Arte Povera: origini, nascita e stile del movimento


L'Arte Povera è stata il principale movimento artistico italiano del secondo Novecento: le origini, le ragioni teoriche, gli artisti, lo stile.

Si intende per “Arte Povera” un movimento artistico nato in Italia negli anni Sessanta del Novecento, e al quale aderirono molti artisti destinati a diventare tra i più grandi e influenti del XX secolo, come Giulio Paolini, Pino Pascali, Luciano Fabro, Jannis Kounellis, Mario Merz, Michelangelo Pistoletto e diversi altri. La nascita del movimento si può far coincidere con la prima mostra degli “artisti poveri” tenutasi nel 1967 a Genova, presso la galleria La Bertesca, mentre il termine fu coniato dal critico d’arte Germano Celant (Genova, 1940 - Milano, 2020), considerato il teorico del movimento, che lo utilizzò nel suo scritto Arte povera: appunti per una guerriglia del 1967, pubblicato sulla rivista Flash Art.

Il nome “Arte Povera” fa riferimento sia ai materiali che gli artisti poveri adoperavano (ovvero materiali umili, come cartapesta, ferro di recupero, stracci, oggetti riciclati, legna, terra, plastica e così via) sia, soprattutto, al fatto che intento del movimento era quello di porsi in contrapposizione all’arte tradizionale ed elaborare un linguaggio in grado di ridurre all’essenziale, di “impoverire” l’opera in altri termini, e che fosse più adatto a quello della società contemporanea.

“Un’arte povera, impegnata con la contingenza, con l’ evento, con l’astorico, col presente”, aveva scritto Celant in Arte povera: appunti per una guerriglia, “con la concezione antropologica, con l’uomo ‘reale’ (Marx), la speranza, diventata sicurezza, di gettare alle ortiche ogni discorso visualmente univoco e coerente (la coerenza èun dogma che bisogna infrangere!), l’uni-vocità appartiene all’individuo e non alla ‘sua’ immagine e ai suoi prodotti. Un nuovo atteggiamento per possedere un ‘reale’ dominio del nostro essere, che conduce l’artista a continui spostamenti dal suo luogo deputato, dal cliché che la società gli ha stampato sul polso”.

Giulio Paolini, Giovane che guarda Lorenzo Lotto (1967; fotografia; Archivio Giulio Paolini)
Giulio Paolini, Giovane che guarda Lorenzo Lotto (1967; fotografia; Archivio Giulio Paolini)
Michelangelo Pistoletto, Venere degli Stracci (1967; installazione, 150 x 280 x 100 cm; Rivoli, Castello di Rivoli Museo d’Arte Contemporanea)
Michelangelo Pistoletto, Venere degli Stracci (1967; installazione, 150 x 280 x 100 cm; Rivoli, Castello di Rivoli Museo d’Arte Contemporanea)
Jannis Kounellis, Senza titolo (2005; installazione; Napoli, MADRE)
Jannis Kounellis, Senza titolo (2005; installazione; Napoli, MADRE)
Alighiero Boetti, Mappa (1971-1973; arazzo, 217 x 163 cm; Roma, MAXXI)
Alighiero Boetti, Mappa (1971-1973; arazzo, 217 x 163 cm; Roma, MAXXI)
Mario Merz, Senza titolo (Triplo Igloo) (1984-2002; installazione in vetro, ferro, creta, neon azzurro, 300 x 600; Roma, MAXXI)
Mario Merz, Senza titolo (Triplo Igloo) (1984-2002; installazione in vetro, ferro, creta, neon azzurro, 300 x 600; Roma, MAXXI)

