Negli anni Quaranta e Cinquanta del XX secolo dopo la seconda guerra mondiale l’arte internazionale fu caratterizzata da una corrente estetica nuova, l’arte informale, che si espresse in diverse tendenze, per lo più non figurative, destinate a influenzare le successive evoluzioni dell’arte contemporanea dagli anni Sessanta fino ai nostri giorni. Il primo a studiare e raggruppare queste tendenze sotto l’espressione “Art Informel” fu il critico Michel Tapié (Senouillac, 1909 – Courbevoie, 1987). L’arte informale interessò soprattutto la pittura, la cui pratica, ormai lontana da tutti gli schemi del passato, si concentrava sul gesto, sul segno e sulla materia, messi in opera dell’artista espressivamente. Attraverso l’atto stesso del dipingere, veniva ad essere più determinante la tecnica, i colori e materiali sulla tela, e meno la teoria e i contenuti.
In risposta alle atrocità e ai traumi della guerra, artisti dall’Europa agli Stati Uniti al Giappone reagirono alle convenzioni pittoriche precedenti, sia al lavoro naturalistico e figurativo tradizionale sia allo stile geometrico che caratterizzava l’Astrattismo di inizio Novecento, per abbracciare un nuovo modo di concepire il quadro: realizzato senza composizione di forme, con tecniche inedite e una spontaneità e irrazionalità influenzate dal Surrealismo. La strada verso esiti informali era stata inoltre aperta dalle esperienze del Dadaismo e dell’Espressionismo europei.
Come descritto da Tapié si tratta di una serie di stili e artisti che non erano interessati a far parte di un movimento ma “a qualcosa di molto più raro, come autentici individui”. L’Art Informel descrive dunque il clima culturale e artistico della società internazionale di metà secolo, e raccoglie un’interessante diversità di espressioni senza regole o modelli costituiti che ne rende vasta e aperta la definizione; comprende dall’Art Brut alla Pittura materica, dal Tachisme all’Astrazione lirica, che confluirono nell’Espressionismo astratto americano, alle sperimentazioni dei gruppi CoBrA e Gutai.
Numerosi gli esponenti di questa corrente che ne evidenziano le molteplici soluzioni, alcuni tra i più rappresentativi: Jean Fautrier (Parigi, 1898 – Châtenay-Malabry, 1964) e Jean Dubuffet (Le Havre, 1901 – Parigi, 1985), Georges Mathieu (Boulogne-sur-Mer, 1921 – Boulogne-Billancourt, 2012), Hans Hartung (Lipsia, 1904 – Antibes, 1989) e Wols (Alfred Otto Wolfgang Schulze; Berlino, 1913 – Parigi, 1951), Antoni Tàpies (Barcellona, 1923 – 2012), Asger Jorn (Vejrum, 1914 – Aarhus, 1973), Karel Appel (Amsterdam, 1921 – Zurigo, 2006), Jackson Pollock (Cody, 1912 – Long Island, 1956) e Willem de Kooning (Rotterdam, 1904 – New York, 1997), gli italiani Alberto Burri (Città di Castello, 1915 – Nizza, 1995), Emilio Vedova (Venezia, 1919 – 2006), Giuseppe Capogrossi (Roma, 1900 – Roma, 1972), tra gli altri.
Consacrata ufficialmente a Parigi con le due mostre Vehémences confrontées e Signification de l’Informel del 1951-1952, l’arte Informale anni prima aveva avuto i suoi primi esponenti nei francesi Jean Fautrier e Jean Dubuffet e nel tedesco Hans Hofmann, attivo negli Stati Uniti. Dubuffet, promotore dell’Art Brut, e Tapié si erano incontrati a metà degli anni Quaranta e avevano visitato insieme nel 1945 alla Galerie René Drouin di Parigi la mostra Les Otages (Gli Ostaggi) di Fautrier, che aveva suggestionato la comunità intellettuale e suscitato il coinvolgimento di Tapié nella promozione di questa nuova Art autre o arte “altra”.
