Il Dadaismo o movimento Dada è stato un movimento d’avanguardia artistico e letterario di portata internazionale, sorto a Zurigo nel 1916 e diffuso in altri paesi in reazione alla prima guerra mondiale, alle norme artistiche e al nazionalismo del tempo, che molti ritenevano causa di quei tragici eventi bellici. Gli artisti dadaisti rivoluzionarono le categorie, le tecniche e le modalità di fruizione tradizionali dell’arte, rendendosi determinanti nella cultura del XX secolo e per l’evoluzione che ne è seguita fino ad oggi. L’esperienza Dada zurighese, frutto di un atteggiamento irriverente nei confronti della società e delle convenzioni del tempo, si dimostrò molto influente su artisti di diverse città, tra cui Berlino e Colonia, New York e Parigi, che generarono ognuna il proprio gruppo dadaista. Il movimento si sciolse poi tra il 1922 e il 1924 con l’istituzione del Surrealismo, ma le idee innescate in quei pochi anni sono a tutt’oggi i capisaldi di varie categorie di opere d’arte moderne e contemporanee, dalla poesia alla fotografia astratta, il collage, l’assemblaggio e l’installazione, fino alla performance art e opere d’arte concettuale.
La produzione degli artisti Dada fu estremamente diversificata, influenzata dalle avanguardie che andavano affermandosi agli inizi del Novecento, come il Cubismo francese, il Futurismo italiano, il Costruttivismo russo ed Espressionismo tedesco, sconfinando del tutto dai precedenti standard e canoni artistici. Il movimento nacque da una comune posizione antibellica tra gli artisti e dalla necessità di un libero sfogo creativo. Il fortissimo impatto emotivo della Grande guerra aveva accentuato in molti giovani la sensazione che fosse necessario demolire a ogni costo il “vecchio ordine” culturale che l’aveva prodotta e giustificata.
Il primo gruppo si costituì in Svizzera, neutrale nel conflitto e sede di rifugiati di varie nazionalità. Tra loro erano il poeta rumeno Tristan Tzara (Moinești, 1896 – Parigi, 1963), gli scrittori tedeschi Hugo Ball (Pirmasens, 1886 – Sant’Abbondio, 1927) e Richard Huelsenbeck (Frankenau, Assia, 1892 – 1974), il pittore e scultore alsaziano Hans Arp (Strasburgo, 1887 – Basilea, 1966) e altri che si incontravano al Cabaret Voltaire, un luogo di riunione zurighese che ospitò serate poetiche, esposizioni e atti di provocazione culturale. A proposito della fondazione del Dadaismo, Arp disse: “Cercavamo un’arte elementare che curasse gli uomini dalla follia dell’epoca, un ordine nuovo che ristabilisse l’equilibrio tra il cielo e l’inferno”. Nacquero così nuove tecniche e si esplorarono le infinite possibilità artistiche del caso. Il Dadaismo non fu uno stile, né implicò un modo unico e coerente di concepire l’espressione artistica: i dadaisti agirono nella volontà di scandalizzare il pubblico, assumendo via via un atteggiamento nichilista, derisorio e irriverente nei confronti dell’arte tradizionale. A partire dal nome “dada”, che non significava niente in particolare, e che sembra sia stato trovato cercando a caso una parola nel dizionario Larousse. L’arte perse la sua aura magica: le opere mutarono forma e si modificò anche la consueta relazione passiva tra lo spettatore e la creazione finita.
La dirompenza delle premesse culturali del Dadaismo agì come un enzima della cultura, moltiplicando in pochi anni il concetto di “nuovo” e di “radicale”. Una volta lanciati i primi manifesti e pubblicate le prime riviste, artisti di varie nazionalità s’identificarono con le impostazioni Dada. Fino a New York dove Marcel Duchamp (Blainville-Crevon, 1887 – Neuilly-sur-Seine, 1968), Francis Picabia (Parigi, 1879 – 1953) e un piccolo gruppo di rinnovatori iconoclasti si accorsero che le loro opere si inserivano perfettamente nel nuovo “ismo”. Il movimento attecchì con particolare forza in Germania, negli anni immediatamente seguenti la fine della guerra. Il paese era stato sconfitto e in genere, i dadaisti tedeschi si impegnarono nel tentativo di far trionfare la rivoluzione politico-sociale nel Paese. La loro esuberanza creativa acquisì, specie a Berlino, un aspetto propagandistico. La crisi e fine di quell’esperienza diffusa maturò a Parigi, dove molti degli aderenti finirono per confluire. La fazione più energica, capitanata da André Breton (Tinchebray, 1896 – Parigi, 1966), lanciò nel 1924 il primo manifesto del Surrealismo e sostituì così, con un nuovo movimento, la rivoluzione Dada.
