Per la prima volta dopo duecento anni tornerà nella sua città un capolavoro del nostro Rinascimento sottratto in epoca napoleonica: si tratta dello Sposalizio della Vergine, capolavoro del Perugino (Pietro Vannucci; Città della Pieve, 1450 circa– Fontignano, 1523) conservato al Musée des Beaux-Arts di Caen in Francia, che farà rientro temporaneamente a Perugia, alla Galleria Nazionale dell’Umbria, in occasione della mostra Il meglio maestro d’Italia. Perugino nel suo tempo, a cura di Marco Pierini e Veruska Picchiarelli. L’esposizione rappresenterà l’apice delle celebrazioni per il cinquecentenario della scomparsa dell’artista. Tra gli obiettivi della rassegna, quello di aggiornare il giudizio critico su di un artista tra i più influenti della generazione, troppo spesso bollato semplicemente come il “maestro di Raffaello” o come artista discontinuo (tant’è che l’attenzione sulla sua opera si è concentrata soprattutto sugli anni centrali della maturità), ma in realtà artista tra i più raffinati del suo tempo.
L’esposizione dello Sposalizio della Vergine, che si potrà vedere alla mostra in Sala Podiani alla Galleria Nazionale dell’Umbria dal 4 marzo all’11 giugno, rappresenta uno dei momenti centrali della rassegna. L’opera è uno dei capolavori della collezione storica del Musée des Beaux-Arts di Caen. Venne sequestrata nel 1798 dalle armate francesi di Napoleone Bonaparte che la portarono via dalla Cattedrale di Perugia dove era appesa sin dalla sua creazione nel 1504. L’opera aveva un legame particolare col Duomo perugino, dal momento che qui è conservato quello che secondo la tradizione è l’anello nuziale della Vergine. Dunque lo stesso dipinto nell’opera dal Perugino.
L’opera raffigura il matrimonio di Giuseppe e della Vergine Maria. Il sommo sacerdote Zaccaria li unisce in matrimonio sullo sfondo del Tempio di Gerusalemme, rappresentato come un’architettura ideale sullo sfondo: un edificio ottagonale attraversato da un rettangolo di luce e che lascia intravedere il paesaggio in lontananza, simboleggia l’orizzonte teologico a cui sono promessi i due protagonisti, e segna anche il punto di fuga, il punto verso il quale convergono tutte le linee del quadro, tracciate geometricamente secondo le regole della prospettiva euclidea (o matematica) tanto apprezzate dagli artisti rinascimentali per creare una sensazione fisica. spazio.
Attorno ai due protagonisti si muove una serie di personaggi colti in varie pose (famoso quello che, deluso per non essere stato scelto, in segno di stizza cerca di spezzare la verga piegandola sulla gamba). Lo Sposalizio della Vergine del Perugino è da sempre al centro di una sorta di tenzone ideale con l’opera omologa di Raffaello, l’allievo del Perugino, che dipinse anch’egli nel 1504 il suo Sposalizio oggi alla Pinacoteca di Brera di Milano (fu commissionato per la cappella di San Giuseppe nela chiesa di San Francesco a Città di Castello), quando aveva appena 21 anni mentre il maestro ne aveva più di 50. Anche l’opera di Raffaello lasciò la sua sede, Città di Castello, nel 1798, quando il Comune la donò (con un atto molto discusso) al generale napoleonico Giuseppe Lechi: dopo diversi passaggi il dipinto arrivò all’Accademia di Brera nel 1809.
“E’ l’ opera religiosa più importante realizzata per la sua città di adozione”, ha spiegato all’Ansa la storica dell’arte Veruska Picchiarelli, curatrice della mostra. “Il Perugino è uno dei migliori disegnatori dell’ intera storia dell’ arte, è stato il padre nobile del classicismo. Gli elementi del suo linguaggio sono una conquista personale che tende all’ armonia e all’ equilibrio. Dopo Giotto è il primo pittore che permette all’ Italia di parlare da nord a sud un’ unica lingua”.