Donatello (Donato di Niccolò di Betto Bardi; Firenze, 1386 - 1466), uno dei più grandi scultori di tutti i tempi, è considerato l’artista che ha dato il via al Rinascimento in scultura. Fiorentino, formatosi presso la bottega di Lorenzo Ghiberti, amico di Filippo Brunelleschi e grande appassionato di arte classica, propose opere d’arte rivoluzionarie, dotate di una espressività senza precedenti, sempre originali e sempre diverse, tanto che è molto difficile riassumere in poco spazio tutti gli esiti della sua arte. Donatello ha saputo studiare l’uomo sia nel suo aspetto fisico che nel suo aspetto interiore, cogliendo in pieno l’essenza del Rinascimento.
Lo scultore fiorentino ebbe una vita molto lunga, così che la sua arte poté attraversare diverse fasi, sempre all’insegna della continua innovazione, della sperimentazione di nuove forme, della riscoperta della natura e dell’antico, con opere il cui stile conosce spesso mutazioni ma sempre nel solco delle ricerche sperimentali che contraddistinsero l’estro di questo grande artista. Per quasi tutta la sua carriera lavorò a Firenze, ma il suo soggiorno a Padova, dal 1443 al 1454, fu decisivo in quanto permise alle novità rinascimentali di diffondersi anche nell’Italia del nord. Il grande storiografo Giorgio Vasari, nelle sue Vite, riconobbe il valore di Donatello, definendolo “scultore rarissimo e statuario maraviglioso”. “Ebbono l’opere sue tanta grazia, disegno e bontà”, scrisse Vasari, “ch’oltre furono tenute più simili all’eccellenti opere degl’antichi Greci e Romani, che quelle di qualunche altro fusse già mai; onde a gran ragione se gli dà grado del primo che mettesse in buono uso l’invenzione delle storie ne’ bassi rilievi”.
Molte le innovazioni che Donatello introdusse con la sua opera: la tecnica dello stiacciato rivoluzionava la concezione dello spazio nei rilievi, i suoi personaggi raggiungevano gradi di finezza psicologica e fisiognomica che non s’erano mai visti prima (l’arte di Donatello in tal senso è riflesso della riscoperta dell’uomo che caratterizzò il Quattrocento), con il monumento al Gattamelata seppe dar vita a un nuovo modo per celebrare la gloria, e con le ultime opere fu anche interprete di quel senso “tragico” del Rinascimento sottolineato spesso da molti storici e filosofi.
Donato di Niccolò di Betto Bardi, detto “Donatello” per via della sua corporatura esile ma anche per la sua eleganza, nasce a Firenze da Niccolò di Betto Bardi, modesto cardatore di lana (la famiglia non era imparentata con l’omonima dinastia di banchieri) e Orsa. Secondo Giorgio Vasari, Donatello viene educato nella casa di Roberto Martelli, ma la prima menzione che lo riguarda risale al 1401, quando viene citato a Pistoia per aver picchiato un tedesco (è l’unico fatto violento che lo riguarda, al quale sarebbe poi seguita una condanna: i biografi sono comunque tutti concordi sul fatto che fosse di temperamento salace e focoso). Nel 1403 compie un viaggio a Roma insieme a Filippo Brunelleschi, di cui era nel frattempo diventato amico, per studiare l’antichità classica. Nel 1405 lavora come collaboratore di Lorenzo Ghiberti nel cantiere della Porta Nord del Battistero di Firenze.
Nel 1408 esegue la sua prima opera, il David in marmo oggi conservato al Museo Nazionale del Bargello di Firenze, commissionatogli dall’Opera del Duomo di Firenze. Sempre per il Duomo di Firenze, nello stesso anno gli viene commissionato il San Giovanni Evangelista . Attorno al 1416 realizza il San Giorgio per la chiesa di Orsanmichele, e nello stesso anno inizia a lavorare alle statue per il campanile del Duomo (il Profeta imberbe, il Profeta pensieroso, il Sacrificio di Isacco, l’Abacuc e il Geremia). Risale invece al 1418-1420 il Marzocco di piazza della Signoria, simbolo della Repubblica fiorentina, oggi conservato al Museo Nazionale del Bargello, eseguito in pietra serena. Nel 1422 comincia a lavorare al San Ludovico per la chiesa di Orsanmichele: si tratta della sua prima opera in bronzo, che verrà terminata nel 1425. Proprio nel 1425, Donatello apre una bottega insieme al grande architetto Michelozzo: la collaborazione tra i due artisti finirà nel 1433, e i due assieme realizzeranno capolavori come il monumento funebre del cardinale Rainaldo Brancaccio nella chiesa di Sant’Angelo a Nilo di Napoli (leggi qui un approfondimento) e il pulpito del Duomo di Prato (leggi qui un approfondimento). Nel 1427 Donatello realizza il Banchetto di Erode, formella per il Fonte Battesimale del Battistero di Siena che era stata inizialmente assegnata a Jacopo della Quercia: l’incarico viene poi affidato a Donatello a causa dei continui ritardi dello scultore senese.