Ufficialmente il Dadaismo nasce ad opera di quei giovani rifugiatisi in Svizzera, a cui già si è fatto cenno, alcuni dei quali avevano fondato, a Zurigo, nel 1916, un Cabaret cui venne dato il significativo nome di Voltaire, dal filosofo illuminista francese sostenitore della ragione contro ogni pregiudizio. Insieme al poeta rumeno Tristan Tzara, il filosofo e scrittore Hugo Ball, che era fuggito dalla Germania per non essere costretto ad andare in guerra, come i compatrioti Richard Hülsenbeck e Hans Richter (Berlino, 1888 – Locarno, 1976), che si unirono al gruppo insieme allo scultore alsaziano Hans Arp, giunto casualmente in Svizzera, e il pittore rumeno Marcel Janco (Bucarest, 1895 – Tel Aviv, 1984), rimasto insieme a Tzara in Svizzera perché sorpreso dalla dichiarazione di guerra della Romania.
I fondatori Ball ed Emmy Hennings (Flensburgo, 1885 – Sorengo, 1948) inaugurarono il Cabaret Voltaire il 5 febbraio 1916 nel retro di una taverna sulla Spiegelgasse, in una zona desolata della città. Anche se non organizzati politicamente, erano giovani e contrari alla guerra, fondando questo luogo d’intrattenimento con lo scopo di riunirsi, guadagnare e impegnare le proprie energie intellettuali. Per attrarre altri artisti, Ball aveva fatto circolare un comunicazione che diceva: “Cabaret Voltaire. Sotto questo nome si è formato un gruppo di giovani artisti e scrittori con l’obiettivo di diventare un centro di intrattenimento artistico. In linea di principio, il Cabaret sarà gestito da artisti, gli artisti ospiti verranno e daranno spettacoli musicali e letture durante gli incontri quotidiani. I giovani artisti di Zurigo, qualunque siano le loro tendenze, sono invitati a portare suggerimenti e contributi di ogni tipo”.
Dai primi spettacoli del luglio 1916 venne via via crescendo l’atteggiamento ironico, dissacratorio, provocatorio, riconosciuto come Dada. Poiché il movimento rifiutava i significati tradizionali attribuiti alle parole e i concetti universalmente accettati, scelsero di chiamarsi con un’espressione che in sé non vuole significare nulla di preciso. È per questo che sono nati molti racconti, l’uno diverso dall’altro, sull’origine precisa del nome: Hans Arp disse che il primo ad utilizzarlo fu Tzara, suscitando in tutti enorme entusiasmo, anche per via del fatto che “dada” potesse significare lo stesso (o niente) in tutte le lingue, poiché il gruppo era dichiaratamente internazionalista. Tzara a sua volta narrò di avere trovato la parola a caso nel vocabolario francese Larousse. “Dada” è un termine colloquiale francese che può indicare un cavallo da tiro, ma che allude anche alle prime sillabe che impara a dire un bambino, e questi suggerimenti di infantilismo e assurdità garantivano una presa di distanza dalla convenzionale sobrietà del linguaggio borghese.
Il Dadaismo si manifestò subito come un’organizzazione libera, che senza un programma estetico preciso divenne un modo di concepire la realtà e l’opera d’arte. Non interessava il valore artistico di un manufatto, ma piuttosto lo shock provocato nello spettatore, necessario per distoglierlo da pigre abitudini mentali. L’arte, come si era sempre considerata, per loro non esisteva più e tutto poteva diventare arte: pezzi di legno grezzo inchiodati e colorati, per esempio, come in Trousse d’un Da del 1920 di Arp, oppure un oggetto comune, messo in una certa posizione invece che in un’altra. “Libertà: DADA DADA DADA”, scriveva Tzara nel 1918 nella riscrittura del loro Manifesto (1916), “urlo di colori contratti, groviglio degli opposti e di tutte le contraddizioni, del grottesco e dell’incongruenza: la vita”. La loro posizione antiautoritaria contribuì a determinare un movimento senza un’ideologia guida.