Le opere di Fautrier, prodotte nei due anni prima della mostra durante la guerra, erano di una espressività nuova e radicale, descrivendo con uno stile personalissimo le atrocità che i soldati tedeschi compivano sui prigionieri (gli ostaggi, appunto) nel cortile di una prigione che l’artista poteva osservare dal vicino ospedale psichiatrico dove si era rifugiato, in quanto partigiano antinazista. Il politico e scrittore André Malraux definì queste opere “il più bel monumento ai caduti della seconda guerra mondiale”. Per esprimere la sua visione interiore dell’orrore, Fautrier aveva iniziato a usare sulla tela impasti terrosi e ruvidi componendo con gesti evidenti forme astratte. Queste tele incarnavano i principi dell’Art Informel che così interpretava i traumi e il malessere esistenziale dell’Europa del dopoguerra.
Tapié negli anni a seguire iniziò a curare mostre e cataloghi, come avrebbe fatto per tutta la sua carriera, e nel 1947 divenne consulente della galleria Drouin sostenendo anche il lancio della “Abstraction Lyrique” (Astrazione lirica) di Georges Mathieu. Mathieu a sua volta, in quella stessa galleria era rimasto estremamente affascinato dai lavori del pittore Wols, che presentava il suo stile detto “Tachisme”, e così lo invitò a partecipare alla prima delle sue “mostre da combattimento”, con le quali voleva affermare come la nuova forma di pittura “non avesse nulla a che fare con ciò che continuava ad essere esposto come contemporaneo”. Per Mathieu opere e tele erano “dei veri e propri campi di battaglia” che il pittore affrontava “con lo stesso impeto e foga di una lotta reale”.
Nel 1948 intanto, l’artista danese Asger Jorn organizzava il gruppo CoBrA, insieme a Carl-Henning Pederson, Pierre Alechsinky, Corneille Beverloo, Karel Appel e lo scrittore Christian Dotremont, che ne diede il nome derivato dalle prime lettere delle città di provenienza dei fondatori, Copenaghen - Bruxelles - Amsterdam. Gli ideali del gruppo emergevano come reazione alle ferite della seconda guerra mondiale, legati a “un’arte dell’immediatezza”, espressione dell’inconscio e degli impulsi infantili, coincidenti con i propositi globali dell’Art Informel, Molti di questi artisti si trasferirono a Parigi e lì incontrarono Tapié che, vedendo le loro opere come esempi di un’arte nuova e diversa, iniziò a promuovere anche il loro lavoro.
All’inizio degli anni Cinquanta, sia Dubuffet che Jorn avevano avviato la loro personale ricerca verso l’astrazione, a conoscenza delle novità oltreoceano degli americani Jackson Pollock, Willem de Kooning e altri. Grazie a Tapié, nello Studio Paul Fachetti di Parigi si tenne nel 1951 la prima mostra personale dello stesso Pollock e nel 1952 si tenne la mostra collettiva “Un art autre”, che insieme a una pubblicazione dallo stesso titolo, faceva il punto delle tendenze dell’arte nel dopoguerra, costituendo le basi di questa nuova evoluzione estetica internazionale. Riuniti in quella occasione tra gli altri i lavori degli artisti francesi e dei CoBrA.
Al contempo negli Stati Uniti, come si diceva, a metà degli anni Quaranta si era affermata la corrente degli espressionisti astratti, una generazione di artisti che vivevano per la maggior parte a New York, seguiti dai critici Harold Rosenberg e Clement Greenberg che esaltarono l’identità americana del loro nuovo fenomeno di pittura non figurativa. L’Arte Informale europea venne presto definita negli Stati Uniti come Espressionismo astratto, presentandosi in due principali filoni pittorici, quello dell’“Action Painting” a cui lavoravano i già citati Pollock, de Kooning e Franz Kline, tra gli altri, e del “Color Field Painting” a cui appartenevano le opere di Mark Rothko, Clyfford Still o Barnett Newman.
