunicare la vita immateriale dell’uomo, anti-naturalistica e anti-figurativa che condurrà fino all’Astrattismo.
Le radici della scuola espressionista tedesca affondano nelle opere di Gauguin, Van Gogh, Ensor e Munch, ognuno dei quali nel periodo compreso tra il 1885 e il 1900 sviluppò uno stile pittorico molto personale. Questi artisti avevano utilizzato le possibilità espressive per esplorare temi drammatici ed emotivi o semplicemente per celebrare la natura con intensità allucinatoria, e staccati dalla rappresentazione letterale della realtà, avevano affidato alla pittura le visioni e gli stati d’animo più soggettivi.
La principale ondata dell’Espressionismo si manifestò nel 1905, quando un gruppo di studenti tedeschi guidati da Ernst Ludwig Kirchner formò nella città di Dresda una libera associazione chiamata Die Brücke (“Il ponte”). Il gruppo includeva Fritz Bleyl, Erich Heckel e Karl Schmidt-Rottluff, artisti bohémien in rivolta contro la tradizione accademica che volevano infondere all’arte tedesca un nuovo vigore stilistico attraverso un’espressione altamente liberatoria e spontanea ma organizzata e condivisa. I primi membri di Die Brücke furono presto raggiunti dai tedeschi Max Pechstein (Zwickau, 1881 – Berlino, 1955) e Otto Müller (Liebau, 1874 – Breslavia, 1930) e dal danese Emil Nolde (Emil Hansen; Nolde, 1867 – Seebüll, 1956). Influenzati dai loro predecessori postimpressionisti, furono anche interessati alle sculture in legno africane e alle opere di artisti medievali e rinascimentali come Albrecht Dürer o Matthias Grünewald. Il loro stile pittorico infatti matura in anni in cui si trasformano i riferimenti culturali: l’intera Europa riscopre i “primitivi”, le arti di popoli lontani, Africa, Oceania, America settentrionale, Estremo Oriente, che soppiantano il classicismo eurocentrico. Ciò che volevano questi giovani artisti, polemici nei confronti della società contemporanea, era gettare un “ponte” tra passato e presente che unisse “tutti gli elementi rivoluzionari e di agitazione”. Il loro nome deriva da una citazione di Così parlò Zarathustra (1883-85) del filosofo tedesco Friedrich Nietzsche che affermava: “Ciò che è grande nell’uomo è che è un ponte e non un fine”.
Il 1906 è l’anno in cui mentre il Fauvisme trionfava a Parigi al Salon des Indépendants (Matisse vi espone La gioia di vivere), dimostrando interesse comune per l’uso intenso e appassionato del colore, contemporaneamente a Dresda furono riunite ed esposte per la prima volta opere del gruppo Die Br?cke nella fabbrica di lampadari di Karl-Max Seifert. Occasione in cui furono chiarite le premesse ideologiche del movimento nel volantino-manifesto realizzato da Kirchner con la tecnica della xilografia, che accompagnava la mostra e che riassumeva la loro rottura in favore di un’estetica più libera e orientata ai giovani. “Con fede nell’evoluzione, in una nuova generazione di creatori e intenditori”, affermava il manifesto, “chiamiamo insieme tutti i giovani. E come giovani, che incarnano il futuro, vogliamo liberare le nostre vite e le nostre membra dai poteri più antichi e consolidati. Chiunque renda il suo impulso creativo direttamente e sinceramente è uno di noi”. Pur senza un programma vincolante, Die Brücke volle essere dunque un’unione di forze che combatterono contro lo stagnare dell’arte in nome della libertà creativa dell’artista.