Le origini dell’Arte Povera

Il movimento dell’Arte Povera nacque ufficialmente nel 1967 quando si tenne la prima mostra alla galleria La Bertesca di Genova, al numero 13R di via Santi Giacomo e Filippo: la galleria era stata fondata appena l’anno prima da Francesco Masnata e Nicola Trentalance, di rispettivamente 25 e 24 anni. Intitolata Arte Povera – Im Spazio, la mostra esponeva dodici artisti, ognuno presente con un’opera (tutti i lavori erano stati realizzati quell’anno): Alighiero Boetti (con Catasta, sedici tubi di eternit a sezione quadrangolare che formavano un parallelepipedo), Luciano Fabro (con Pavimento del 1967, un’installazione di riquadri di linoleum coperti con fogli di giornale), Jannis Kounellis (con Senza titolo, un contenitore di metallo riempito di carbone), Giulio Paolini (con Lo Spazio, otto sagome verniciate di bianco che componevano le parole “Lo Spazio”), Pino Pascali (con 1 metro cubo di terra, 2 metri cubi di terra, cubi di legno rivestiti di terra), Emilio Prini (Perimetro di spazio, tubi al neon), Mario Ceroli (Parcheggio, sagome in legno), Paolo Icaro (Gabbia, una gabbia in metallo verniciata di rosso), Umberto Bignardi (presente con una proiezione di diapositive), Renato Mambor ed Eliseo Mattiacci (presenti in coppia con un tubo di legno installato sulle scale della galleria) e Cesare Tacchi (con una poltrona in similpelle).

I poveristi si ispiravano al teatro povero del regista polacco Jerzy Grotowski: l’Arte Povera condivideva con il teatro povero l’interesse per i materiali semplici e ordinari, raccolti sia dalla natura che dalle fabbriche, dal mondo industriale. Le ragioni teoriche del gruppo sarebbero state poi ulteriormente esplicitate da Celant in un testo del 1969, dove diventano più chiare le ragioni del gruppo: “Animali, vegetali e minerali sono insorti nel mondo dell’arte. L’artista si sente attratto dalle loro possibilità fisiche, chimiche, biologiche, e riinizia a sentire il volgersi delle cose del mondo, non solo come essere animato ma come produttore di fatti magici e meraviglianti. L’artista alchimista organizza le cose viventi e vegetali in fatti magici, lavora alla scoperta del nocciolo, per ritrovarle ed esaltarle”. Per Celant, dunque, il termine “povero” è semmai da riferirsi al linguaggio degli artisti del gruppo che, spiegava lo stesso critico, “eliminano dalla ricerca tutto ciò che può sembrare riflessione e rappresentazione mimetica, abitudine linguistica”. Non si tratta dunque di ricostruire la realtà per mezzo di immagini, ma di far entrare direttamente la realtà (naturale o artificiale: ecco dunque perché i materiali provenivano da tutti gli ambiti) nell’arte.

L’Arte Povera, le cui ricerche sarebbero state poi ulteriormente sviluppate e approfondite con mostre successive (per esempio con quella della GAM di Torino al 1970) oltre che con articoli di critici come Renato Barilli, Carla Lonzi e altri, si muoveva in un contesto internazionale che aveva visto fiorire l’arte concettuale, la Land Art, l’arte minimalista e altre forme espressive che muovevano da intenti teorici non dissimili da quelli che avevano animato gli esordi dei poveristi. Con la Land Art, per esempio, l’Arte Povera condivideva l’idea di far sviluppare l’opera in uno spazio naturale e nel paesaggio (Giuseppe Penone è stato tra i poveristi l’artista che più ha insistito su questo concetto). Presto l’Arte Povera si impose come grande movimento artistico internazionale (tanto che oggi è considerata la più importante avanguardia italiana della seconda metà del Novecento nonché l’ultimo movimento italiano ad avere una forte rilevanza mondiale), e le opere dei poveristi oggi si trovano nei maggiori musei del mondo. Il merito principale dei poveristi è stato quello di ampliare le possibilità della pratica artistica aprendo l’opera a materiali che prima di allora non erano mai stati presi in considerazione, e dunque quello di aprire l’opera a significati fino ad allora inespressi. Da non trascurare, inoltre, il ruolo che l’Arte Povera ebbe come contestazione nei confronti di forme d’arte che venivano percepite come legate al capitalismo (la Pop Art per esempio, della quale l’Arte Povera è l’esatto opposto: da una parte l’opera seriale, l’opera come prodotto, l’opera come bene di consumo, dall’altra l’opera come fatto culturale, ma anche come fatto effimero, come ritorno alla natura).