La diffusione di Dada avvenne dal 1917 attraverso la sette pubblicazioni di una rivista di arte e letteratura intitolata, naturalmente, “Dada” e numerose mostre d’arte, incentrate sulla performance e l’arte tipografica. Proprio nel 1917, dopo che Ball partì per Berna per dedicarsi al giornalismo, Tzara fondò la Galerie Dada in Bahnhofstrasse, dove si tenevano altre serate e altre numerose mostre. Tzara divenne il motivatore del movimento e iniziò una campagna inesorabile per diffonderne le idee, inondando di lettere d’invito scrittori e artisti internazionali. Terminata la guerra nel 1918, molti degli artisti tornarono nei loro paesi d’origine, contribuendo a diffondere ulteriormente lo spirito dadaista altrove. La fine di Dada a Zurigo seguì ad un evento dell’aprile 1919 che si trasformò in una rivolta del pubblico, oltre cento persone che scaldate dai temi discussi in quell’incontro, persero il controllo e iniziarono a distruggere molti degli oggetti di scena: qualcosa che Tzara pensava favorisse i loro obiettivi, minando le pratiche artistiche convenzionali proprio attraverso il coinvolgimento e l’emotività del pubblico nella produzione artistica, e descrisse l’accaduto così: "[…] Dada è riuscito a stabilire il circuito dell’incoscienza assoluta nel pubblico, che ha dimenticato le frontiere dell’educazione dei pregiudizi, ha vissuto la commozione del Nuovo. Vittoria finale di Dada." I partecipanti non erano più solo spettatori, e questo comportava una totale negazione delle forme tradizionali.
La diffusione di Dada toccò varie città europee e New York, attribuita ad alcuni artisti chiave che si spostavano e mescolavano. Tzara si spostò a Parigi, dove incontrò André Breton col quale iniziò a formulare le teorie che avrebbero portato al Surrealismo. Da Zurigo, Huelsenbeck fondò a Berlino il Club Dada, attivo dal 1918 al 1923, che coinvolse partecipanti come Johannes Baader (Stoccarda, 1875 – Adldorf, 1955), George Grosz (Berlino, 1893 –1959), Hannah Höch (Gotha, 1889 – Berlino Ovest, 1978) e Raoul Hausmann (Vienna, 1886 – Limoges, 1971), Kurt Schwitters (Hannover, 1887 – Kendal, 1948). I dadaisti berlinesi si schierarono pubblicamente contro la Repubblica di Weimar (1919-1933) e la loro arte prese una vena più politica: dipinti e collage satirici che presentavano immagini in tempo di guerra, con figure di personaggi politici ricontestualizzati in scene pungenti. Nel febbraio del 1918, Huelsenbeck tenne il suo primo discorso Dada a Berlino e furono pubblicate quell’anno insieme a un manifesto, diverse riviste, tra cui “Club Dada” e “Der Dada”. Nel 1920 poi, Hausmann e Huelsenbeck tennero un giro di conferenze a Dresda, Amburgo, Lipsia e Praga, e nel mese di giugno la “Erste Internationale Dada-Messe”, la prima fiera internazionale Dada. Durante questo periodo si sviluppò da Berlino la tecnica del fotomontaggio.
Nel frattempo, Kurt Schwitters, che era stato escluso dal gruppo berlinese, formò ad Hannover nel 1919 il suo altro gruppo Dada, meno politicamente orientato del Club berlinese, ma comunque spinto dalle questioni moderniste che si andavano discutendo sul ruolo della forma e del colore nelle immagini artistiche. Idee diffuse attraverso la pubblicazione della rivista “Merz” che uscì sporadicamente per diversi anni (dal 1923 fino al 1932). Un altro gruppo si formò a Colonia nel 1918 su iniziativa di Hans Arp, Max Ernst (Brühl, 1891 – Parigi, 1976) e Johannes Theodor Baargeld (Stettino, 1892 – Chamonix, 1927). Le loro mostre si concentrarono su un’arte antiborghese e, per così dire, senza senso. Nel 1920, una di queste fu chiusa dalla polizia. Ma nel 1922, il Dada tedesco era agli sgoccioli. In quell’anno Ernst lasciò Colonia per Parigi, sciogliendo così quel gruppo. Altri si interessarono ad altri movimenti. Un “Congresso dei costruttivisti”, ad esempio, si tenne a Weimar nell’ottobre del 1922, a cui parteciparono numerosi dadaisti tedeschi; così come nel 1924 Breton pubblicò il manifesto surrealista, dopo il quale molti dei restanti dadaisti si unirono a quel nuovo movimento, proprio come Ernst.
Dopo aver sentito parlare delle vicende di Dada a Zurigo, un certo numero di artisti parigini tra cui Breton, appunto, Louis Aragon (Parigi, 1897 – 1982), Paul Eluard (Saint-Denis, 1895 – Charenton-le-Pont, 1952) e altri se ne interessarono. Nel 1919 Tzara aveva lasciato Zurigo per Parigi e Hans Arp vi era arrivato da Colonia l’anno successivo; un “festival Dada” ebbe luogo nel maggio 1920, dopo che anche altri del movimento si erano lì riuniti. Numerose le manifestazioni, le mostre e gli spettacoli organizzati, insieme alla pubblicazione di manifesti e riviste, tra cui “Dada” e “Le Cannibale”.