Rispetto ai Fauves, i tedeschi si differenziarono per una maggiore angoscia esistenziale e spirito critico nei confronti della società. Gli artisti di Dresda usarono forme distorte e colori stridenti e innaturali, seguendo un’estetica dell’arte tedesca medievale da cui recuperarono tecniche grafiche, appunto, come la xilografia. Il loro elemento stilistico fondamentale fu l’abbandono della ricerca della tridimensionalità, falso spazio e falso volume rispetto all’esperienza emozionale diretta che suscitava il mondo. Dal 1907 al 1911 il gruppo trascorse gran parte del tempo a Dresda, organizzando mostre e utilizzando lo studio di Kirchner come ritrovo, fino a sciogliersi nel 1913 a causa delle divergenze artistiche sorte tra i componenti e soprattutto in seguito al trasferimento di alcuni di loro a Berlino, avvenuto nel 1911. Die Brücke nel giro di pochissimi anni era diventato popolare tra i giovani artisti, tanto da ispirare altri gruppi e movimenti d’avanguardia. Proprio nel 1911 nel frattempo a Monaco si formò il gruppo Der Blaue Reiter (“Il cavaliere azzurro”), da una scissione di alcuni soci della Neue Künstlervereinigung München (Nuova associazione degli artisti). L’evento scatenante fu il rifiuto da una mostra del dipinto Il giudizio universale (1910) realizzato da uno di loro, Vasilij Kandinskij.
Oltre al russo Kandinskij, la cui trainante personalità era orientata verso la ricerca di puri ritmi di forme e colori come espressioni di stati d’animo, il gruppo comprendeva, i tedeschi Franz Marc, Gabriele Münter, August Macke (Meschede, 1887 – Perthes-lès-Hurlus, 1914), i russi Alexej von Jawlenskij (Toržok, 1864 – Wiesbaden, 1941) e Marianne von Werefkin (Tula, 1860 – Ascona, 1938), e tra gli altri lo svizzero Paul Klee (Münchenbuchsee, 1879 – Muralto, 1940). Questo internazionalismo portò il gruppo a organizzare diverse mostre itineranti, rendendoli una forza indispensabile nella promozione della pittura delle prime avanguardie. Il gruppo condivise un’inclinazione verso l’astrazione, il contenuto simbolico e l’allusione spirituale, cercando di esprimere gli aspetti emotivi, attraverso rappresentazioni strutturate dai colori vivaci. Il loro nome deriva da un’opera di Kandinskij del 1903 con un cavaliere a cavallo e da I cavalli azzurri dipinti da Marc nel 1911, motivo ricorrente nelle loro opere che simboleggiava il passaggio dalla realtà tangibile al regno spirituale e che fungeva quindi da metafora della pratica artistica. Anche per gli altri membri, questa idea dell’arte pittorica divenne centrale per superare la rappresentazione realistica e approfondire l’astrazione. Sebbene Der Blaue Reiter non abbia avuto un vero manifesto, gli artisti del gruppo produssero un Almanacco, Der Blaue Reiter Almanach, che venne pubblicato agli inizi del 1912, e che comprese oltre 140 opere d’arte, tra le quali anche di Van Gogh, Cézanne e Gauguin, con 14 articoli e saggi teorici. Il gruppo fu unito nelle innovazioni estetiche, influenzate, anche per loro come per gli artisti del Die Brücke, dalle forme d’arte medievali e primitiviste, dal Fauvismo e dal Cubismo di quel tempo. Tuttavia, con lo scoppio della prima guerra mondiale nel 1914 Marc e Macke furono arruolati nel servizio militare tedesco e uccisi poco dopo, e i membri russi del gruppo, Kandinskij tra gli altri, furono tutti costretti a rimpatriare. Der Blaue Reiter si sciolse subito dopo.
L’elasticità della corrente dell’Espressionismo ha fatto sì che molti artisti oltre i confini della Germania siano stati identificati come espressionisti, pur considerando che i gruppi tedeschi non si riferirono mai a se stessi come tali e che, nei primi anni del secolo, il termine era ampiamente usato per una varietà di stili. Artisti austriaci come Oskar Kokoschka ed Egon Schiele furono ispirati dall’Espressionismo tedesco, sebbene indipendenti da un gruppo organizzato. Entrambi cercarono di esprimere la decadenza dell’Austria moderna attraverso rappresentazioni altrettanto espressive del corpo umano, con linee sinuose, colori carichi e figure distorte, interpretando la corrente stilistica ognuno individualmente. Così come in Francia, Georges Rouault, noto per la sua espressione a colori intensi e pesanti strati di pittura, il russo-francese Marc Chagall che nel 1914 espose a Berlino creando un impatto sugli espressionisti tedeschi, Chaim Soutine, russo a Parigi, che fu uno dei principali sostenitori dello sviluppo dell’espressionismo parigino.