Giuseppe Penone, Matrice (2015; legno di abete e bronzo, 110 x 250 x 3000 cm; Collezione privata). Exhibition view, Incidenze del vuoto @ Cuneo, chiesa di San Francesco
Giuseppe Penone, Matrice (2015; legno di abete e bronzo, 110 x 250 x 3000 cm; Collezione privata)
Luciano Fabro, L'Italia rovesciata (1968; ferro e carta geografica, 127 x 75 x 4 cm; Collezione privata)
Luciano Fabro, L’Italia rovesciata (1968; ferro e carta geografica, 127 x 75 x 4 cm; Collezione privata)
Gilberto Zorio, Canoa (1984; canoa, rame, pergamena, solfato di rame, giavellotto di rame, 220 x 1200 x 340 cm; Prato, Centro Pecci)
Gilberto Zorio, Canoa (1984; canoa, rame, pergamena, solfato di rame, giavellotto di rame, 220 x 1200 x 340 cm; Prato, Centro Pecci)
Pino Pascali, 32 metri quadrati di mare circa (1967; 30 vasche di alluminio zincato e acqua colorata all'anilina, 113 x 113 cm ciascuna; Roma, Galleria Nazionale d'Arte Moderna e Contemporanea)
Pino Pascali, 32 metri quadrati di mare circa (1967; 30 vasche di alluminio zincato e acqua colorata all’anilina, 113 x 113 cm ciascuna; Roma, Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea)
Pier Paolo Calzolari, Senza titolo (1965; Milano, Collezione Gemma De Angelis Testa, in comodato al MADRE di Napoli)
Pier Paolo Calzolari, Senza titolo (1965; Milano, Collezione Gemma De Angelis Testa, in comodato al MADRE di Napoli)

I principali poveristi e il loro stile

La ricerca di Giulio Paolini (Genova, 1940) si concentra sul linguaggio e sul ruolo stesso dell’artista, oltre che sulle sue modalità espressive. È il più concettuale dei poveristi ed è anche il primo ad aver parlato di “povertà dell’arte”. La sua pratica fa uso abbondante di fotografia e di citazioni tratte dall’arte del passato, come si vede in uno dei suoi primi capolavori, ovvero il Giovane che guarda Lorenzo Lotto del 1967, riproduzione fotografica di un’opera di Lorenzo Lotto (il Ritratto di giovane) accompagnata da una didascalia che spiega il tentativo dell’artista di ricreare il punto occupato dall’autore nel 1505 e dallo spettatore di oggi del quadro (leggi qui una nostra intervista a Giulio Paolini). Alighiero Boetti (Torino, 1940 - Roma, 1994) lavora con materiali tessili ed è famoso soprattutto per le sue mappe, fatte appositamente ricamare da tessitrici asiatiche (per lo più afghane) dove i paesi sono identificati dalle loro bandiere, nonché per i suoi quadri fatti di lettere colorate che compongono frasi leggibili ogni volta secondo direzioni diverse. Le mappe erano il modo con cui Boetti guardava ai cambiamenti del mondo, mentre i giochi di parole erano l’invito dell’artista, rivolto all’osservatore, per spronarlo a ragionare sull’arte e sull’essere umano.