Parallelamente, fortemente influenzato dall’Espressionismo astratto, si formò nel 1954 anche il gruppo Japanese Gutai Art Association, guidato da Jiro Yoshihara, composto da una ventina di giovani artisti di Osaka, uniti ai colleghi internazionali dal desiderio di creare un immaginario nuovo nel vuoto lasciato dalle atrocità della guerra e dalle conseguenze della bomba atomica.
Tapié a quel tempo appoggiò i Gutai considerando la loro proposta artistica “libera dal formalismo convenzionale, che richiede qualcosa di fresco e neonato” e li coinvolse e, a partire dal lavoro di Jiro Yoshihara, nelle mostre Sekai konnichi no bijutsuten (Mostra d’arte mondiale contemporanea) nei grandi magazzini Takashimaya di Tokio del 1956-1957, che sarà la prima a mostrare l’arte Informale in Giappone attraverso diciassette opere dalla collezione personale di Tapié e in altre del 1958, inclusa la mostra alla Martha Jackson Gallery di New York, che fu invece la prima del gruppo fuori dal Giappone.
Intanto, il critico francese nel 1956 era approdato a Torino in Italia, dove incontrò il fervore di molti pittori, tra i quali significativi di quella stagione sono Emilio Vedova, Giuseppe Capogrossi e il rivoluzionario Alberto Burri, insieme a molti altri importanti nell’arte Informale italiana. Tapié scelse di restare nel capoluogo piemontese e nel 1959 e nel 1962 organizzò due grandi mostre, la prima “Arte Nuova” e poi “Strutture e Stile”, con cui operò una una ricognizione sulla pittura europea, americana e giapponese della fine del decennio. Nei primi anni ’60 infatti l’Art Informel, quando la società si era lasciata alle spalle il dopoguerra, stava per essere sorpassata da successive spinte artistiche anche in campo pittorico, per quanto molti degli artisti aderenti continuassero a realizzare opere comunque influenti.
Mentre Tapié fondava a Torino l’ICAR (International Center of Aestethic Research) la capitale dell’arte contemporanea da Parigi era diventata New York. All’ICAR continuò a promuovere accanto ad artisti quali Dubuffet, Hofmann, Tàpies, Pollock e i Gutai, opere di artisti italiani e torinesi, in un dialogo importante di scambio internazionale. A Tapié si dovrà la notorietà internazionale di artisti innovativi quali Lucio Fontana.
Come detto, l’Informale non fu un movimento artistico omogeneo e presentò tendenze anche contrapposte, dal momento che ogni artista si esprimeva nel modo più libero, spontaneo ed espressivo possibile per sé. Fu un percorso che nel dopoguerra determinò che l’arte ripartisse dall’individuo, dal rapporto unico dell’autore con la sua opera, condiviso dagli scrittori e dagli intellettuali della corrente filosofica dell’Esistenzialismo europeo. Nonostante le differenze stilistiche, i tanti artisti affrontavano i temi della guerra, della sofferenza e del trauma, dell’irrazionalità e della libertà, nel tentativo di venire a patti con gli eventi storici e di reinventare un nuovo modo di procedere, per modellare una nuova società.
Nella pittura divenuta “informale” senza figure riconoscibili, senza prospettiva né geometria, s’individuano almeno tre correnti che accomunano i principali protagonisti: l’Informale gestuale, segnico e materico. La prima, una pittura d’azione per cui l’opera corrisponde all’atto stesso di dipingere e va oltre il dipinto eseguito, dove il colore è dato alla tela con gesti istintivi, non canonici e con l’artista in movimento rispetto al supporto; in tutte le sue declinazioni, si basa in gran parte sull’astrazione dei gesti che spesso contenevano storie personali e intenzioni diverse. Dalle esplorazioni esistenziali degli espressionisti astratti americani ai “combattimenti” di Georges Mathieu o ai disegni di Asger Jorn, comunque la pittura gestuale ha permesso agli artisti di abbracciare la spontaneità. Il gruppo gestuale ha come protagonista americano Jackson Pollock e la sua tecnica del “dripping”, cioè lo sgocciolamento del colore su tele di grandi dimensioni, stese sotto di lui che era, come altri, a lavoro in piedi. In Europa un artista di primo piano fu Wols, il principale pioniere del Tachisme, da tache che significa macchia, la cui pittura era basata sulla stesura del colore a chiazze, impiegando il pigmento direttamente dal tubo. Wols aveva creato il proprio linguaggio pittorico utilizzando la pittura in modi innovativi e non tradizionali, “sottili velature di colore, impasti simili a croste, pigmenti schizzati e versati, rivoli diretti di vernice liquida, margini raschiati, retro graffi e scritte del pennello, persino segni fatti con le bocche circolari dei tubetti di vernice”. Spesso paragonati a Jackson Pollock, i dipinti di Wols erano più piccoli e più controllati dei dipinti a goccia di Pollock.