Dopo la prima guerra mondiale però l’Espressionismo cominciò a perdere slancio e a frammentarsi, per quanto gli esiti stilistici siano perdurati anche nel periodo fra le due guerre, particolarmente in Germania, dove si fece più acuta la crisi politica e sociale. Quando, nel 1933, Hitler conquistò il potere, sue vittime, insieme a tanti milioni di uomini, furono anche i pittori espressionisti, tedeschi e stranieri, per la loro carica di ribellione alle leggi borghesi, restrittive dell’autonomia dell’artista. La loro arte fu considerata “degenerata”, loro stessi trattati da “degenerati”, le loro opere ritirate da musei e collezioni. Nel frattempo andava affermandosi la corrente Neue Sachlichkeit (Nuova oggettività) che si sviluppò come risposta diretta ai principi fortemente emotivi dell’Espressionismo. Ma la tendenza battezzata dai tedeschi di inizio secolo, legata alle qualità spontanee, istintive e altamente emotive di ogni artista, tornerà a manifestarsi molto più tardi nel XX secolo con l’Espressionismo astratto e il Neoespressionismo.
Si devono considerare due facce dell’Espressionismo tedesco. Il gruppo Die Brücke, operante prima a Dresda e poi a Berlino fu una delle prime influenze per gli artisti di Monaco Der Blaue Reiter, pur tuttavia, i rappresentanti dei due gruppi perseguirono obiettivi piuttosto diversi. Riconoscendo l’importanza del colore audace introdotto dai Fauves francesi, gli artisti di Die Brücke utilizzarono cromie intense e marcate per accrescere l’espressività delle loro figure semplificate. Ma per Kandinskij e i suoi, quegli stessi colori dovevano superare la rappresentazione e avere una risonanza più alta nell’animo umano. E sebbene anche Der Blaue Reiter fosse nato dalla stessa alienazione dal mondo moderno che aveva mosso profondamente i Die Brücke, la risposta non fu affrontare quel sentimento attraverso rappresentazioni inquietanti di un’esperienza traumatica, ma tentare di trascenderlo attraverso mezzi artistici astratti. Entrambi i gruppi avevano trovato ispirazione nelle forme d’arte primitive, ma gli uni introdussero un certo livello di cruda e angosciosa espressività, gli altri la soppiantarono con più armoniose composizioni di colori e forme non oggettive.
I Die Brücke si avvalsero sin dall’inizio di tutta una serie di risorse stilistiche: la bidimensionalità, l’uso di colori violenti e di contorni, l’immediatezza “gestuale” del segno e della pennellata; svilupparono in somma presto uno stile riconoscibile per l’asprezza, audacia e intensità visiva. Le opere presentano scene di strada, paesaggi naturali e ritratti di soggetti contemporanei, in atmosfere cariche e instabili. Immagini provocatorie della società moderna con modelle prostitute e altri personaggi, abitanti delle città alienati dall’esperienza della vita urbana.
Tra le opere di spicco della corrente Die Brücke, quelle del capofila Kirchner comprendono tutti questi motivi: da Marzella (1910) in cui l’artista ritrae un solitario giovane corpo nudo, rappresentato senza compiacimenti edonistici e costretto in una marcata linea di contorno drammatica, a Scena di strada berlinese (1913), in cui due prostitute con facce simili a maschere dominano il centro della strada tra uomini indistinguibili. La prima opera con larghe stesure di colori giustapposte alle forme sintetizzate del corpo, dove la realtà è presente e riconoscibile, non però nella sua apparenza, ma letta dall’artista, penetrata al di là di ciò che l’occhio comune vede: la rappresentazione di una modella adolescente già conscia della tragedia del mondo. La seconda, parte di una serie di scene di strada berlinesi, in cui i contorni e le forme quasi si confondono sottolineando la commistione cittadina tra le persone e le merci in una Berlino in cui, diventata metropoli, si poteva comprare qualsiasi cosa, compresa la disponibilità di quelle prostitute, in mezzo a una folla cittadina sempre crescente e sempre più anonima.