L’artista compie un nuovo viaggio a Roma nel 1433, questa volta insieme a Michelozzo, ed esegue alcuni lavori nella capitale dello Stato Pontificio. Nel 1435 Donatello è di nuovo a Firenze dove lavora alla Sagrestia Vecchia di San Lorenzo: l’opera lo terrà occupato fino al 1443. In questi anni si colloca peraltro la realizzazione del celeberrimo David di bronzo, oggi al Museo del Bargello, forse commissionato da Cosimo il Vecchio. Proprio nel 1443 viene chiamato a Padova per eseguire il monumento a Erasmo da Narni, detto il Gattamelata: si tratterrà nella città veneta per dieci anni e lavorerà per altri importanti incarichi. Tra questi, l’Altare del Santo nella Basilica di Sant’Antonio, a cui l’artista comincia a lavorare nel 1466 (l’opera sarà terminata nel 1450). Nel 1450 compie alcuni soggiorni a Mantova, Ferrara e Modena. Nel 1453 termina il monumento equestre al Gattamelata e compie il suo ritorno a Firenze. Nel 1455 realizza la Maddalena per il Battistero di Firenze (leggi qui un approfondimento sull’opera). Nello stesso anno si occupa della Giuditta e Oloferne di Palazzo Vecchio. Nel 1457 si trasferisce a Siena dove ottiene l’incarico di realizzare le porte del Duomo, opera destinata a non andare in porto (rimane solo un rilievo di prova). Nel 1460 Donatello torna a Firenze e attorno al 1465 esegue i pulpiti bronzei per la basilica di San Lorenzo, la sua ultima opera nota. Donatello scompare a Firenze il 13 dicembre 1466.
La prima opera importante di Donatello è il David marmoreo del 1408, eseguito quando lo scultore aveva appena ventidue anni: i retaggi del tardogotico cominciano a venire meno, e al contrario inizia a emergere una sensibilità classica che contraddistinguerà in seguito tutte le realizzazioni di Donatello. I retaggi tardogotici (gli stessi che caratterizzano un’altra famosa opera giovanile, il San Giorgio del 1416 eseguito per la chiesa di Orsanmichele) si trovano soprattutto nel volto, che sembra quasi privo di espressività, e nelle proporzioni allungate e snelle della figura, così come nelle vesti che rimandano ancora a una cultura tipicamente gotica. Le novità rinascimentali si notano nella posa, con la gamba destra portata in avanti in modo tale da far scaricare il peso sulla gamba sinistra (un dettaglio che rivela come lo scultore abbia dedicato una particolare cura allo studio dell’anatomia umana), nel senso di grandiosità e di forza morale. Il successivo David in bronzo, del 1430 circa, è un’opera molto originale perché la concezione è frutto di un’invenzione di Donatello, poiché l’artista non sembra essersi ispirato a modelli precedenti per questa scultura: un’impostazione unica, con la figura di un Davide che denota anche una certa sensualità palesandosi agli occhi del riguardante in una posa languida. Con questo David, Donatello offre una prova di grande realismo, perché non solo le fattezze del personaggio denotano una grande cura per lo studio dell’anatomia, ma i dettagli delle decorazioni, per esempio quelle dell’elmo, mostrano come l’artista abbia dedicato una particolare attenzione anche ai dettagli. Il fisico piuttosto minuto di questo David è simbolo delle sue qualità morali, perché trasmette l’idea di un ragazzo giovane che vince l’avversario con l’intelligenza e con la ragione, doti che quindi prevalgono sulla forza. Si tratta inoltre di una statua che mostra anche una grande vitalità, superando così il David giovanile in marmo.