Dei Cobra, insieme a Jorn, la gestione della pittura di Karel Appel suggerisce la caratteristica fondamentale di questo approccio dell’Informale, la spontaneità come nei disegni dei bambini, dei malati di mente e dell’arte popolare, espressione colorata di un’intensità emotiva.
Tra i tanti artisti dell’Informale gestuale anche l’italiano Emilio Vedova, che dipingeva quasi violentemente su vaste superfici assemblate.
Altri artisti ancora utilizzano motivi e segni ricorrenti rispetto alle sgocciolature o alle macchie, quali elementi grafici riconoscibili ma senza specifici significati, creando nuovi alfabeti visivi indecifrabili, non concettuali, in cui è evidente la componente calligrafica. Una scrittura sulla tela come su un foglio di carta non convenzionale con tocchi di colore o di inchiostro.
Tra gli artisti più significativi della pittura segnica ritroviamo Wols, insieme a Georges Mathieu, uno dei pittori più famosi e di successo in Francia che ha aperto la strada all’Astrazione lirica, e ancora Hans Hartung e tra i tanti altri l’italiano Giuseppe Capogrossi.
L’approccio calligrafico di Mathieu fece scuola e la sua enfasi sulla esecuzione rapida era modo per connettersi con un’espressione intuitiva immediata: nessuna forma o riferimento preesistente, un movimento non pianificato dall’artista, quasi in uno stato di estasi: una pittura sciolta con un effetto “lirico”, spesso utilizzando colori ricchi, evocando il mondo naturale e una sorta di equilibrio nelle immagini create.
La pittura materica invece, e questa è la tendenza che maggiormente si manifesta in Europa, è eseguita a partire dal colore con materiali eterogenei e insoliti, da impasti particolari a veri e propri inserti tridimensionali, disponibili all’artista nel dato momento della creazione.
Il vero cambiamento che portarono avanti i pittori materici fu di andare oltre la forma applicando, come prima di loro non si era fatto, dai materiali poveri come polveri e sabbia, sassi, carta di giornale e tessuto o vetro, ad altri innovativi per il loro tempo, come le plastiche.
Il matiérisme o Matter painting aveva preso piede nei primi anni Quaranta ed ebbe tra i suoi grandi interpreti Jean Dubufett che, seguendo l’esempio delle superfici dipinte a spessore di Fautrier, lavorò alle “haute pates” o paste sollevate, poiché utilizzava un impasto denso in cui mescolava una varietà di cose, tra cui terre e cemento o asfalto. Con questa tecnica la tela piatta era stata trasformata in una superficie in rilievo tattile che si estende nello spazio.
In questo senso lavorarono lo spagnolo Antoni Tàpies e in Italia, in particolare, Alberto Burri, che inizia a dipingere durante la seconda guerra mondiale con strumenti di fortuna in un campo di prigionia del Texas e poi si afferma, lasciando da parte i pennelli, con quadri costituiti da sacchi di canapa che mostrano strappi, cuciture, rattoppi, bruciature, e dall’accostamento di quanto raccoglieva anche tra i rifiuti. “Se non ho un materiale, ne uso un altro” affermava l’artista, che incorporò nelle sue composizioni dai legni bruciati alle lamiere alla plastica. Per opere così non più classificabili nelle tradizionali categorie di pittura o scultura.
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