Diffusamente molte delle opere degli esponenti del Die Brücke esprimevano irrequietezza, e in generale una sorta di frenetica intensità di sentimento in risposta alle possibilità e contraddizioni della modernità. Le qualità formali della loro arte furono indubbiamente condizionate dal vivere cittadino, ma anche dai loro frequenti viaggi extra-urbani tra i laghi e le foreste della Germania. Dipinsero numerosi nudi, abbracciando il naturismo, la filosofia della nudità sociale introdotta dai circoli intellettuali tedeschi verso la fine dell’Ottocento, come parte del loro radicale rifiuto delle norme sociali borghesi. Corpi scabrosi in interni domestici cittadini e nella natura. Uno dei loro contributi più originali fu la reintroduzione della xilografia, che consentì una violenza al loro linguaggio volutamente ribelle. Attraverso la netta contrapposizione di bianchi e di neri in forme compatte e semplificate, fu uno dei mezzi espressivi più efficaci e usati, di cui un esempio eccellente tra gli altri se ne ha nelle Bagnanti di Otto Müller del 1912.
Le opere dei Der Blaue Reiter costiturono invece la controparte astratta dello stile figurativo distorto dei Die Brücke. Per quanto avessero attenzione per il primitivismo e la pratica della xilografia (Franz Marc, La mucca gialla, 1911; Copertina di Der Blaue Reiter Almanach, 1911-1912), l’innovazione della loro pittura fu nell’idea che i colori e le forme portassero a un contatto con valori spirituali. Lo si intende già dall’aggettivo “azzurro” che si riferiva alla convinzione di Kandinskij e Marc che il blu con le sue sfumature fosse il colore che più simboleggia la capacità di andare oltre la condizione terrena.
Impiegarono colori non naturalistici, come per Die Brücke, ma con effetti decisamente più lirici ed evocativi, interpretando le forme ognuno col proprio sguardo, come ribellione soggettiva alla realtà. Un primo esempio totale è nell’opera di Kandinskij, la Chiesa a Murnau del 1909, che sembrerebbe esprimere un sentimento dominante di mistero e silenzio, alludendo alla chiesa di Murnau in Baviera ma non descrivendone propriamente i particolari. Quando nel 1910 Kandinskij scrisse il trattato Lo spirituale nell’arte, pubblicato alla fine del 1911 tradotto dall’originale tedesco in francese e inglese, si consolidò come teorico rivoluzionario dell’arte. Per Kandinskij, l’artista moderno aveva la missione di condurre il suo spettatore alla trascendenza spirituale attraverso la sua espressione astratta, o non oggettiva, costruita sulla conoscenza dell’effetto dell’opera non solo sull’occhio ma sull’anima, un principio che chiamava “necessità interiore”. Il suggerimento più determinante di Kandinskij fu di svelare le connessioni tra componenti visive ed elementi extra visivi privi di una manifestazione tangibile o figurativa, come l’emozione, il pensiero, astratti per eccellenza.
Nella ricerca di un linguaggio che esprimesse il loro approccio astratto, gli artisti del gruppo condotti da Kandinskij tracciarono parallelismi tra pittura e musica, spesso intitolando le loro opere “composizioni”, “improvvisazioni” e “studi”, tratti dalla terminologia musicale, esplorando la sinestesia, come associazione tra i sensi nella percezione del colore, del suono e di altri stimoli. Realizzata durante l’esperienza con Der Blaue Reiter, l’opera Composizione VII (1913) è ampiamente considerata uno dei massimi capolavori di Kandinskij. Il suo dipinto a olio su tela più grande, di due metri per tre, che presenta un insieme di colori e forme che non compongono immagini immediatamente riconoscibili ma profondamente evocative. Il pittore definiva le sue astrazioni pittoriche come “visioni interiori” simili per forma e struttura a una sinfonia.
Tra gli altri anche l’artista Paul Klee, musicista e disegnatore sperimentale, dette inizio a una rivoluzionaria esplorazione coloristica nel suo periodo in Der Blaue Reiter. Ispirato dagli scritti di Kandinskij, andò oltre i suoi primi lavori in bianco e nero e si dedicò a un intenso studio del colore e dell’astrazione (Nello stile di Kairouan, 1914) che lo rese un membro centrale del gruppo. Mentre alcuni artisti dopo queste esperienze rifiutarono l’Espressionismo, altri avrebbero continuato ad espanderne le innovazioni stilistiche.
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