Nel 1427, Donatello realizzò il rilievo del Banchetto di Erode per il fonte battesimale del Battistero di Siena, opera che ebbe una gestazione piuttosto complicata perché la realizzazione iniziò nel 1414 ma l’opera fu conclusa solo nel 1430 (conosciamo le vicende grazie alla documentazione che è sopravvissuta(. Alla realizzazione parteciparono alcuni tra i più importanti scultori dell’epoca: la vasca del fonte aveva forma esagonale e doveva essere decorata con sei pannelli in bronzo, che furono inizialmente assegnati, nel 1417, a Jacopo della Quercia, Lorenzo Ghiberti, Turino di Sano e al figlio di quest’ultimo, Giovanni di Turino. I pannelli dovevano avere come tema le storie di San Giovanni Battista. La realizzazione delle formelle si protrasse per diversi anni, e uno dei due rilievi he erano stati assegnati a Jacopo della Quercia fu poi affidato a Donatello: è proprio quello con il Banchetto di Erode. Donatello qui riesce a comunicare in modo magistrale i sentimenti e gli stati d’animo dei propri personaggi, e riesce a donare un’espressività nuova alle sue figure: ognuna di esse ha una propria individualità, una propria personalità, è studiata con cura e attenzione. Si tratta poi di un’opera pienamente rinascimentale anche per la concezione dello spazio, dove trova largo impiego la tecnica dello stiacciato. Donatello applica in modo sapiente le regole della prospettiva dell’amico Brunelleschi: il Banchetto di Erode è connotato da una costruzione prospettica scientifica, con le ortogonali della composizione che convergono verso un unico punto di fuga, da individuarsi all’incirca al centro della composizione. Il senso della profondità è garantito anche dall’uso dello stiacciato (“schiacciato” in toscano), inventato da Donatello: è una tecnica che consiste in una graduale diminuzione del rilievo delle figure man mano che si allontanano: ne consegue quindi che, per esempio, la testa del servo con il vassoio è realizzata a tutto tondo, il gruppo dei commensali sulla sinistra è realizzato ad alto rilievo e al contrario le figure in secondo e in terzo piano sono solo leggermente sbalzate. Quindi, via via che la profondità aumenta, il rilievo diminuisce e le figure più in lontananza sono quasi piane. Oltre che una valenza tecnica, lo stiacciato ha anche una valenza espressiva, perché con questa tecnica le figure risultano “schiacciate”, e risultando schiacciate e quindi deformate, ne viene accentuato il carico emotivo e drammatico.
Donatello seppe innovare anche durante il suo soggiorno a Padova: secondo quanto ci riporta Giorgio Vasari fu chiamato a Padova dalla Repubblica di Venezia per eseguire il monumento a Erasmo da Narni, detto il Gattamelata forse per via del nome della madre, Melania Gattelli. Sappiamo tuttavia che in realtà il monumento, realizzato tra il 1445 e il 1453, gli fu commissionato dalla moglie e dal figlio del Gattamelata, e per erigerlo fu necessario il beneplacito del Senato veneziano, che lo concesse poco dopo. Il Gattamelata era un condottiero che aveva servito per diversi anni la Repubblica di Venezia ed era scomparso proprio a Padova nel 1443, e il monumento che lo ricorda e che ancora oggi si può ammirare in Piazza del Santo davanti alla Basilica di Sant’Antonio (benché di prossima musealizzazione) è di una sorprendente modernità. La concezione è inedita: si tratta infatti del primo monumento equestre dopo l’antichità classica a non essere concepito per ornare una tomba, come per esempio accadeva nel Trecento per i monumenti equestri delle arche scaligere di Verona. Il monumento al Gattamelata nasce invece con l’unico scopo di onorare la memoria del condottiero e celebrarne la gloria. In scultura è il primo in questo senso, perché in pittura c’erano già state realizzazioni nate con lo stesso intento, per esempio il monumento a Giovanni Acuto di Paolo Uccello. Anche nella realizzazione è molto distante dai monumenti equestri precedenti, quelli che sormontavano le tombe: se questi ultimi erano connotati da una certa rigidità, il monumento al Gattamelata dimostra un plasticismo e uno studio accurato delle proporzioni e dei volumi senza precedenti. È possibile, anzi quasi certo, rintracciare il modello di Donatello nel monumento equestre a Marco Aurelio, anch’esso in bronzo come quello di Donatello, ma è possibile che l’artista si sia ispirato anche ai cavalli, anch’essi di epoca classica, che ornano la Basilica di San Marco e che furono portati a Venezia da Costantinopoli. Donatello però non imita semplicemente l’arte classica, ma si ispira all’arte classica e cerca di dare alle sue opere ispirate all’antichità un significato nuovo e originale: è anche ipotizzabile che per alcune sue opere, tra le quali anche questo monumento, abbia tratto ispirazione dalla realtà, e questo consentiva a Donatello di rappresentare una grande quantità di pose diverse e di stati d’animo diversi.
A Padova, Donatello si occupò anche dell’Altare del Santo, che ancor oggi si trova all’interno della Basilica di Sant’Antonio: gli fu commissionato nel 1446 ed è formato da un altare con un gruppo scultoreo con al centro la statua della Madonna con il Bambino e ai lati quelle di Sant’Antonio e di San Francesco, che sovrastano l’altare. Ci sono poi altre statue a tutto tondo che decorano l’altare, e sono quelle di San Daniele, santa Giustina, san Luigi e san Prosdocimo. L’altare è decorato con quattro rilievi in bronzo che rappresentano i miracoli di sant’Antonio. I rilievi con i miracoli sono opere di grande modernità: hanno un impianto prospettico impeccabile che dimostra in modo inequivocabile l’assimilazione, da parte di Donatello, delle regole della prospettiva di Filippo Brunelleschi, ma anche la sua capacità nel descrivere i sentimenti dando luogo a opere estremamente coinvolgenti.