Obiettivo di Michelangelo Pistoletto (Biella, 1933) è invece il massimo coinvolgimento dello spettatore, che negli Specchi, prodotti incessantemente dall’artista dagli anni Sessanta a oggi, diventa protagonista principale dell’opera d’arte (e con lui anche tutto l’ambiente circostante). Pistoletto è anche autore di una delle opere-simbolo del movimento, la Venere degli stracci, provocatoria installazione dove la riproduzione di una Venere antica svetta davanti a una montagna di stracci, quasi a voler simboleggiare il dissidio tra la bellezza dell’arte e il caos della società contemporanea. Pino Pascali (Bari, 1935 - Roma, 1968), il più ironico dei poveristi (famosi sono i suoi “bachi da setola”) realizzava composizioni sorprendenti risultanti dall’utilizzo inusuale di oggetti di uso comune. Ma in Pino Pascali fondamentale è anche la ricerca sullo spazio con grandi installazioni capaci di occupare spazi anche molto grandi (come 32 metri quadrati di mare circa, forse la sua opera più famosa, una riflessione sul conflitto tra natura e cultura e su come l’arte veda gli elementi della natura). Jannis Kounellis (Pireo, 1936 - Roma, 2017), artista di origini greche, è il più “oggettivo” dei poveristi, l’artista dove il confine tra arte e realtà è più labile (tanto che le sue opere non hanno mai titolo, proprio perché evidenti di per sé): famosa è, per esempio, l’installazione Senza titolo con cui portò nel 1969 dodici cavalli vivi alla galleria L’Attico di Roma.

Le opere di Mario Merz (Milano, 1925 - 2003) fanno leva sul tema della crescita e dello sviluppo, particolarmente sentito tra anni Sessanta e Settanta. Famosi sono i suoi Igloo, realizzati con diverse tecniche e materiali, che diventano il simbolo dell’interazione tra essere umano e natura e della trasformazione di quest’ultima da parte del primo: l’igloo, archetipo dell’abitazione, è anche metafora delle relazioni tra interno ed esterno nonché tra individuo e collettività. Marisa Merz (Maria Luisa Truccato; Torino, 1926 - 2019), unica donna dell’arte povera, moglie di Mario Merz, era famosa per le sue opere in lana nonché per gli “ambienti”, installazioni che interagivano totalmente con lo spazio andando a occupare tutti i locali nei quali venivano esposte. Giuseppe Penone (Garessio, 1947) è il poverista più legato alla natura (leggi qui un approfondimento sulla sua arte), ed è solito intervenire con le sue opere direttamente nel paesaggio. Le sue opere però riproducono anche gli elementi della natura, focalizzandosi in particolare sui processi di crescita: è quanto avviene negli Alberi, dove con diversi materiali vengono riprodotti grandi tronchi d’albero, scalfitti e recisi dall’azione dell’essere umano, che non riesce però a intaccare la struttura dell’albero, che viene dunque restituita dall’artista all’osservatore nella sua essenzialità.

Luciano Fabro (Torino, 1936 - Milano, 2007) è passato alla storia per le sue Italie, opere con cui l’artista riproduceva la sagoma del bel paese in diversi materiali con effetti sempre stranianti (ogni volta veniva usato un materiale diverso) e spesso caricandole di significati satirici e ideologici, come nell’Italia appesa con un cappio a testa in giù. Giovanni Anselmo (Borgofranco d’Ivrea, 1934) è autore di opere che approfondiscono il tema dell’energia e dell’invisibile cercando di rendere questi concetti attraverso grandi installazioni di oggetti in rapporto tra loro (con incontri di elementi diversi, bilanciamenti, tensioni). Emilio Prini (Stresa, 1943 - Roma, 2016), il più sfuggente e meno prolifico dei poveristi, ma forse anche il più integralista, si dedicava ad azioni o installazioni che mettevano continuamente in discussione la legittimità di se stesse, adoperando mezzi come la fotografia, il suono e i testi per sfidare il senso della percezione del riguardante e le sue esperienze in materia d’arte. Le opere di Pier Paolo Calzolari (Bologna, 1943) fanno incontrare elementi provenienti dal mondo naturale con altri che giungono da quello industriale per far interagire i due mondi, inserendo spesso nelle opere anche una dinamica di azione e movimento. Infine, Gilberto Zorio (Andorno Micca, 1944), scultore, con le sue opere affronta il tema della trasformazione della materia creando opere in mutamento costante.


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