Marcel Duchamp fece da legame creativo cruciale poi tra i dadaisti zurighesi e i proto-surrealisti parigini, come Breton. Il gruppo svizzero considerava le opere di Duchamp come opere Dada e ne apprezzava l’umorismo e il rifiuto di definire l’arte. Come Zurigo durante la guerra, New York City era un rifugio per scrittori e artisti. Si data normalmente l’emergere del Dadaismo a New York attorno al 1915, ma un evento precedente consente di anticiparne ancora la nascita: l’Armory Show, la prima vasta fiera che portò l’arte delle avanguardie europee in America, tenutasi nel 1913 in una vecchia armeria e destinata a fecondare l’atmosfera artistica newyorkese.
Duchamp e Francis Picabia, che aveva fatto parte dei gruppi di Zurigo e Parigi, arrivarono in città a pochi giorni di distanza l’uno dall’altro nel giugno del 1915 e subito dopo incontrarono Man Ray (Filadelfia, 1890 – Parigi, 1976). Duchamp fu un interlocutore critico all’interno del gruppo americano, già due anni prima nel 1913 aveva battezzato la parola “ready made” per indicare la sua particolare composizione di uno sgabello da cucina con una ruota di bicicletta, prelevati dall’ambiente quotidiano per essere collocati nel contesto espositivo senza alcuna manipolazione da parte dell’artista. Ma iniziò a realizzare proprio quell’anno a New York uno dei suoi pezzi più importanti, La sposa messa a nudo dai suoi scapoli, più noto come Il grande vetro, oggi considerato pietra miliare dell’arte contemporanea per la sua rappresentazione di uno strano dramma erotico attraverso forme meccaniche.
Nel 1916 ai tre si unirono altri artisti e artiste e gran parte della loro attività ebbe luogo nella galleria 291 diretta da Alfred Stieglitz, pioniere della fotografia moderna anche grazie alla rivista da lui diretta “Camera Work”, e nello studio di Walter e Louise Arensberg. Le loro pubblicazioni, come “The Blind Man”, “Rongwrong” e “New York Dada”, sfidarono l’arte museale convenzionale con più umorismo e meno amarezza rispetto ai gruppi europei. Fu durante questo periodo che Duchamp espose oggetti come il suo celebre Scolabottiglie, e con la Society of Independent Artists in occasione di una mostra nel 1917 presentò la sua scandalosa Fontana, l’orinatoio capovolto che ha cambiato il corso della storia dell’arte occidentale.
In questi anni i frequenti viaggi di Picabia da un paese all’altro avevano contribuito a collegare i gruppi dadaisti. Dal 1917 al 1924 pubblicò il suo periodico 391 modellato sul periodico 291 di Stieglitz, prima a Barcellona, poi in varie città tra cui New York, Zurigo e Parigi, a seconda del proprio luogo di residenza e con l’aiuto di colleghi artisti e amici nelle varie città. Picabia e Breton si ritirarono dal movimento nel 1921 e lo stesso Picabia pubblicò un numero speciale di 391 in cui affermava che: "Lo spirito Dada è esistito davvero solo tra il 1913 e il 1918... Dada, volendo prolungarlo, si è chiuso... Dada, vedete, non era serio... e se certe persone ora lo prendono sul serio, è perché è morto! Bisogna essere nomadi, passare attraverso le idee come si passa attraverso i paesi e le città”, scriveva. Paris Dada pubblicò un contrattacco sotto la direzione di Tzara. Due ultime esibizioni teatrali si tennero nella capitale francese nel 1923, prima che il gruppo sconfinasse in lotte interne e cedesse al Surrealismo. Nell’ultimo numero di 391 nel 1924 Picabia accusò anche il Surrealismo, fondato quell’anno, di essere un movimento inventato, scrivendo che “le uova artificiali non fanno i polli”.
Il Dadaismo non si manifestò con un linguaggio artistico, propriamente detto, comprendendo dalle macchine ironiche di Francis Picabia, alle fotografie dette “Rayogrammi” di Man Ray, ai collage di Hans Arp, agli assemblaggi di Kurt Schwitters passando per la poesia astratta, costruzioni e montaggi… il cinema, la danza e molto altro. Dada fu l’antecedente diretto del movimento dell’arte concettuale, in cui l’attenzione degli artisti non era più sulla creazione di oggetti esteticamente accettati, ma sulla realizzazione di opere che sconvolgessero la sensibilità borghese e che generassero domande difficili sulla società, sul ruolo dell’artista e sullo scopo dell’arte.