Tra le opere degli ultimi anni, oltre alla Maddalena eseguita per il Battistero, la più drammatica opera di Donatello, dove il soggetto si carica di un’espressività mai vista prima e quasi sconcertante, offrendo il senso di tutte le sofferenze patite dalla santa, è possibile menzionare la Giuditta in bronzo conservata a Firenze in Palazzo Vecchio. Le opere degli ultimi anni sono caratterizzate da un sentimento religioso piuttosto acceso che accresce la carica drammatica ed emotiva delle opere di Donatello, anche alla luce delle implicazioni filosofiche dell’umanesimo che scopre non soltanto la grandezza dell’essere umano, bensì anche il fatto che si trova in balia degli eventi. Questi elementi si ritrovano nella Maddalena ma anche nella Giuditta: anche questa infatti è un’opera molto teatrale, con la Giuditta che con una mano tiene ferma la testa di Oloferne, che è ai suoi piedi, e con l’altra si appresta a colpirlo. I personaggi sono resi in modo molto naturalistico, e la scultura nasce concepita come una statua libera nell’atmosfera, quindi Donatello si pone il problema della rappresentazione della scultura nello spazio per essere osservata da più punti di vista, tant’è che se si osserva il volto di Giuditta si riesce a vedere solo metà di quello di Oloferne, che si può vedere interamente solo da un’altra angolazione. È una realizzazione che si colloca fuori dagli schemi tradizionali, un punto fermo per comprendere l’ultima fase della carriera di Donatello, ed evidenza del fatto che Donatello innovò fino alle fasi più estreme della sua carriera.
Le opere di Donatello si trovano per lo più divise tra Firenze, Padova e Siena, le tre città più segnate dal suo estro. A Firenze, molte sue opere si trovano al Museo del Duomo, che conserva le cinque statue del campanile, il San Giovanni Evangelista, la cantoria, la Maddalena. I capolavori più famosi si trovano al Museo Nazionale del Bargello: sono qui il David in marmo, il David in bronzo, il San Giorgio, il Marzocco, il Putto danzante, l’Attis, il rilievo con la Crocifissione. Il Crocifisso in legno del 1406-1408 circa si trova nella Basilica di Santa Croce (il cui museo custodisce il San Ludovico di Tolosa), dove si ammira anche la celebre Annunciazione Cavalcanti, mentre il Museo di Orsanmichele accoglie il San Marco. Palazzo Vecchio conserva la celebre Giuditta, e la basilica di San Lorenzo accoglie i due pulpiti bronzei che rappresentano le ultime opere di Donatello. Visitando il Battistero di Firenze si ammira invece la tomba dell’antipapa Giovanni XXIII, eseguita assieme a Michelozzo. Al tempo del sodalizio con l’architetto risalgono anche il pulpito del Duomo di Prato (i rilievi sono conservati nel Museo dell’Opera del Duomo di Prato) e il monumento funebre di Rainaldo Brancaccio, nella chiesa di Sant’Angelo a Nilo di Napoli.
Diverse opere, come detto, si trovano a Siena. Nella cattedrale di Santa Maria Assunta, il Duomo di Siena, si trovano la lastra tombale di Giovanni Pecci e il San Giovanni Battista, mentre nel Battistero si ammirano i rilievi e le statue per il fonte battesimale (tra cui il Banchetto di Erode). Il Museo dell’Opera del Duomo di Siena conserva la Madonna del Perdono. A Padova si ammirano l’Altare della Basilica del Santo e il Monumento al Gattamelata. Un’opera di Donatello si trova anche a Pisa: è il busto-reliquario di San Rossore conservato al Museo Nazionale di San Matteo. A Roma la basilica di Santa Maria in Aracoeli custodisce la tomba di Giovanni Crivelli, realizzata durante il soggiorno romano del 1432-1433. A Napoli, oltre al monumento di Rainaldo Brancaccio, si trova anche la Testa Carafa, scultura in bronzo conservata al Museo Archeologico Nazionale. A Lucca, il Museo Nazionale di Villa Guinigi conserva due Madonne col Bambino in terracotta che sono però di attribuzione discussa. Un’altra opera discussa è la Madonna della Mela, conservata al Museo Bardini di Firenze (da alcuni è data anche a Luca della Robbia).
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