I membri di Dada erano così intenti a opporsi a tutte le norme della cultura borghese che il gruppo era a malapena favorevole a se stesso: "Dada è anti-Dada", gridavano spesso. L’irriverenza era una componente cruciale dell’arte Dada, sia che si trattasse di una mancanza di rispetto per le convenzioni, le autorità, i metodi di produzione convenzionali o il canone artistico, e ogni gruppo variava leggermente nel proprio obiettivo. I dadaisti esaltavano il principio della casualità, nel linguaggio scritto e parlato e nelle arti visive, perché vi vedevano la miglior difesa contro le convenzioni e l’atteggiamento razionalistico che contestavano. L’esempio fornito da Tristan Tzara, fautore dei manifesti del movimento, aprì la strada a molta sperimentazione, da quando una volta spiegò come comporre un poema dadaista: “Si deve prendere un articolo di giornale, ritagliare tutte le parole e metterle in un sacchetto; quindi si pescano una a una, a caso, e si uniscono l’una all’altra in ordine di uscita”.
L’artista tedesco Hans Arp sosteneva l’importanza vitale di far ricorso alla “legge del caso”, che contiene in sé tutte le altre leggi, e fu infatti il primo a trasporre in un quadro la disposizione casuale di alcuni pezzi di carta stracciata, caduti per terra. Nessuna norma né riferimento figurativo presiedevano alla genesi dell’opera, ma il risultato era ricco d’incanto poetico. Ai suoi rilievi policromi in legno diede titoli sorprendenti, come Il funerale degli uccelli e delle farfalle (ritratto a Tristan Tzara), eseguito intorno al 1916-17.
Senza perdere mai di vista le ricerche artistiche sviluppate negli altri paesi, era nata un’inclinazione pratica e teorica per i montaggi, in primo luogo montaggi fotografici di ritagli di diversa provenienza accanto a brani di testo. Procedimento trasferito anche alla scultura. Fu chiaro per i dadaisti il proposito di usare ironicamente gli oggetti meccanici del mondo contemporaneo. Uno dei primi esempi è Lo spirito del nostro tempo, una testa meccanica assemblata da Raoul Hausmann nel 1919: alla scultura in legno furono aggiunti elementi all’apparenza del tutto incongrui, come una riga, un pezzo di metro a nastro, rotelle di ottone e altro ancora. La scultura non veniva modellata o intagliata come si era sempre fatto, ma costruita a partire da elementi già esistenti, "assemblata come si fa con una macchina” appunto. Il concetto chiave alla base della maggior parte della loro arte, dalle composizioni e assemblaggi di Kurt Schwitters a quelli di Duchamp, era di liberare la creatività dal controllo logico e razionale. Ciò andava contro tutte le norme accademiche per cui un’opera veniva meticolosamente pianificata e poi completata, mettendo in discussione il ruolo dell’artista nel processo artistico. Celebre tra le opere di Schwitters è Merzbau, straordinario collage tridimensionale che l’artista costruì nella sua casa nel corso del tempo (dal 1923 al 1936), riempiendolo di elementi disparati e di vuoti misteriosi: l’arte passava tutti i limiti convenzionali invadendo completamente lo spazio vitale, confondendosi con la biografia stessa del creatore.
Le opere d’arte Dada presentavano intriganti sovrapposizioni e paradossi, intesi come decostruzioni dell’esperienza quotidiana in modi stimolanti e ribelli, tali da consentire allo spettatore l’interpretazione in vari modi. Questa rivoluzione formale si manifestò ancora più decisamente con l’introduzione del ready made che ha imposto domande sulla creatività artistica e sulla definizione stessa dell’arte e del suo scopo nella società. Duchamp fu il primo artista a utilizzare e chiamare così questa categoria di opere composte da oggetti già realizzati, solo prelevati dalla vita quotidiana e decontestualizzati. Il lavoro dell’artista, così inteso, non consisteva più nel ‘fare’, ma nel ‘riconoscere’ qualcosa di simbolico che già esiste. Allo stesso modo la fotografia fu uno dei mezzi preferiti dal Dadaismo. Altri artisti che lavorarono con ready made e assemblaggi bizzarri furono Ernst, Hausmann e Man Ray, qualità, la stravaganza, che rese facile per il gruppo fondersi alla fine con il Surrealismo. Decisivo per il loro lavoro fu il ricorso a un’arguta, ambigua e scandalosa, ironia.
La tua lettura settimanale su tutto il mondo dell'arte
ISCRIVITI ALLA NEWSLETTER